Voglio lavorare in Google con zero tituli: ecco come

Laszlo Bock, il gran capo del personale di Google, ha svelato i criteri in fase di selezione. I titoli non contano molto: sempre più assunti ne sono privi.

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a cura di Dario D'Elia

Per lavorare in Google non c'è bisogno di un titolo di studio, basta essere competenti e vincenti. Questo non vuol dire che diplomi, lauree, PHD o Master non abbiano valore, ma solo che non sono elementi sufficienti per definire le capacità di un candidato.

Laszlo Bock, il gran capo del personale di Google, tempo fa ha svelato in un'intervista a The Times quali siano i criteri di selezione. E confessato anche che "la proporzione di persone senza educazione universitaria in Google è cresciuta nel tempo". Oggi pesa per il 14% nei vari team.

Lavorare in Google

Il buon senso dice che buone votazioni non sono un male, d'altronde per essere bravi in matematica, computing ed elaborazione di codici bisogna avere le spalle coperte. Però in Google chiedono di più.

"Ci sono cinque attributi per l'assunzione in azienda", ha spiegato Bock. "Se è un ruolo tecnico, valutiamo la tua abilità con il codice, e metà dei ruoli in azienda sono tecnici. Per ogni lavoro, comunque, la cosa numero uno che cerchiamo è l'abilità cognitiva generale, e non il quoziente intellettivo. Si tratta dell'abilità di elaborare sul momento. Di mettere insieme disparati pezzi di informazione".

"Valutiamo con i colloqui strutturati comportamentali che siano confermate capacità predittive".

Il secondo punto chiave è quello della leadership, ma non quella che può avere il presidente onorario di un club. Bensì la capacità di coordinare e nel caso anche essere disposti a cedere ogni potere se un collega è più compente in una specifica area.

Dopodiché sono importanti l'umiltà e senso di appartenenza a una squadra. "L'obiettivo finale è cosa possiamo fare insieme per risolvere un problema. Ho contribuito con il mio pezzo, e poi faccio un passo indietro", puntualizza Bock. "Senza umiltà non si è in grado di imparare".

Dopodiché anche i fallimenti sono di insegnamento. Vogliono persone che spacchino il capello nel sostenere una scelta, ma che siano anche in grado di riconsiderare tutto se si manifesti un'altra evidenza. "C'è bisogno di un grande e un piccolo ego nella stessa persona allo stesso tempo".

L'ultimo attributo richiesto è quello della expertise (perizia, competenza). Uno con un'alta abilità cognitiva, curiosità, desiderio di imparare e leadership "senza conoscenze" alla fine giunge alle stesse risposte di uno specialista "perché nella maggior parte dei casi non è questo il difficile". Il valore aggiunto è dato dal fatto che il primo a volte sbaglierà ma altre sarà l'unico a tirar fuori qualcosa di nuovo. E questo ha grande valore.

In sintesi il talento può germogliare i modi diversi ed esprimersi in forme diverse. Non basta frequentare una buona scuola e prendere dei buoni voti, almeno per Google. Ciò che conta è cosa si è in grado di fare con ciò che si conosce e si imparerà.

In Italia ci saranno sicuramente molti giovani all'altezza di queste richieste, ma a pensarci bene per come oggi è conformata la nostra stessa società gli ostacoli potrebbero essere più grandi. Il punto più debole forse è quello psicologico. Difficile oggi in Italia rimanere umili o maturare capacità di leadership adeguate. A chi è competente spesso viene richiesto di difendersi, conquistare territori, diventare aggressivo. Fare le scarpe a un altro, oppure subirne le angherie. È una competizione spesso becera, dove chi sta in posizione apicale o ha fatto il suo tempo o non ha mai avuto competenze. Non c'è spazio per chi vuole fare, quindi innovare. Prevedibile che lo sfortunato si trasformi a sua volta in una macchina da guerra, o un genio incompreso.

Beh, sempre in linea di massima, perché quelli vincenti spesso sono affabili e soprattutto desiderosi di imparare. Lo vedi da lontano. Hanno sempre qualcosa da insegnarti, sui terreni inesplorati. Uomini Google.