Big Data: diversi modi per tradurre analytics in risultati di business

Molte le prospettive innovative introdotte dai nuovi strumenti che promettono di riuscire a districarsi nel "mare magnum" di informazioni destrutturate create dal mondo digitale. Dimension Data propone un approccio controcorrente per approfittare di queste opportunità

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a cura di Riccardo Florio

Uno degli esempi tipici che viene fatto nelle scuole di marketing è quello che lega pannolini e birra. È stato infatti dimostrato che esiste una correlazione tra la vendita dei due prodotti legata al fatto che i papà che girovagano nel supermercato per cercare i pannolini per il loro bimbi comprano anche la birra per loro stessi.

Da questo semplice esempio si comprende perché il mondo dell'IT sia in fermento quando si parla della possibilità di estrarre informazioni utili dai big data.

I big data sono emersi in modo preponderante per l'esplosione di informazioni digitali prodotta sia dagli individui sia generati dalle macchine connesse in rete. Nel primo caso è stata soprattutto la diffusione dei social media e dei dispositivi mobili a determinare una vera e propria esplosione di informazioni digitali, ma forse ancora più rilevante è stato il volume di dati generati dai video delle telecamere di sorveglianza, dalle stazioni meteorologiche, da misure di varia natura rilevate da sensori sparsi in ogni parte del globo.

Ormai la quantità di dati digitali esistente comincia a essere misurata in Zettabyte, (un ordine di grandezza pari a 10 alla 21) e si tratta di dati che sono perlopiù non strutturati né strutturabili.

Solitamente tre sono le caratteristiche comuni a tutte le definizioni di big data, indicate come le 3 "V": volume, varietà, velocità. Ampi volumi significa file di peso notevole, ma soprattutto grandi quantità di dati prevalentemente destrutturarti che richiedono di essere raccolti e analizzati con la massima velocità possibile. Un recente studio indica che i dati non strutturati rappresentano almeno l'80 % dei dati di tutto il mondo. Questo significa che molte aziende oggi stanno prendendo decisioni critiche con solo il 20% dei dati a loro disposizione che è strutturato e memorizzato nei database relazionali.

Molti si sono fatti interpreti di questo fenomeno sostenendo che i big data possiedono il potenziale per aiutare le organizzazioni a individuare tendenze utili, per esempio, dal comportamento d'acquisto dei consumatori e alimentare vendite più mirate e proponendo nuove tipologie di strumenti per affrontare queste esigenze.

Dimension Data, specialista di soluzioni IT e fornitore di servizi da 5,8 miliardi di dollari, va controcorrente sostenendo che il valore dei big data sia stato enfatizzato in modo forse esagerato e suggerisce un modo più "tradizionale" di sfruttare le nuove opportunità.

"Il fenomeno big data è stato "gonfiato" senza comprenderne appieno tutte le implicazioni del caso – sostiene Peter Prowse, general manager for Data Centre Solutions di Dimension Data Australia -. È stato come per il cloud e, come per il cloud, i principi di base dei big data stanno cambiando radicalmente il modo in cui le aziende saranno in grado di reagire o di anticipare le opportunità di business". 

Questo non significa sottovalutare l'impatto e il valore dei big data e lo stesso Prowse sostiene che "tutti i nuovi dati generati dalla navigazione Web, dalle transazioni on-line o anche dai rilevatori di movimento nei centri commerciali tramite dispositivi mobili rappresentano alcune forme di big data e racchiudono un enorme potenziale per riuscire a rispondere o anticipare le opportunità di business".