Aladdin: la storia dietro alle origini del 31° classico Disney

Tutti conoscono l'Aladdin della Disney, in occasione del suo 30° anniversario abbiamo deciso di approfondirne le origini e la storia.

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a cura di Nicholas Massa

“La mia terra di fiabe e magie, credi a me, ha i cammelli che van su e giù. C'è un deserto immenso, un calore intenso, non è facile, ma io ci vivo laggiù. Brilla il sole da sud, soffia il vento da nord, c'è un'intensa complicità. Sul tappeto ora va', dove andare lo sa. Nelle notti d'oriente andrà". Queste le celebri note in apertura per Aladdin, film d’animazione del 1992, prodotto dai Walt Disney Studios. Tutti conoscono queste parole, data la fama che hanno acquisito a livello mondiale, assumendo negli anni un significato che va anche oltre le vicende del film stesso, nel loro introdurre gli spettatori in un mondo che attinge direttamente dalle storie antiche e passate, andando, purtroppo, a scadere anche in stereotipi che nel tempo sono stati dovutamente limati ed eliminati.

Il film di Aladdin (attualmente disponibile su Disney Plus) è ufficialmente considerato come il 31º classico Disney, almeno secondo il “canone ufficiale”, nonché il quarto film uscito nel cosiddetto “Rinascimento Disney” (Con questa etichetta s'identifica il decennio che va dal 1989 al 1999, in cui i Walt Disney Animation Studios sono tornati alla ribalta con alcune delle pellicole più importanti mai realizzate, così centrali da impattare sulla storia stessa del cinema. Il termine “Rinascimento” solitamente lo si rintraccia nella persona di Jeffrey Katzenberg, all’epoca capo della sezione cinematografica dello studio, il quale lo avrebbe coniato per definire il clima di rinnovamento e rinascimento che in quegli anni si respirava alla Disney, con l’inserimento di nuovi animatori, tecniche di animazione e utilizzi del musical stesso).

L’importanza di Aladdin non risiede, quindi, solamente nella storia che racconta, ma nel modo in cui lo fa, rappresentando un momento di altissima creatività e successo della Disney stessa, quasi lo specchio di un’epoca che oggigiorno in molti guardano ancora con una certa nostalgia. Questa pellicola non soltanto è curata nei minimi dettagli dal punto di vista tecnico, ma nell’insieme dei suoi eventi di trama rimescola totalmente alcuni degli stilemi più classici visti fino a quel momento nelle storie targate Disney, dimostrando anticipatamentequel modernismo, pur con alcune piccole sbavature, che in futuro verrà abbracciato in toto dallo studio.

Come al solito la Disney reinterpreta la storia di partenza a modo suo, questo bisogna dirlo, però lo fa cercando di evolversi, di trasformare un modus operandi che all’epoca voleva passare dall’essere fin troppo anacronistico e vetusto, al parlare con una generazione di spettatori che era ben differente da quella cui parlata lo zio Walt. La percezione stessa di un cambiamento del genere ha portato alla gestazione di storie che, come anche Aladdin, parlano una lingua sì nuova, guardando, però, sempre ai fasti originari (specialmente dal punto di vista tecnico) di uno studio che ha fatto la storia.

Aladdin: la storia dietro alle origini del 31° classico Disney

Aladdin, dalla carta al grande schermo

L’Aladdin della disneyano trova la sua ispirazione nel racconto persiano di Aladino e la lampada meravigliosa, uno dei più famosi attualmente raccolto ne Le mille e una notte. Non conosciamo la data in cui questo venne realizzato, l’unica cosa certa è che Antoine Galland (uno storico e archeologo francese) lo aggiunse all’edizione francofona della raccolta suddetta, pubblicata nel 1710. In base a quello che si può leggere, la storia di Aladino viene considerata come “leggenda”, comparendo nel IX e X volume de Le Mille e una Notte. Non conosciamo i dettagli riguardanti la traduzione della storia, avvenuta presumibilmente nell’inverno del 1709-10, ma dai diari dello studioso si può leggere come in quegli anni avesse conosciuto Youhenna Diab, dal quale potrebbe aver ottenuto il racconto stesso.

Anche altre fonti successive hanno citato l’incontro fra i due: un esempio di ciò lo abbiamo con il poeta inglese John Payne, che nel 1901 pubblicò la sua versione della storia di Aladdin, raccontando di Galland e Diab e rivelando anche di testi arabi e siriani provenienti dal XVIII secolo, precedenti quindi alla traduzione e pubblicazione francese.

