Il cloud segreto nelle aziende italiane

Una ricerca commissionata da VMware rivela che il 66% dei dipendenti italiani utilizza, anche a pagamento, servizi cloud nella propria impresa, senza aver coinvolto il dipartimento IT, percepito come inefficiente. Ai benefici fanno da contraltare rischi per la sicurezza dei dati.

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a cura di Gaetano Di Blasio

All'inizio è stato Gmail, insieme a DropBox, pian piano si sono aggiunti altri servizi. Inutile negarlo, il cloud, cioè la disponibilità di un servizio d'automazione informatica in forma di un'applicazione accessibile via Web, è comodo.

Questi servizi sono nati in ambito consumer, ma molti dipendenti hanno cominciato a usarli sul lavoro, perché permettono di soddisfare un'esigenza senza le lungaggini imposte dal passaggio attraverso il dipartimento IT.

Una comodità che non si è fermata quando dai servizi gratuiti si è passati a quelli a pagamento. VMware ha commissionato a Vanson Bourne una ricerca a livello europeo che svela i contorni di questo fenomeno.

Sono stati intervistate 3000 figure aziendali di business e 1500 persone dell'IT aziendale. A livello europeo, il 45% delle prime ha ammesso di aver adottato soluzioni in cloud senza aver informato IT. In Italia, la percentuale sale al 66%.

Dall'altro lato, il 37% dei responsabili IT europei (43% tra gli italiani) ha dichiarato di sospettare l'uso di servizi "non autorizzati", ma il 72% tra loro (78% in Italia) prende anche atto che tali servizi portano benefici in azienda.

Come dicevamo, molti dei servizi attivati sono a pagamento: i costi vengono sostenuti direttamente dalle funzioni aziendali, tra cui spicca il marketing. Il 23% degli intervistati ha dichiarato spese in media di 2270 euro, mentre il 14% ha pagato anche più di 5mila euro. Proprio gli italiani (tra i quali quest'ultima percentuale sale al 22%), insieme con tedeschi e olandesi risultano quelli che spendono di più in cloud "fuori dall'IT".

Alberto Bullani, regional manager di VMware per l'Italia, commentando tali risultati, evidenzia l'esigenza di collaborazione che emerge: "Circa la metà dei responsabili IT coinvolti nella survey chiede un maggior dialogo con gli altri dipartimenti".

Il manager concorda con l'osservazione di un IT rimasto indietro di anni rispetto a un mondo in evoluzione, anche a causa della consumerization. La dinamicità richiesta all'IT non si sposa con le procedure e le architetture di una volta. L'IT deve prendere l'iniziativa e anticipare le richieste delle funzioni aziendali, altrimenti si limita a fare l'help desk.

Le eccezioni ci sono (si veda "L'IT di Roberto Cavalli protagonista all'IDC Cloud Symposium"), ma devono diventare la regola.

L'IT deve riuscire a fornire i servizi che servono, sviluppandoli prontamente in casa sfruttando la flessibilità del private cloud, oppure operando come broker per portare in azienda i servizi del public cloud, laddove conveniente per caratteristiche o costi.

Proprio l'aspetto economico è segnalato dal 48% degli intervistati italiani, rispetto al 42% della media europea, quale motivazione principale per l'adozione "segreta" dei servizi in cloud. Segno che l'IT interno è percepito come inefficiente.

L'IT in Italia, peraltro, rimane apparentemente chiuso in se stesso, visto che i responsabili dei sistemi informativi (65% degli europei e 75% degli italiani) sono più preoccupati di perdere il controllo, che non dei rischi per la sicurezza aziendale che tale pratica potrebbe comportare.

Sconcerta, in particolare, che a livello continentale il 54% degli intervistati siano convinti che utilizzare servizi in cloud non autorizzati possa aumentare l'esposizione a minacce per la sicurezza, mentre in Italia questa percentuale è solo del 17%.

Eppure molti di questi servizi sono indirizzati a un mondo consumer e impongono contratti di licenza d'uso con scarse o nulle garanzie sulla privacy.