American Rust, anteprima: l'America dei dimenticati

Gli States dimenticati e piagati dalla recessione sono il teatro di American Rust, la nuova serie di Now

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a cura di Manuel Enrico

Il cinema e la serialità sembrano concordi nel volerci raccontare un’America che ha dimenticato la sua nomea di land of freedom. La libertà spesso identifica con la sicurezza di poter agguantare tutte le promesse di una società ricca e viziata da un consumismo sfrenato, ha lasciato spazio a un ritratto più disincantato e realistico della contemporaneità statunitense. Se al cinema abbiamo potuto vivere questa fotografia impietosa con Nomadland, giustamente premiato con l’Oscar, nel comparto seriale questo cambio del paradigma sociale statunitense ha trovato terreno fertile all’interno di produzioni come la recente American Rust, produzione di Showtime che arriverà su Sky e NOW da oggi 25 ottobre.

Basata sul romanzo omonimo di Philip Meyer, che ha già dato i natali con un suo libro all'apprezzata The Son, American Rust si inserisce all’interno di un filone thriller che negli ultimi tempi sembra essersi imposto come la cartina di tornasole di un’America corrotta nell’animo, vittima di una depressione che da economica è divenuto emotiva. Una tendenza narrativa che ci ha regalato quell’ancora oggi inarrivabile gioiello che è la prima stagione di True Detective, capostipite di questo genere, e che recentemente ha trovato una stupenda interpretazione in Omicidio a Easttown. Trait d’union di queste produzioni è l’allontanarsi dai grandi centri urbani, riconosciuti come il simbolo dell’American Way dorato da parte del pubblico straniero, per ritrarre quella parte della nazione sconosciuta, dimenticata a volte dagli stessi connazionali.

American Rust, l'America dimenticata

American Rust si fa forte di questo concetto. Un tempo redditizia terra grazie alla sua ricca industria metallurgica, quella che ora è nota come la Rust Belt (la cintura della ruggine) è una delle zone più depresse degli States, con tassi di disoccupazione e criminalità vertiginosi. Uno specchio della fine del Sogno Americano, in cui la popolazione vive di sussidi statali, espedienti e con una sempre più diffusa sensazione di esser stati dimenticati dal governo federale. In un simile ambiente, piaghe come droghe e piccola criminalità sono spesso un rifugio per quelli, che a tutti gli effetti, sono i perdenti di una nazione un tempo grande, titanica.

La Rust Belt è il perfetto ritratto di quell’America invisibile, dimenticata, fatta di cittadine abbarbicate su un corso principale da cui si diramano poche vie che conducono alla periferia, in cui sporadiche case fatiscenti raccontano storie di speranze infrante e rimpianti, di grandi sogni morti con la chiusura di fabbriche e promesse elettorali mai mantenture. È un in questo tessuto sociale marcescente che si annidano gli elettori inaciditi che hanno creduto al mito trumpiano, che hanno visto nell’ex presidente una speranza, forse l’ultima, di tornare grandi. Una fetta di popolazione che si crogiola nel passato, spaventata di affrontare il futuro perché condannata all’oblio nel presente. Terreno fertile per ira rabbiosa e frustrazione, alimentati dall’odio per chi ha dimenticato i propri fratelli.

È in questa desolazione sociale che si muovono i volti disfatti e sconfitti che animano American Rust. Abbiamo avuto modo di vedere in anteprima i primi tre dei nove episodi che compongono la serie di Showtime, realizzata da Dan Futterman. Sin dalla prima immagine, appare evidente come l’intento di trasmettere allo spettatore di trovarsi in un angolo morente di Americana sia al centro dello spirito della serie, grazie a una fotografia dalle tinte fredde e spente, che ben di adatta al tenore emotivo di questa storia, ritraendo alla perfezione l’immaginaria cittadina di Buell, Pennsylvania.

Buell è il simbolo della Rust Bell, una città morente che avvizzisce attorno alla fonderia che in passato ha significato la fortuna dei residenti. La fortuna economica di questa cittadina è passata da tempo, una crisi che ha portato le banche a prendere possesso delle fatiscenti abitazioni dei residenti, andando a creare ulteriore disperazione. Buell, appare subito evidente, è una città di sconfitti, di anime che sembrano essere rimaste intrappolate in un non luogo, cristallizzate in attesa di una fine definitiva.