Partendo dalla storia de Le Mille e una Notte la Disney ha quindi tratto il suo lungometraggio animato, trasformandola così da potersi rapportare con un pubblico di famiglie e bambini.

La storia originale, almeno nei suoi primi paragrafi si ambienta in una città della Cina (anche se tutti i dettagli successivi suggeriscono apertamente che l’ambientazione è di stampo mediorientale), qui facciamo la conoscenza di Aladdin, figlio di un sarto morto di crepacuore per via della sua pigrizia, fannullone fino al midollo. Con la scomparsa di Mustafà, questo il nome del padre, entra in scena un misterioso mago che si spaccia per suo zio. Ingannando lui e sua madre convince quindi il giovane a partire insieme per lavorare come mercante di stoffe in giro per il mondo.

Non appena fuori città il mago coinvolge Aladdin in un particolare rito con il fuoco e una polvere indefinita, facendo comparire ai loro piedi una strana botola. Vedendolo sconcertato il vecchio spiega lui che è l’unico in grado di aprire quella botola, dato che è puro di cuore, così da prendere l’enorme tesoro celato al suo interno. Aladdin si fa quindi convincere e si prodiga per aprirla. Prima di entrare seguendo la scala al suo interno però, il mago lo avvisa che in profondità s’imbatterà in tre stanze: una con immani ricchezze che non dovrà toccare assolutamente, una con un giardino pieno di frutti squisiti che potrà prendere, e una terza con una terrazza in cui troverà una lampada ad olio. Il suo compito è quello di spegnere la lampada gettando via lo stoppino e l’olio interno, per poi portargliela. Prima di entrare Aladdin riceverà anche un anello magico.

Una volta dentro, quindi, eviterà di toccare il tesoro nella prima stanza, coglierà i frutti nella seconda (trasformatisi in grandi pietre preziose) e prenderà la lampada sulla terrazza. Salendo la scala del ritorno, però, il peso delle pietre raccolte ostacolerà il suo cammino e una volta chiesto aiuto al mago per salire, questi glielo rifiuterà intimandogli di passargli prima la lampada. Senza la minima fiducia nei suoi confronti Aladdin gli rifiuterà il gesto per poi litigarci aspramente, al punto che il mago sceglierà di bloccarlo per sempre nella botola.

In un atto disperato il nostro protagonista comincia a pregare per la propria salvezza, e dopo due giorni sotto terra strofina involontariamente l’anello consegnatogli dal mago dal quale esce fuori un Jinn (genio) pronto ad esaudire un suo desiderio, qualsiasi esso sia. Tornato in superficie il giovane si precipiterà dalla madre che in un gesto casuale cercherà di lucidare la lampada che ha tenuto con sé, evocando un secondo Jinn. Data la loro estrema povertà e fame il ragazzo ordinerà lui qualcosa da mangiare, ottenendo un bacile d’argento,  cibo e bevande in piatti preziosi. Partendo dal valore di questi oggetti Aladdin cercherà di venderli al miglior offerente per poi aprire la propria attività come venditore di stoffe.

La storia di Aladdin cambia totalmente registro quando, durante un giorno d’estate s’imbatte nella figlia del sultano innamorandosene perdutamente e facendo di tutto per ottenerla in sposa. Dopo averla promessa a sua madre, il Sultano tradisce la sua parola dando la principessa a uno dei figli del Gran Visir, così Aladdin ordina al Jinn di rapire gli sposi durante la loro prima notte di nozze, e facendoli portare ai suoi piedi rinchiude lo lui in bagno e passa la notte con la principessa, spiegandole della promessa del padre, senza però mai toccarla. Questo accade per più notti di seguito, fino a che il Gran Visir stesso non chiederà al sultano l’annullamento delle nozze.

Un'usanza araba, però, vuole che sia lo sposo a pagare la dote della sua principessa per sposarla, così il Sultano, impossibilitato a tirare indietro la propria e precedente parola, sceglie un prezzo altissimo in 40 barili pieni d’oro e gemme preziose, convinto di evitare che sua figlia vada in sposa a uno sconosciuto. Una volta appresa la notizia Aladdin chiede al suo Jinn di esaudire la richiesta del sultano, facendo consegnare il tutto nel modo più sfarzoso possibile, e obbligandolo ad accettare le nozze. Il giovane si presenterà dunque a corte accompagnato da un corteo ricchissimo di schiavi e schiave, e una volta presentatosi al sovrano farà costruire dal Jinn una residenza meravigliosamente ricca per sé e per la sua futura sposa. Guadagnandosi la fiducia sia del sultano che della principessa diverrà ben presto anche consigliere reale.

