Nelle aziende di tutto il mondo si sta consumando una commedia dell'assurdo che rivela quanto l'intelligenza artificiale stia creando più confusione che benefici concreti. Mentre alcuni dirigenti spingono per l'adozione massiva di questi strumenti, i dipendenti si trovano intrappolati in un groviglio di aspettative irrealistiche, paure inconfessabili e bugie reciproche. Il risultato è un paradosso che fa sorridere amaramente: c'è chi finge di usare l'AI per compiacere i capi e chi la usa di nascosto per paura di essere giudicato incompetente.
La grande menzogna dell'innovazione forzata
I numeri raccontano una storia che dovrebbe far riflettere qualsiasi responsabile delle risorse umane. Secondo una ricerca condotta da Howdy.com, il 16% dei lavoratori mente regolarmente sui propri rapporti con l'intelligenza artificiale, dichiarando di utilizzarla quando in realtà non lo fa. Questi dipendenti hanno capito che dire la verità – ovvero preferire l'uso del proprio cervello – potrebbe costargli caro in termini di carriera.
La pressione è tangibile: tre quarti delle aziende si aspettano che i propri dipendenti integrino l'AI nel loro lavoro quotidiano, metà in modo ufficiale e un altro quarto informalmente. Ma questa spinta dall'alto genera un effetto boomerang preoccupante. Oltre un dipendente su cinque utilizza questi strumenti senza averne reale confidenza, spinto unicamente dalla paura di essere considerato antiquato o poco collaborativo.
Il paradosso dell'efficienza che non c'è
Contrariamente alla retorica delle grandi corporation tecnologiche, l'AI non sempre semplifica il lavoro. Un terzo dei dipendenti intervistati da Howdy.com ha confessato che il tempo necessario per imparare, utilizzare e soprattutto correggere gli errori dell'intelligenza artificiale equivale a quello che impiegherebbero per svolgere le stesse mansioni senza di essa. È come comprare un'auto sportiva per poi scoprire che il traffico cittadino la rende inutile.
Ancora più allarmante è scoprire che due terzi dei lavoratori accettano ciecamente i risultati prodotti dall'AI senza verificarli, secondo uno studio congiunto di KPMG e l'Università di Melbourne. Questa fiducia cieca in sistemi che sbagliano circa il 70% delle volte quando si tratta di compiti d'ufficio rappresenta una bomba a orologeria per la qualità del lavoro.
L'ansia da prestazione digitale
Dall'altra parte della barricata troviamo chi l'intelligenza artificiale la usa eccome, ma preferisce tenerlo nascosto. La ricerca Workforce Index di Slack, condotta su oltre 17.000 lavoratori globali, ha rivelato che il 48% di loro si sente a disagio nel rivelare ai propri manager l'utilizzo di questi strumenti. Il motivo? Temono di apparire poco competenti o, peggio ancora, di essere accusati di barare.
Questa "AI-ansia" – per coniare un termine che ben si affianca a "Zoom fatigue" e sovraccarico da email – ha radici profonde. La metà dei 5.000 lavoratori americani intervistati dal Pew Research Center teme che l'intelligenza artificiale ridurrà le opportunità di lavoro future. Un timore non del tutto infondato, considerando che molte aziende stanno effettivamente sostituendo personale umano con algoritmi.
Manager senza bussola in un mare digitale
Il problema si complica quando si scopre che spesso sono proprio i dirigenti a navigare a vista. L'esperto Ronan Murphy (Forcepoint) mette il dito nella piaga: molti capi non comprendono nemmeno il panorama interno dell'intelligenza artificiale nella propria azienda. Sistemi legacy vengono "retrofittati" con funzionalità AI, rendendo impossibile tracciare dove e come questi strumenti vengano effettivamente impiegati.
La mancanza di formazione aggrava ulteriormente la situazione. Un quarto dei lavoratori che dovrebbero utilizzare l'AI non riceve alcun tipo di preparazione specifica. È come chiedere a qualcuno di guidare un'auto senza avergli mai spiegato il funzionamento di freno e acceleratore.
Quando la resistenza diventa necessaria
Jacqueline Samira (Howdy.com), sostiene che i dipendenti debbano "abbracciare" questa tecnologia emergente, ma riconosce che "stress ingestibile o estremo deriva da mancanza di comunicazione chiara e aspettative definite". La responsabilità, secondo lei, è condivisa: le aziende devono fornire supporto, ma i singoli devono mostrarsi curiosi e disponibili all'apprendimento.
Tuttavia, esistono situazioni in cui la resistenza non solo è giustificata, ma doverosa. Quando alcuni dirigenti cinematografici hanno chiesto ai produttori di documentari di inserire immagini generate dall'AI senza trasparenza, questi professionisti hanno fondato l'Archival Producers Alliance e pubblicato una lettera aperta sul Hollywood Reporter. Un esempio di come l'etica professionale possa e debba prevalere sulle pressioni aziendali.
Forse è il momento di fare un respiro profondo e riconoscere che questa "AI-ansia" è comprensibile quanto inevitabile. Come osserva Samira, l'intelligenza artificiale domina ogni canale informativo con la stessa pervasività di certi fenomeni politici. E naturalmente, per chi volesse meditare su tutto questo caos, esiste già un'app potenziata dall'AI anche per quello.