Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Il ritorno di Sigourney Weaver e Stephen Lang in Avatar: La Via dell’Acqua è un indizio importante di come la morte venga trattata in Avatar, rappresentando al contempo un elemento avvincente all’interno della trama della serie ma anche un potenziale punto debole. La morte di un protagonista o di una figura centrale all’interno di una storia è sempre un momento catartico, utilizzato come meccanismo evolutivo di un protagonista o come turning point narrativo che genera uno slancio all’interno del racconto. In Avatar, le morti di Grace Augustine (Sigourney Weaver) e Stephen Lang (Miles Quaritch) sono due ottimi esempi dell’utilizzo della morte come contrappunto narrativo, ma stando a quanto abbiamo visto nel trailer di Avatar: La Via dell’Acqua i due personaggi sono pronti a tornare in azione, seppure con una certa variante.

Nel primo film, della saga di Avatar, la possibilità di riversare la coscienza di un umano all’interno di un Ricombinante, un corpo clonato di un Na’Vi, gli abitanti originari di Pandora, era il fulcro della storia, quando Jake Sully (Sam Worthington) sperimenta questa possibilità legandosi infine alla cultura locale e accettando di guidare un’insurrezione contro gli spietati umani. Quello che è stato l’elemento cardine del primo capitolo della saga di Cameron diviene ora il piccolo trucco con cui Avatar inganna la morte, portando a domandarsi quanto questo escamotage possa essere realmente un punto a favore per il ritorno di personaggi perduti lungo la strada e come invece rischi di esser un complesso meccanismo narrativo.

Il ritorno di Sigourney Weaver e Stephen Lang svela come Avatar ha sconfitto la morte

La morte di Grace Augustine in Avatar

Nell’economia del primo Avatar, la presenza di Grace Augustine è stata centrale nello sviluppare il rapporto tra Jake e la cultura Na’Vi. All’interno della compagine umana, dove l’ottica di sfruttamento era la forza motrice della presenza dei terrestri, la Augustine e la sua equipe rappresentavano, al contrario, una sfumatura positiva di questa scomoda presenza umana su Pandora. Approfondita anche in opere derivate, come il fumetto Avatar: Il Destino di Tsu’Tey, la centralità della Augustine era sviluppata tramite il suo ruolo di studiosa, ma anche di ponte tra due diverse culture.

Da iniziale guida di Jake a personaggio sempre più completo, al punto da esser riconosciuta come persona degna di fiducia dai nativi, la Augustine diviene una sorta di figura missionaria, contrapposta alla metafora coloniale rappresentata da Quaritch e dagli interessi corporativi di sfruttamento delle risorse di Pandora. La sua morte, quindi, assume i toni di un evento esplosivo, capace di unire personaggi distanti e poco inclini alla comprensione reciproca, come Jake e Tsu’Tey. Soprattutto, è da rilevare come la sua condotta etica con i nativi di Pandora ha fatto sì che le venisse un onore riservato solo ai membri dei Na’Vi: la comunione con Ewya. Tramite una connessione con l’Albero della Anime, la coscienza di Augustine è stata trasferita in Ewya, la divinità dei nativi, che viene considerata come un’entità eterea che racchiude tutta la vita di Pandora.

Non esplicitato nel film, ma invece mostrato nel citato Destino di Tsu’Tey, tramite la connessione con Ewya i Na’Vi possono ancora dialogare con i loro morti, rendendo quindi questo rituale simile al download delle coscienze effettuato dagli umani per poi ‘trasferirle’ nei Ricombinanti. Questo passaggio rappresenta, quindi, l’inganno alla morte con cui Avatar riesce a non dire addio definitivamente ai personaggi, comprese figure odiate come il colonello Quaritch interpretato da Stephen Lang.

Il ritorno di Sigourney Weaver in Avatar: La Via dell’Acqua

Scardinando quindi l’importanza emotiva della morte di Grace Augustine nel primo Avatar, il ritorno di Sigourney Weaver nel secondo capitolo della saga rappresenta una possibilità narrativa complessa, che se ben sfruttata potrebbe divenire uno spunto filosofico per l’evolversi della serie. Dalle notizie e dalle anticipazioni sappiamo che la Weaver sarà Kiri, un’adolescente adottata da Jake e Neytiri, che dalle immagini promozionali di Avatar: La Via dell’Acqua sembra avere una certa curiosità nei confronti della dottoressa Augustine.

Questo radicale cambio di personaggio rappresenta per l’attrice l’occasione di tronare nella saga da un punto di vista differente, tanto che se la Augustine rappresentava l’elemento mentoriale di Avatar, in questo seguito per la Weaver è stato realizzato un personaggio che, almeno sulla carta, si basa su un approccio diametralmente opposto. Una concezione che, proprio fondandosi sull’evidente sull’accennata connessione tra Kiri e la Augustine, può consentire a un talento recitativo come quello della Weaver di offrire un’interpretazione ancora più intensa, unendo la tipica irruenza giovanile alla maturità attoriale dell’attrice.

Questo interesse della giovane Na’Vi per la scienziata umana, tuttavia, potrebbe essere sia un modo per mantenere vivo il ricordo di un personaggio così centrale nel primo film, sia rivelarsi l’indizio di una natura più complessa di Kiri. Tenendo presente come lo spirito dei Na’Vi continui a vivere all’interno di questa dimensione ultraterrena incarnata dall’Albero delle Anime, non si può escludere che l’anima della Augustine sia stato reincarnato in Kiri, dando quindi vita a un discorso più ampio che tocca temi come reincarnazione e seconde occasioni. Una dinamica narrativa interessante soprattutto se rapportata all’altro ritorno già annunciato, quello del colonello Quaritch.

Il pericolo Quaritch

Se nel caso di Grace Augustine un ritorno, seppure in maniera ancora da scoprire, il ritorno a una nuova vita ha il sapore di una giustizia karmica, diversa è la sensazione nello scoprire che anche l’odioso Quaritch avrà una seconda occasione su Pandora. Grazie a un impeccabile Stephen Lang, il comandante militare degli umani si è contraddistinto come un individuo meschino e spietato, acuendo questa sua attitudine durante tutto il film. Una crescita emotiva funzionale che culmina nello scontro finale con Jake, dove la sconfitta di Quaritch dona agli spettatori la consapevolezza di una giustizia infine abbattutasi sul villain.

Il ritorno di Quaritch, in versione Ricombinante, rischia di esser un elemento di fragilità all’interno della continuity di Avatar. Non solamene perché abusando di questa possibilità si tende a infrangere il rapporto emotivo con gli spettatori, che potrebbero vivere con minore intensità momenti drammatici consci che nessuno su Pandora apparentemente muore davvero, ma perché si dovrebbe strutturare questa tendenza alla resurrezione su due livelli differenti, acuendo la dissonanza tra la cultura umana e quella Na’Vi.

Se l’utilizzo per gli umani dei Ricombinanti può essere un valido espediente per avere sempre una possibilità di recuperare figure chiave (similmente a quanto fatto con i ghola di Dune), si potrebbe rivestire questa funzione con un contrasto etico e culturale rispetto alla visione dei Na’Vi, che vedono nella sacralità della vita e nel suo corso naturale un elemento quasi mistico, da preservare. In un simile contrasto, troverebbero maggior concretezza sia il ritorno di Augustine, tramite la supposta reincarnazione in Kiri, che il più terreno e pericoloso nuovo Quaritch.