Nel tempo il grande successo di Aladdin giunge alle orecchie del mago che si era spacciato per lo zio, il quale comprende immediatamente la situazione e raggiunge la città del giovane con l'obiettivo di ottenere per sé la lampada e i suoi incredibili poteri. Presentandosi travestito da venditore ambulante approfitterà della sua assenza a palazzo presentandosi sotto le regali mura per poi gridare: “Chi vuol cambiare vecchie lucerne con lucerne nuove?”, chiedendo alla servitù se volessero barattare vecchie lampade ad olio con alcune nuove di zecca. Una fantesca, ricordando della lampada di Aladdin concluderà immediatamente l’affare, consegnando il Jinn nelle mani del mago. Questi gli chiederà immediatamente di trasportare il palazzo con la principessa dentro in Africa, facendola svanire del tutto.

Lo sconcerto per la sparizione è così grande che il sultano farà arrestare il giovane per poi graziarlo per via alle suppliche del popolo con un ammonimento: entro 40 giorni dovrà riportargli sua figlia, pena la decapitazione.

Dimenticatosi dell’anello magico consegnatogli prima di entrare nella botola del deserto, un giorno Aladdin lo strofina per pura casualità evocando il primo Jinn. Non potendo annullare l’incantesimo del Jinn della lampada, il ragazzo si farà trasportare sul posto in cui hanno portato la principessa. Parlandole scopre la verità: credendo che Aladdin sia stato giustiziato dopo l’arresto il mago è intenzionato a sposare la principessa. Così i due architettano insieme un modo per addormentarlo, con una polvere soporifera, e non appena indifeso Aladdin lo decapita e riporta tutto al suo posto, ricevendo onori ed elogi.

Nella parte finale del racconto originale subentra il fratello del mago ucciso, il quale tenta di vendicarsi su Aladdin entrando a palazzo travestendosi come Fatima, celebre santona dell’epoca, ed elaborando un piano per ingannare tutti. Una volta scoperta la verità sarà il Jinn ad avvisare il suo padrone, il quale prenderà la situazione in mano e poco prima di essere assalito con un pugnale ucciderà il fratello del mago, liberandosi definitivamente di questa storia.

E il film Disney?

Ovviamente l’adattamento della Disney è ben differente dalla versione ritenuta originale di questo racconto. Non è la prima volta che quest’azienda rielabora le sue fonti per trarne delle storie quesi del tutto nuove, e distanti dalle trame originali. Le scelte attuate con Aladdin posso essere tranquillamente giustificate dal suo target, e dal fatto che come prodotto avrebbe dovuto farsi strada in uno studio caratterizzato da alcuni stilemi narrativi che all’epoca erano imprescindibili. Nella leggenda originale abbiamo un protagonista che somiglia lontanamente a quello che incontriamo nel film d’animazione, accomunati solamente da un certo tipo di furbizia piuttosto riconoscibile.

Il personaggio centrale nel lungometraggio animato è furbo, ma anche e sempre di buon cuore. Questa è una caratteristica che traspare molto poco nella fonte originaria, narrando le vicende di un giovane fondamentalmente arrivista e pronto a sfruttare tutte le possibilità del caso pur di ottenere quello che vuole (che si tratti di ricchezza o amore), un personaggio che agisce soprattutto per il proprio tornaconto, senza farsi troppo scrupolo delle conseguenze morali delle sue scelte.

Nel film, invece, una piccola parte di questo arrivismo rimane, per eclissarsi poi attraverso un carattere del tutto differente, delineato da una coscienza sempre presente. Qui Aladdin ottiene la lampada magica con il Genio (i suoi desideri sono limitati però) e pensa immediatamente a come sfruttare la situazione per conquistare la principessa. Una volta ottenuta la ricchezza e la fama capisce quanto sia profondamente sbagliato un approccio del genere, non avendo nulla a che fare con il vero amore. Fingersi qualcun altro non lo aiuterà mai a conquistarla, dato che indossare una maschera significa mentire a lei e soprattutto a se stesso. Ottenere qualcosa con l’inganno non è affatto il messaggio del film, costruendo la sua intera narrazione su un percorso di crescita attraverso cui vediamo il protagonista evolversi e cambiare, in un certo qual modo.

