Utenze italiane su Google spiate: ecco il rapporto

Google è obbligata per legge a svelare i dati utente in caso di richieste da parte della Giustizia e degli inquirenti. Il problema è che in alcuni casi non c'è bisogno di attivare un giudice, perché la normativa vigente ha una falla. Il caso vuole che l'Italia svetti nella classifica mondiale.

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a cura di Dario D'Elia

L'Italia è un paese che ama le intercettazioni: svettiamo anche nell'ultimo rapporto Google sulle richieste di dati personali. Com'è risaputo in base all'Electronic Communications Privacy Act (ECPA) il colosso statunitense è costretto a fornire tutti i dati che riguardano un utente in presenza di un'esplicita richiesta da parte di istituzioni governative nazionali o straniere. Insomma, gli inquirenti possono accedere a dati personali, dati di navigazione e quant'altro se certificano che questi sono chiave per un'indagine. Il problema, per altro al centro di dibattito anche oltreoceano, è che vi sono casi in cui non c'è bisogno neanche della richiesta di un giudice.

Le mani sui nostri dati personali

Ieri Google ha svelato una tabella (Transparency Report) che fa il punto della situazione tra gennaio e giugno 2011. Se da una parte si rileva che il numero di richieste più alte è stato effettuato dalle Agenzie statunitensi (5950), seguite da quelle indiane (1739), francesi (1300), inglesi (1273) e tedesche (1060), dall'altra qualcuno si è dimenticato di fare un "rating" dei ficcanasi.

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Già, perché la nostra Italia ha effettuato solo 934 richieste, ma in proporzione al numero di utenti online (33.200.000 milioni - Internet World Stats, marzo 2011) si tratta di uno dei tassi più alti in assoluto. In Pratica il rapporto tra richieste e popolazione online è piuttosto importante se si considerano gli altri paesi. Per di più come se non bastasse, dato che le richieste non svelano i dati di una sola singola utenza ma di un gruppo, sulla falsariga di quanto avviene con le intercettazioni telefoniche, Google ricorda che gli account "violati" sono stati 1263 nel 2011. Bene, questo indice confrontato con quello della popolazione online italiana conferma che lo 0,0038% degli utenti è stato sfiorato dalla questione. La buona, ma anche cattiva notizia, è che le richieste soddisfatte completamente o parzialmente sono state del 60%.

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Ed è forse quest'ultimo il vero dato preoccupante, perché dimostrerebbe che sono state inoltrate almeno un 40% di richieste illegittime – o mal formulate, a pensar bene. 

In ogni caso rimane un problema, se persino i legali di Google sostengono che la legge vigente (del 1986) non protegge adeguatamente il diritto alla privacy degli utenti, qual è la posizione al riguardo del nostro Garante? 

Google, IBM , eBay e Amazon stanno facendo lobbying a Washington perché vorrebbero che la legge fosse riformulata almeno nella parte che riguarda gli obblighi degli inquirenti. Non solo fornire una subpoena (richiesta di un giudice di sottoporre oggetti, documenti o dati), che a volte viene aggirata, ma depositare un vero e proprio mandato di perquisizione.