And just like that…, recensione del sequel di Sex and the City

And just like that… a new chapter of Sex and the City è arrivato ai titoli di coda: un epilogo che chiude un cerchio.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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And just like that… a new chapter of Sex and the City è arrivato ai titoli di coda, dopo dieci episodi e ben 11 anni di attesa dall’ultima produzione dedicata al gruppo di amiche newyorkesi più famoso della televisione. Un epilogo (al netto di improbabili sorprese future) che chiude un cerchio il quale forse non necessitava di essere riaperto, ma che perlomeno non scade nel pacchiano o nell’inguardabile.

And just like that… una scrittura che non decolla

Naturalmente eviteremo spoiler o anticipazioni troppo succulente, nonostante la serie sia stata rilasciata integralmente, per far sì che i nostri lettori più “ritardatari” possano godere di uno spettacolo che vive principalmente di trama e di personaggi. Rimane però fondamentale sottolineare quali siano i punti di forza e quali i punti deboli all’interno di una sceneggiatura che si è presa il difficile compito di proseguire una delle pietre miliari della storia delle sit-com.

Nella nostra recensione dei primi due episodi abbiamo evidenziato una scrittura che cercava di descrivere il tempo che passa ed il rapporto delle protagoniste con le nuove sfide di un decennio che le ritrova invecchiate, disilluse e apparentemente inadatte ai cambiamenti di una società che è in movimento continuo. Una scelta narrativa che in sede di prima recensione risultava vincente, riuscendo a sposare da un lato le necessità di una commedia che ha da sempre fatto del gossip, del sesso e della leggerezza un punto di forza; dall’altro le istanze sociali (e anagrafiche, per quel che concerne le protagoniste) dei tempi correnti, in un mix forse non perfetto purtuttavia ben bilanciato.

Arrivati all’epilogo l’entusiasmo si smorza, purtroppo, complice quella mancanza di coraggio già ventilata ad inizio stagione e poi confermatasi nel prosieguo delle vicende. Sia chiaro, i temi trattati sono tanti e sempre coerenti con le esigenze di correttezza e di plausibilità. Il problema è il potpourri di episodi, relazioni e cambiamenti, mescolati con poca grazia e inseriti in una struttura che evita quasi sempre la reale crescita psicologica del personaggio, forzandone la mano e costringendo a delle piroette sentimentali davvero poco coerenti.

In generale poi la scelta di sceneggiatura di And Just Like That… opta per dinamiche molto meno comiche, attraverso un racconto certo leggero, ma incentrato su problematiche di spessore, le quali sovente lasciano lo spettatore con una riflessione più che con un sorriso. Non si tratta certo di un aspetto negativo, sebbene sia evidente che la serie arranca con questo format più serioso, che si trascina molti più problemi di scrittura e di coerenza, i quali finiscono per limitare le scelte creative a favore di un eterna sensazione di sospensione. In poche parole, And Just Like That... fornisce tanto materiale ma non riesce ad offrire un vero e proprio crescendo, inserendo qualche colpo di scena qua e là (e qualche occhiolino ai fan di vecchia data) ma rimanendo paradossalmente sempre fermo.

And just like that… gradevole ma mai eccezionale

Un aspetto davvero positivo è l’interpretazione dei personaggi, nonostante i grandi scandali piovuti sulla produzione: prima con le terribili vicende giudiziarie di Chris Noth, poi con l’eterna diatriba riguardante Kim Cattrall (alias Samantha) ed infine il personaggio di Che Diaz (Sara Ramirez), poco apprezzato dal pubblico per via di una paventata esagerazione nella sua elaborazione “inclusiva”. In realtà, al netto delle vicende esterne all’opera, Che Diaz è criticabile solo nei limiti di una scrittura frettolosa e tagliata in maniera grezza, ma rientra perfettamente nella stimabile ricerca della serie di descrivere con dettaglio le nuove dinamiche di una società che cerca di far emergere le necessità di tutte le minoranze.

And Just Like That... rimane quindi una serie con ottime protagoniste, il cui lavoro è stimabile anche per essere riuscite ad accettare ruoli più complessi, problematici e meno rampanti di quanto non fosse in Sex and the City; nonché con fantastici comprimari, tra cui spicca come sempre Steve Brady (David Eigenberg).

Tecnicamente emerge poi la volontà di elevare l’opera, attraverso una fotografia più complessa ed elaborata di quanto abituati in precedenza. Una scelta che riflette la maggiore “pesantezza” del racconto, non più adatto solo e soltanto a quella eterna solarità dei vecchi tempi, toccando palette sovente più cupe e riflessive. Anche la scelta delle riprese e delle inquadrature mostra una maggiore maturità artistica, certo senza stupire, ma adattando And Just Like That… agli stilemi visivi di oggi.

Manca però, soprattutto nel confronto con il passato, quel ritmo serrato e vincente che ha reso Sex and the City la sex comedy per eccellenza. Un ritmo che nelle stagioni classiche procedeva con sinuosa armonia, accelerando quando necessario e rallentando nei momenti topici e introspettivi. Oggi And Just Like That… ha perso brio, non solo per quel che concerne l’intreccio e i personaggi. Manca mordente, manca tensione e la visione si blocca numerose volte a trattare lo stesso fatto senza muovere un passo. Fortunatamente nel complesso il prodotto funziona e intrattiene, riuscendo a trasmettere, con meno smalto ma stessa dignità, le vibrazioni di una volta.

In conclusione

In conclusione And Just Like That… a new chapter of Sex and the City si pone come continuazione logica e fisiologica della serie originale. Doveroso il cambio di registro e la virata verso argomenti e tematiche più pesanti, non tanto perché sia questo il trend del momento, quanto per la plausibile evoluzione e maturazione dei personaggi coinvolti, tutti più vecchi e costretti a fronteggiare quei cambiamenti di cui furono i fautori metaforici nei primi 2000.

L’intento insomma è quello di riportare Sex and the City ai fasti di un tempo, tralasciando la reiterazione di un format considerato, a ragione, superato, e cercando di limitare al minimo sindacale il fan service. Se sul secondo punto il prodotto emerge come onesto e cristallino, su quello della qualità generale si traballa di più. Il tentativo c’è ed è encomiabile, ma il risultato fatica a decollare, complice una scrittura solo in apparenza profonda sommata ad una mancanza di ritmo e coraggio. Ad ogni modo, visto il risultato complessivo comunque gradevole, sembra che la seconda stagione sia più che probabile, nonostante gli ascolti non entusiasmanti. L’augurio è che la qualità salga sensibilmente, perché un secondo giro di giostra a questi livelli sarà inevitabilmente l’ultimo.