Inoltre il contesto in cui si muove e tutti gli altri personaggi sono ben diversi da quelli della storia delle origini. C’è un tratto particolarmente moderno nel caratterizzare alcuni di loro, Jasmine in primis (è bene sottolineare che la caratterizzazione di Jasmine fu richiesta ed imposta dal presidente degli studios dell’epoca Jeffrey Katzenberg) non è la classica principessa che accetta silenziosamente il principe venuto a reclamarla, restando con lui per sempre. No. Jasmine ha carattere, ed è forte. Non vuole assolutamente essere regalata o barattata con qualche altro regno come fosse un oggetto. Lei cerca il vero amore in un contesto in cui nessuno, o quasi, la vede per quello che è. La sua è una battaglia continua contro le regole di una società che continua a non valorizzarla, in nessun momento (questa cosa torna molto più preponderantemente nel film live-action di Guy Ritchie, bisogna dirlo), cercando di ottenere un minimo controllo sulla propria vita e futuro. Anche il personaggio del Sultano è abbastanza particolare nell’Aladdin della Disney, risultando parecchio diverso da quello originale. Lui mette davanti a tutto il bene della figlia e la sua felicità, cercando di trovarle il marito ideale che possa anche allinearsi con la sua situazione regale. Non le impone mai nulla, oscillando fra la tradizione e il bene incondizionato nei suoi confronti.

Fuso a tutto questo troviamo una certa insoddisfazione nei protagonisti del lungometraggio, quasi una sensazione di “prigionia” dalla quale vorrebbero liberarsi a tutti i costi, specialmente nelle prime parti del film. Questa particolare insoddisfazione avvolge sia Aladdin, che Jasmine, che Jafar. Tutti e tre cercano di fuggire da una situazione che sembra immobile nella loro vita. Aladdin e Jafar tentano di migliorare la proprie condizione servendosi della lampada ed imboccando due strade differenti (ricordando che il protagonista cercherà di non farsi divorare dall’avidità dei desideri), mentre Jasmine tenta di fuggire, servendosi anche di un travestimento, da una situazione che sembra senza alcuna via d’uscita per lei.

La gestazione di Aladdin>

L’idea per un lungometraggio animato di Aladdin venne fuori nel 1988. Fu Howard Ashram a proporla alla Disney, componendo alcune delle canzoni con Alan Menken e affidando la sceneggiatura alla penna di Linda Woolverton (La Bella e la Bestia). All’epoca John Musker e Ron Clements, due registi celebri all’interno dell’azienda, erano alla ricerca di un nuovo soggetto su cui lavorare. Fra le varie proposte rimasero catturati da Aladdin, scegliendo di presentare una prima bozza di sceneggiatura al presidente della Disney di allora: Jeffrey Katzenberg nel 1991.

A Katzenberg, però, lo script non piacque di primo acchito, imponendo loro una importante riscrittura per mano di Ted Elliot e Terry Rossio. I cambiamenti più importanti furono i seguenti: cancellarono il personaggio della madre di Aladdin (trasformandolo quindi in orfano seguendo uno degli stilemi più classici di casa Disney), resero il carattere di Jasmine più forte e quello del protagonista più ingenuo sotto certi aspetti, inoltre resero Iago, il pappagallo di Jafar, molto più comico basandosi sulla performance di Gilbert Gottfried in Beverly Hills Cop II (scegliendolo come suo doppiatore), per poi scrivere le vicende principali ispirandosi molto di più sul film del 1940 Il ladro di Bagdad.

