OpenAI, la società dietro il fenomeno globale dell’intelligenza artificiale generativa, ha annunciato il lancio ufficiale delle “Apps in ChatGPT”, rendendo disponibile una vera e propria piattaforma di distribuzione e monetizzazione per le versioni personalizzate del suo modello conversazionale. Qualcosa si simile, ma in ambito consumer, all'integrazione di servizi SaaS nel chatbot più famoso del mondo.
L'LLM (Large Language Model) cessa quindi di essere un semplice strumento per diventare un ecosistema proprietario - senza trascurare lo sviluppo di capacità agentiche integrate nel browser e non solo.
La trasformazione di ChatGPT in un marketplace di applicazioni è una svolta profonda. A spingere OpenAI c'è senz'altro la necessità di creare revenue, sempre più pressante in una "startup" da 300 miliardi. Il risultato però è la creazione di un luogo di transazioni che taglia fuori il web tradizionale. Alcuni operatori potrebbero giovarne, ma c'è un danno potenziale da tenere in considerazione.
OpenAI sta infatti tentando di colonizzare lo spazio intermedio tra l’utente finale e lo sviluppatore. Le persone usano il web in modo diverso, andando a fare ricerche con le AI oppure usando il riassunto AI su Google. Questi strumenti sono eccellenti ma hanno due importanti criticità.
La prima è che soffocano proprio quelle pagine web da cui prendono i contenuti, ed è lecito pensare che a un certo punto alcune di quelle pagine smetteranno di esistere, mentre molte altre cominceranno ad alimentarsi di contenuti generati. Innescando così un meccanismo non necessariamente virtuoso - portando a un progressivo abbassamento della qualità. Molte aziende e individui che creano contenuti potrebbero subire un impatto pesante, e per alcuni potrebbe anche significare la fine delle attività.
La seconda è che le IA sbagliano ancora parecchio, e per l'utente è più difficile capirlo. Ci esponiamo a risultati poco affidabili ma spesso e volentieri li trattiamo come se fossero di qualità ideale, e rischiamo di prendere decisioni sbagliate - potenzialmente disastrose - perché ci fidiamo di macchine che non sono in grado di ragionare né di comprendere.
Il rischio è di mettere il proprio destino nelle mani di un pappagallo stocastico, una cosa davvero non raccomandabile.
C'è anche un potenziale vantaggio per quelle aziende che sviluppano app interne o pubbliche è duplice: rapidità di implementazione e accesso a una base utenti già consolidata. Non è difficile immaginare uno scenario in cui un utente prova a organizzare un viaggio, e dentro ChatGPT interagisce con le app di Booking, AirBnB, Tripadvisor e così via. Applicazioni che lo accompagnano fino al pagamento, con OpenAI che incassa una percentuale.
Per chi sviluppa l'app c'è ovviamente il rischio di legarsi troppo a un solo partner, perché il rischio del lock-in è sempre dietro l'angolo. Il problema è che se le persone già usano ChatGPT per quasi tutto, decidere di non esserci per non dipendere da OpenAI forse non è un'opzione realistica.
Costruire un’applicazione che opera interamente all'interno di un ecosistema proprietario come quello di OpenAI significa cedere il controllo non solo dell'infrastruttura, ma potenzialmente anche del flusso di dati e della monetizzazione. Diventare dipendenti dalla governance di un singolo attore globale, per quanto potente, è una mossa da ponderare con estrema attenzione.
Si tratta, in sostanza, di replicare il modello degli store di applicazioni che hanno dominato l'era degli smartphone, applicandolo al paradigma dell'AI. Se l'obiettivo dichiarato è promuovere una cultura digitale consapevole, come si può ignorare che questo modello crea una recinzione virtuale, dove le regole del gioco – e i margini di profitto – sono dettati da un unico gestore? L'App Store di ChatGPT si profila così non solo come un motore di innovazione, ma anche come un monolite centralizzatore.
La storia della tecnologia è costellata di esempi in cui l’efficienza immediata si è tradotta in un vincolo a lungo termine, il cosiddetto vendor lock-in. Per le PMI (Piccole e Medie Imprese) che cercano soluzioni semplici e poco costose, l'App Store può sembrare una manna, ma la valutazione del rischio deve includere il costo potenziale di un futuro exit dall’ecosistema, qualora i termini dovessero cambiare.
Il lato consumer
Naturalmente le app in questione cono pensate per il consumatore finale, e fa parte di una strategia che sembra tesa a una personalizzazione estrema. ChatGPT, un pezzetto alla volta, sta diventando un assistente polifunzionale, qualcuno che può aiutarci sia al lavoro sia nela vita personale.
Il che solleva nuovamente il tema dell'affidabilità: più ci abituiamo a usare le GenAI, più tendiamo a dimenticarci della loro imprecisione. E rischiamo, dunque, di accoglierne gli errori come se fossero cose esatte e precise.
Un problema etico e pratico allo stesso tempo, che resta ancora irrisolto. C'è un tema di trasparenza algoritmica, che OpenAI cerca blandamente di affrontare con filtri sul suo "app store". Ma di base si fa ancora quasi totale affidamento sul buon senso dell'utente finale, e sappiamo che il "buon senso" non è un tratto particolarmente comune. E così il buon esisto dell'interazione tra utente e chatbot dipende solo da un utente che possa andare "oltre il semplice consumo" e imparare a pensare criticamente alla tecnologia. Per alcuni di noi, forse significa chiedere troppo.
L'introduzione delle App monetizzabili complica poi anche un altro aspetto, quello del copyright. Arriveranno app per fare di tutto, proprio come con gli smartphone, e bisognerà gestire sia i dati in ingresso, sia soprattutto quelli in uscita. Di recente OpenAI è finita nei guai per la creazione di personaggi protetti da copyright, e con un mondo di app le cose potrebbero sfuggire di mano.
L’apertura della piattaforma ChatGPT alle app, in ogni caso, è probabilmente un passaggio obbligato nel cammino dell’intelligenza artificiale verso la sua industrializzazione. E sopratutto a OpenAI servono strumenti per fare soldi.
Prima di lanciarsi a fare la propria app, tuttavia, bisogna domandarsi se e quanto domani OpenAI potrebbe diventare troppo forte verso la nostra azienda. La strategia di business è anche evitare rischi futuri, non solo lanciarsi a capofitto verso la possibilità di fare guadagni a breve termine.