Un bot non avrebbe preso questo ransomware

Torna in voga l’uso dei documenti Word per diffondere virus. Alle vittime viene chiesto di fare un doppio clic per “dimostrare di essere umano”. Umano e… infettato.

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a cura di Giancarlo Calzetta

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Le tecniche di attacco non sfuggono alla regola del revival: periodicamente tornano di moda. Nelle ultime settimane gli esperti di sicurezza hanno segnalato il grande ritorno di Macro Virus e delle tecniche di attacco che sfruttano i documenti Office.

Poco da stupirsi, quindi, se i creatori di Cerber, un ransomware in grande spolvero, abbiano scelto di utilizzare questo tipo di tecnica per diffondere il loro malware.

L’attacco avviene attraverso l’invio di un’email con allegato un file di Word al cui interno è inserito un elemento OLE (Object Linking and Embedding) che contiene un collegamento al ransomware. Una tecnica utilizzata nei primi anni 2000 che, però, non ha perso di efficacia. Almeno da un punto di vista tecnico.

Il limite di questa strategia di attacco è che per avviare l’esecuzione del codice attraverso la tecnologia OLE è necessario l’intervento dell’utente. Insomma: per mettere nel sacco la vittima serve convincerla a fare il fatidico “clic”.

E qui entra in gioco l’ingegneria sociale, declinata in questo caso in maniera particolarmente ironica. Il documento allegato all’email, infatti, visualizza un messaggio che chiede all’utente di fare doppio clic su un pulsante per dimostrare di non essere un bot e “sbloccare” il contenuto del file.

clic

Per “dimostrare di essere umano” basta fare clic su un collegamento che avvia un ransomware. Esatto: proprio quello che un bot non farebbe.

Peccato che il doppio clic lanci il codice del ransomware, che avvia immediatamente la cifratura di tutti i file presenti sul computer e visualizza la classica richiesta di riscatto.

Ovviamente, questo sistema fa leva sugli utenti meno preparati e risulta quindi difficile da fermare a priori se non con una attenza opera di educazione e un buon antivirus.