Parlando della gestazione estetica della pellicola, le primissime discussioni fra gli animatori s’incentrarono su “quella che avrebbe dovuto essere l’estetica di Aladdin”. Una delle prime scelte fu quella di portare la sua età dai 13 ai 18 anni, così da compensare anche un minimo la totale mancanza di figure genitoriali. Per il suo aspetto il team di animatori a lui dedicato, guidato da Glen Keane, cercò, almeno nelle prime fasi creative, di basarsi sull’aspetto di Michael J. Fox, per poi cambiare totalmente rotta e basarsi su Tom Cruise (a quanto pare nelle prime bozze sembrava troppo fanciullesco e non abbastanza attraente). Ogni singolo personaggio principale della storia venne curato da un animatore differente, per poi coordinarsi con tutti gli altri quando si dovevano far interagire fra loro nelle varie scene. L’animatore di Aladdin, Keane, ad esempio, si trovava nella sede californiana dei Disney Studios, mentre quello che si occupò di Jasmine (Mark Henn) lavorò dalla Florida (il personaggio di Jafar venne creato da Andreas Deja, scegliendo appositamente di distanziarlo da qualsiasi altro modello estetico, in perfetto contrasto con il resto). Il tutto affluì in un processo di lavoro coordinato in cui i fax giocarono un ruolo centrale, dato che dovevano continuamente mandarsi i reciproci disegni da una sede all’altra.

Furono i due registi del film, Musker e Clements, a delineare la figura del Genio, pensando immediatamente a Robin Williams per la parte (all’epoca Katzenberg tentò di proporre anche altri attori come Eddy Murphy, Steve Martin e John Candy, senza alcun riscontro). Williams accettò il ruolo (imponendo alla Disney alcune clausole di cui parleremo più avanti) e così cominciarono le sue leggendarie sessioni di doppiaggio (l’attore ricavò il tempo per questo ruolo nel mezzo della realizzazione di due film: Hook - Capitan Uncino e Toys - Giocattoli). Si narra che diedero a Williams soltanto alcune linee guida in alcuni frangenti del ruolo così da consentirgli la totale libertà creativa nell’improvvisare quello che voleva sul momento. Da tutto ciò ne derivò un processo attraverso cui non era l’attore a doppiare il personaggio, ma il personaggio a doversi adattare (venendo fuori mano amano) sull’attore stesso e sul suo talento. Questa scelta creativa di Aladdin segnò un percorso del tutto nuovo nell’ambito del doppiaggio Disney, un’evoluzione che impatterà anche su tutti i lavori successivi.

Così Robin Williams cominciò ad improvvisare a briglie sciolte al punto che tirò fuori circa 52, fra personaggi e citazioni differenti per il Genio, spingendo il suo specifico animatore, Eric Goldberg, a un’attenta selezione, affiancato dal suo team. Nella resa finale della performance a schermo, inoltre,, gli animatori hanno inserito anche qualche cameo dai film precedenti e all’attore stesso (un esempio lo abbiamo con gli abiti in stile Hawaii che indossa nella sequenza finale del film, con il cappello da Pippo. Quell’outfit lo indossava propruo Williams durante un suo tour nei Disney/MGM Studios).

I fondali a costruire le ambientazioni di Aladdin vennero, invece, supervisionati da Rasoul Azadani, il quale trasse spunto da un paesino dell’Iran di nome, Isfahān, dove era nato e cresciuto (accorpando il tutto con l’estetica de Il Ladro di Bagdad). Le scelte cromatiche, ovviamente, non furono casuali, optando per una colorazione che rispecchiasse il più possibile i caratteri dei luoghi e dei singoli personaggi in scena (il film venne realizzato con una tecnica oggi caduta in disuso, la CAPS, attraverso cui è possibile fondere gli elementi più tradizionali con le possibilità della computer grafica, risparmiando sui costi di realizzazione). Partendo da ciò troviamo i colori più chiari utilizzati nel disegnare i protagonisti positivi, mentre i più scuri per l’antagonista principale.

La diatriba con Robin Williams

Come anticipato anche sopra, Robin Williams accettò il ruolo del Genio chiedendo il minimo compenso salariale di circa 75 mila dollari (per via del precedente successo di Good Morning Vietnam, prodotto dalla Touchstone Pictures/Disney), ponendo però delle clausole nette. Innanzitutto il suo nome e la sua immagine non avrebbe dovuto essere sfruttata per promuovere il film in nessun modo, con il Genio che non avrebbe dovuto occupare più del 25% dello spazio sui poster (una scelta del genere va ricercata nel fatto che qualche mese dopo Aladdin sarebbe uscito il film Toys - Giocattoli. L'attore non voleva oscurarlo).

