Wi-Fi italiano ancora bloccato: un pasticciaccio brutto

L'emendamento per il Wi-Fi non risolve il problema rilevato nel Decreto del Fare.

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a cura di Dario D'Elia

La nuova norma che avrebbe dovuto liberalizzare definitivamente il Wi-Fi è stata scritta male, ma l'emendamento con le correzioni approvate dalla Commissione Trasporti, Poste e telecomunicazioni non è risolutivo. Gli esperti del settore fanno notare che siamo ai limiti del ridicolo: possibile che non si riesca a coinvolgere qualche tecnico durante la stesura dei testi? In verità a pensar male si potrebbero tirare in ballo gli interessi delle aziende specializzare in networking, ma forse la realtà è semplicemente che l'incompetenza regna sovrana.

"Quando non costituisce l'attività commerciale prevalente del gestore del servizio, l'offerta di accesso ad Internet al pubblico tramite tecnologia Wi-Fi non richiede l'identificazione personale degli utilizzatori. Non trovano applicazione l'articolo 25 del decreto legislativo 1mo agosto 2003, n. 259 e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155", si legge all'articolo 1 dell'emendamento approvato.

Wi-Fi

"Resta fermo l'obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento attraverso l'assegnazione temporanea di un indirizzo IP e il mantenimento di un registro informatico dell’associazione temporanea di tale indirizzo IP al MAC address del terminale utilizzato per l’accesso alla rete Internet.

Tutto questo, se non vi fossero correzioni alla Camera, vorrebbe dire che un qualsiasi piccolo bar dovrebbe dotarsi di un server syslog - di fatto un archivio digitale degli accessi. Questo implicherebbe non solo una spesa ulteriore ma anche l'intervento di un tecnico specializzato per le configurazioni. Per di più nel secondo comma di correzione si legge che bisogna garantire il trattament dei dati personali necessari per garantire la tracciabilità, comunque senza il consenso dell'interessanto. Di conseguenza si desume l'obbligo di cifrare i dati degli utenti, con tutte le conseguenze del caso sugli standard da scegliere e i tempi di archiviazione.

"Vedo anche un altro pericolo non da poco: essendo ovvio che l'IP address della rete interna sarà (praticamente sempre) una cosa tipo 192.168.0.X, che non fornisce alcuna informazione e tantonmeno consente la tracciabilità del collegamento, quella frase ha senso solo se si pensa che ogni utente connesso riceve un IP address pubblico (che, nel mondo, sono praticamente esauriti)", sottolinea l'esperto IT Stefano Quintarelli.

In sintesi qualunque esercente, negoziante o bar rischia di doversi confrontare con maggiori spese dovute a consulenze e spese hardware. E dire che sia Quintarelli che il dipartimento Comunicazioni del Ministero per lo Sviluppo economico avevavo elaborato emendamenti più risoluti. Sono rimasti inascoltati e adesso non resta che sperare nella Camera e quindi un maxi-emendamento. Ovviamente prima della conversone del decreto del Fare in legge dello Stato.