Westworld S01, le violente passioni giungono alla fine

Appena conclusa, la prima stagione di Westworld ha riconfermato lo posizione rilevante di HBO nel mondo televisivo, con un prodotto visivamente imponente e privo di compromessi narrativi.

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a cura di Andrea Balena

La HBO ha segnato nuovamente un colpo importante. Dopo gli anni di esperienza nel medium con prodotti come I Soprano, il successo planetario del pubblico con la saga fantasy Il Trono di Spade e lo sdoganamento della narrazione più lenta e introspettiva di True Detective, il network americano ha trovato con Westworld la summa della sua poetica e cifra stilistica.

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La prima stagione, appena conclusa, non solo è stata il più grande successo in termini di spettatori in Nord America - il season finale ha registrato più di 12 milioni di visualizzazioni fra TV e servizi streaming - ma ha anche rappresentato l'affermazione di una narrazione più adulta e complessa in un prodotto d'intrattenimento.

Qualche settimana fa descrivevo l'episodio pilota in maniera entusiasta, ma sappiamo tutti che una serie Tv può anche deludere col proseguire delle puntate. Fortunatamente il lavoro di Jonathan Nolan, già autore di Person of Interest, si è rivelato all'altezza delle grandissime aspettative se non addirittura oltre. Il soggetto originale proviene dall'omonimo film del 1973 diretto dal mitico autore di fantascienza Micheal Crichton, ed era incentrato sulla rivolta di androidi senzienti in un gigantesco luna park a tema storico.

Quel film inaugurò il filone delle macchine ribelli e del delirio fumettistico di onnipotenza del loro creatore, un tema che divenne poi popolare nel cinema e nella letteratura degli anni '80 e '90 (per esempio la saga di Terminator). Nolan e il suo team di collaboratori hanno fatto una magistrale operazione di adattamento, che amplia enormemente il concept e lo adatta alla modernità, contestualizzando molti elementi e inserendo una inedita ricerca filosofica della vita artificiale perfetta.

Avvertenza: d'ora in poi il testo presenta alcuni spoiler

Lo sviluppo degli eventi lungo questa prima stagione ha seguito un percorso quasi classico: la prima parte degli episodi è servita a introdurre tutte le storyline e dare allo spettatore una base narrativa da seguire, ma già il finale della settima puntata ha cominciato a demolire e ribaltare tutte le conoscenze in nostro possesso. Alla fine di questo episodio apprendiamo che un personaggio chiave non è quello che sembra, e che il dottor Ford (Anthony Hopkins) è la mente dietro tutti i misteri e complotti del parco.

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Questa rivelazione ha scatenato nei fan una caccia al dettaglio e ha sollevato numerosi dubbi sulla veridicità degli avvenimenti fino ad allora narrati, al punto di interrogarsi sulla struttura stessa dello show: come viene rivelato nell'episodio finale, le varie storyline a cui abbiamo assistito non avvengono in contemporanea, ma sono dislocate temporalmente e appartengono a tre diversi filoni. E scopriamo che, senza rendercene conto, abbiamo già incontrato il misterioso Arnold, che insieme a Ford aveva fondato il parco e che era morto suicida in circostanze non completamente chiare.

La storia dell'ospite William (Jimmi Simpson) è anch'essa ambientata nel passato, come molti dettagli e parallelismi avevano lasciato intendere, ed è strettamente legata alle vicende del feroce ed enigmatico personaggio in nero interpretato da Ed Harris e alla sua instancabile ricerca del cosiddetto "labirinto".

La vera natura del "labirinto"  è quella di un Test di Turing autoindotto, propedeutico alla presa di coscienza finale degli androidi verso la realtà. Senza più catene comportamentali, Dolores è finalmente libera e in pieno controllo delle sue azioni. Il finale della stagione tiene col fiato sospeso e termina con un assassinio/suicidio inaspettato, che rappresenta anche l'inizio della nuova linea narrativa del parco.

Il finale risolve in maniera degna e definitiva gran parte degli interrogativi disseminati lungo la stagione e ne apre di nuovi per il futuro: durante una delle ultime sequenze si intravede una sala piena di androidi vestiti da samurai giapponesi, il che fa supporre che il parco ospiti aree dedicate ad altri periodi storici, come del resto avveniva nel film originale. Questo futuro (presunto) cambio di setting unito a un equilibrio degli eventi completamente stravolto porta le aspettative alle stelle.

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Dal punto di vista tecnico, in questo lavoro la produzione HBO flette i muscoli con una effettistica semplicemente perfetta, alternando laboratori spaventosamente asettici con la sporca e brulla natura della (finta) frontiera, in questo caso interamente girata in imponenti set appositamente costruiti.

La realtà in questo show viene costantemente messa alla prova: il climax intenso ed emotivo può essere interrotto in un attimo, ad esempio dai tecnici del parco per correggere errori comportamentali oppure dagli ospiti che non si accontentano di partecipare passivamente al copione. I parallelismi della realtà degli androidi con il teatro shakespeariano si sprecano, con citazioni di Re Lear e di Romeo e Giulietta che compaiono spesso nei soliloqui delle macchine sempre più coscienti.

La storia è permeata da infiniti rimandi letterari e meta-narrativi: il lungo cammino di Dolores è un riferimento alla epopea della Alice di Lewis Caroll. La struttura del parco, come gran parte della critica ha puntualizzato, può essere considerata una continua allegoria del medium videoludico, dove i giocatori possono dare sfogo alle loro pulsioni più carnali senza subire reali conseguenze. La sottotrama di William risulta emblematica per questo motivo: man mano che impara a giocare, il personaggio rivela il suo vero io, libero dai moralismi che gli impone la società in cui vive.

Un prodotto perfetto? Quasi, ma è una questione di prospettiva. Alcuni potrebbero trovare gratuita la tanta violenza dello show, sebbene sia sempre contestualizzata in un mondo fittizio e controllato. Gli Ospiti considerano i Residenti poco più che manichini, ma per noi spettatori seguiamo le vicende di questi ultimi con più interesse, colpiti dai moti interni delle loro neonate coscienze. Prima di accorgerci di reali cambiamenti nelle loro azioni siamo costretti ad assistere a innumerevoli loop che si ripetono sempre uguali, ma la nostra attesa sarà ampiamente ripagata.

Mentre i fan si arrovellano per svelare i segreti di ogni inquadratura, la produzione della seconda stagione è già in moto. Considerata la grandezza e complessità del prodotto, i creatori della serie non escludono di rimandare al 2018 il secondo appuntamento con questo malato Paese delle Meraviglie. Noi saremo ancora qui ad aspettare.