Una conclusione che sembra iniziare quando il capo della polizia, Del Harris (Jeff Daniels), trova nella vecchia fonderia il corpo senza vita di un suo ex-collega. Per Harris, questo ritrovamento diventa un incubo, quando si convince che dietro questo omicidio ci sia Billy (Alex Nuestaedter), giovane di Buell che in precedenza era stato quasi arrestato dalla vittima. A impedirne l’arresto era stato proprio Harris, legato sentimentalmente alla madre di Billy, Grace (Maura Tierney).

American Rust parte da questo fulcro emotivo per costruire una storia dal ritmo lento, in cui viene ritratta una comunità umana, sofferente e consapevole della propria condizione. Ogni personaggio presente in questi primi tre episodi è caratterizzato da un animo ferito, che lo mostri apertamente o che lo nasconda dietro piccole angherie o atteggiamenti violenti. L’intento della serie, cogliendo l’occasione dell’indagine per omicidio, è quello di fare emergere le ferite non guarite di una parte di America popolata da sconfitti che, a ben vedere, sembrano essersi rassegnati alla propria condizione.

Come Del Harris, poliziotto che convive con i traumi ereditati dal suo servizio militare durante la guerra in Iraq. A Buell dovrebbe rappresentare l’ordine, ma Harris è parte di questo meccanismo inceppato, arranca stancamente e cerca di trovare rifugio in una relazione complicata e senza futuro con Grace. Daniels è impeccabile nel mostrare l’umanità ferita del suo personaggio, con un’espressività pacata ma palpabile, accompagnata da un tono acido nei suoi dialoghi che tradisce la sua indole sofferente.

Perdenti,disperati e dimenticati

L’interpretazione di Daniels, per quanto affascinante e impeccabile, non riesce a dare sufficiente mordente ad American Rust. La cura con cui si costruisce la vita di questa comunità, tramite scene ben realizzati come il matrimonio di due giovani locali, rischia di schiacciare la narrazione di American Rust, che già in questi primi tre episodi mostra una fragilità narrativa appesantita da una verbosità dei dialoghi e una dilatazioni dei tempi che stona nei momenti centrali. La sensazione è che manchi un punto di equilibrio tra la detective story e il ritratto sociale di questa America sconfitta.

Ad acuire questa impressione sono i giovani membri del cast, coinvolti in dialoghi spesso fuori fuoco rispetto ai loro personaggi, e incapaci di offrire una recitazione coinvolgente e credibile. Un difetto che priva American Rust di uno dei suoi potenziali punti forti, considerato come il trio composto da Billy, Lee (Julia Mayorga) e Isaac (David Alvarez) rappresentino un’ultima fiammata di vita in questo microcosmo morente.

Lee è riuscita a lasciare Buell per andare a New York, dove si è ricostruita un’esistenza, mentre Billy non ha accettato una borsa di studio che lo avrebbe condotto dalla madre, di cui si sente responsabile. Tra le loro possibilità, si colloca Isaac, fratello di Lee e amico fraterno di Billy, che rimasto ad accudire il padre, reso invalido da un incidente in fabbrica, ha perso la sua occasione di avere un’esistenza migliore. I tre ragazzi rappresentano un contrappunto alle vite oramai esaurite dei ‘vecchi’ di Buell, come Del e Grace, condannati consapevoli che cercano, anche contravvenendo alle leggi, di salvare questi giovani da un’esistenza spenta.

Spunti narrativi promettenti, ma che non trovano piena esperessione. American Rust sembra soffrire di una mancanza di focus, come se la promettente base narrative fatichi a trovare una propria dimensione, a tratti perdendo di concentrazione, con improvvisi flashback slegati dalla narrazione principale e una fioritura eccessiva di linee narrative secondarie che non arricchiscono la trama, ma la rendono invece eccessivamente tortuosa e convoluta su se stessa.

I primi tre episodi di American Rust ci lasciano con la sensazione di una serie con un’ottima premessa, animata da una visione contemporanea degli States, ma che deve trovare nei sei episodi rimanenti una cifra narrativa che rianima una storia che rischia di rimanere vittima di una narrazione pigra e pretenziosa.