Parlando un secondo anche dell'edizione italiana, il doppiaggio è stato realizzato dalla Royfilm, e diretto da Renzo Stacchi su dialoghi di Elettra Caporello, coinvolgendo voci di grande spessore. La più celebre e incisiva resta sicuramente quella di Gigi Proietti nel ruolo del Genio, seguito da Massimiliano Alto con i dialoghi di Aladdin  e Vincent Thoma per le sue canzoni, Manuela Cenciarelli nel parlato di Jasmine e Simona Pirone nelle canzoni, Massimo Corvo nei panni di Jafar, Marco Bresciani in quelli di Iago e Giovanni Vagliani in quelli del Sultano.

 

La Disney non rispettò l’accordo in toto, con il Genio che occupava sì il 25% dello spazio dei poster promozionali, accompagnato però dagli altri personaggi resi molto più piccoli di lui. Tutto ciò portò a un forte contrasto fra l’attore e gli studios, rifiutandosi di doppiare il sequel diretto Aladdin - Il ritorno di Jafar. Con la sostituzione di Jeffrey Katzenberg come presidente della compagnia, sostituito da Joe Roth, arrivarono le scuse pubbliche a Williams, e il suo ritorno nel personaggio del genio per Aladdin e il re dei ladri, ponendo fine a questa scomoda diatriba.

Non tutti lo sanno, ma  nel 1993 uno dei versi originali della canzone di apertura, "Le notti d’oriente", venne cambiato per via delle proteste dall’ADC (American-Arab Anti-Discrimination Committee), questo recitava: "Where they cut off your ear if they don't like your face/It's barbaric, but, hey, it's home" (adattato in italiano con "E ti trovi in galera anche senza un perché/che barbarie, ma è la mia tribù"), poi cambiato con "Where it's flat and immense and the heat is intense/It's barbaric, but, hey, it's home" (da noi "C'è un deserto immenso e un calore intenso/Non è facile, ma io ci vivo laggiù").

Inoltre l’ADC criticò aspramente le metodologie rappresentative di Aladdin e Jasmine, definendoli “troppo anglicizzati” (parlano anche con un accento agio-americano nel film) rispetto a tutti gli altri personaggi (comparse specialmente) che vediamo sullo schermo rappresentati con la pelle più scura rispetto a loro, un forte accento arabo, e sempre estremamente stereotipati, dal punto di vista estetico e negativi da quello morale, ignoranti e avari.

Nell’edizione home video successiva  è stata cambiata anche la scena in cui vediamo Aladdin incontrare Jasmine sul balcone incrociando sul suo cammino la tigre Rajah. Nell’edizione originale vediamo il giovane dire al felino: "Come on, good kitty, take off and go…”, con la parola “Kitty” che trovandosi parzialmente coperta dal ruggito dell’animale è stata facilmente confusa, con tutto il resto della frase, dando l’impressione che Aladdin stesse dicendo "Good teenagers, take off your clothes”. Nel timore che si sollevasse una polemica nei confronti di un ipotetico messaggio subliminale la Disney ha cambiato la frase con “down kitty” in tutti i DVD.

Successo e seguiti

Una volta uscito nelle sale di tutto il mondo Aladdin incassò 19,2 milioni di dollari nel suo primo weekend, rimanendo per qualche settimana secondo al botteghino dietro a Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York. Il primo posto in termini d’incassi arrivò dopo otto settimane di proiezione, divenendo il miglior successo del 1992, con 217 350 219 dollari negli Stati Uniti e 504 050 219 in tutto il mondo.

Nel 2010 è stato stimato che si tratta del diciannovesimo maggiore incasso tra i film d’animazione di sempre, nonché il terzo film di maggior successo realizzato in animazione tradizionale dopo Il Re Leone e I Simpson - Il film, divenendo anche il secondo classico Disney con il maggiore incasso fino al quell’anno.

L’enorme successo e consenso riscosso sia con il grande pubblico che con la critica portarono quasi subito a un sequel diretto Il ritorno di Jafar, del 1994 (realizzato senza la voce di Robin Williams, sostituito da Dan Castellaneta), che ebbe anch’esso un grande successo, portando al terzo film Aladdin e il re dei ladri (con il ritorno di Robin Williams nella parte del Genio).

Due menzioni vanno fatte anche per il film in solitaria di Jasmine, “Le magiche fiabe di Jasmine”, e il remake in live-action del 2019 diretto da Guy Ritchie (ricordando anche la miriade di progetti ed apparizioni sul piccolo schermo, anche in forma seriale).

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