Creed 3, recensione: affrontare le proprie ombre e comprenderle

Michael B. Jordan e Creed 3 tentano di trovare una propria strada per questo franchise: ci saranno riusciti?

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a cura di Nicholas Massa

Adonis Creed torna sul ring per affrontare il suo passato una volta per tutte in Creed 3, al cinema dal 2 marzo, diretto e interpretato da Michael B. Jordan, al suo debutto alla regia. La storia riprende gli spunti dei primi due film ma tenta per la prima volta un salto con le sue sole forze, concentrandosi principalmente sui “non detti” di un protagonista che sembra avere ancora qualcosa da raccontare, sia dentro che fuori dal ring.

Partita come una serie spin-off della franchise cult Rocky (se interessati a recuperare i primi due li trovate su Amazon), il lavoro fatto con Creed ha ben presto dimostrato di avere un grande potenziale e appeal nel presente, pur traedo parte del suo fascino iniziale da un glorioso passato cinematografico. Se nei primi due film abbiamo assistito alla formazione del protagonista e al suo percorso incentrato sulla ricerca della propria identità, in Creed 3, invece, lo ritroviamo molto cresciuto rispetto al passato, e con un approccio alla vita ben differente. Ma è proprio quando tutto sembra andargli per il meglio che Adonis dovrà vedersela con alcuni fantasmi lontani nel tempo, che lo metteranno a dura prova non soltanto fisicamente ma mentalmente, in un viaggio fatto di ombre, demoni, e un’insicurezza che continua a tormentarlo.

Creed 3: un pugile non più pugile

L’Adonis Creed (Michael B. Jordan) con cui ci si relaziona in Creed 3 è piuttosto diverso da quello degli altri due film… almeno in apparenza. Il giovane irrequieto e arrabbiato con tutto il mondo sembra lontano anni luce adesso, sostituito da un ex-campione del mondo che dedica i suoi soldi e tempo a spronare le nuove generazioni di sportivi, e ad accudire la propria famiglia. L’enorme successo del pugile si è trasformato in un pensionamento dai ring, sostituito da una mentalità molto più imprenditoriale e propositiva in termini sportivi e di sponsor. Così Adonis sceglie di non combattere più in favore di una carriera dietro alle quinte che gli consente di restare ancora nel settore, senza rischiare più nulla in prima persona.

Affari, sport e famiglia sono le sue attuali priorità mentre si muove fra un impegno e l’altro, almeno fino a che un’ombra non torna a trovarlo dal suo passato. In realtà non sappiamo praticamente nulla dell’infanzia di Adonis, per via del fatto che nei film precedenti questo lato della sua vita non è stato troppo approfondito a favore del resto. Sappiamo solamente che ha sofferto molto, e che la violenza pare fosse l'unica risposta a sua disposizione alle difficoltà della vita. Così l’introduzione di Damian “Dame” Anderson (Jonathan Majors) ci consente di approfondire anche questo lato del protagonista, contestualizzando ulteriormente quel carattere irascibile che gli abbiamo visto tirar fuori in più occasioni.

I due erano molto uniti da ragazzi almeno fino a quando Damian non è finito in carcere. Adesso, a distanza di anni, si ritrovano, anche se in situazioni ben diverse dal punto di vista personale, con Damian che vede in Adonis una sorta di “copia migliore di sé”, dato che il suo sogno di gioventù era quello di diventare campione dei pesi massimi.

Dall’incontro, quindi, scaturiscono una serie di dinamiche che non hanno tanto a che fare con lo sport, quanto con la storia stessa di Adonis e su alcune grandi difficoltà che ha seppellito dentro di sé fino a quel momento. La più grande sfida del pugile, adesso, non ha nulla a che fare con allenamenti, forza o tecnica, ma con un ring diverso: quello della sua anima e coscienza ora sotto la lente d’ingrandimento di un passato che non lo ha mai dimenticato neanche per un secondo.

Violenza e noncuranza

Come negli altri due film, anche Creed 3 ha una tematica centrale e portante. Se nel primo film abbiamo visto Adonis cercare disperatamente la propria identità, e nel secondo abbiamo assistito a un confronto leggendario fra padri e figli, qui tutto si sviluppa innanzitutto nella mente dei personaggi. Non soltanto violenza e muscoli, ma sofferenza e ricordi, silenzi e sguardi rotti, noncuranza e paura dell’abbandono. Keenan Coogler e Zach Baylin (gli sceneggiatori) confezionano una storia che, pur servendosi di una struttura vista e rivista (in termini di “film alla Rocky”), cercano d’implementare alcuni ragionamenti che vanno oltre quello che vediamo sul ring, trasponendo ogni cosa anche attraverso la dimensione formale. La regia di Jordan non si limita semplicemente a seguire la situazione catturandola con l'obiettivo della macchina da presa, il suo modo di girare riesce ad andare oltre la dimensione tangibile, cercando sempre di seguire i propri protagonisti anche quando solo lontani anni luce dalla realtà, sapendo come alternare "il reale" con "il mentale".

Uno dei tratti più interessanti di Creed 3 è proprio il modo in cui umanizza i volti sudati che vediamo continuamente in primo piano o mezzo busto, cercando di sfaccettare laddove in passato si tendeva a stare distanti. Questa cosa avveniva anche con gli altri due film, ovviamente, adesso però la psiche, i traumi infantili e i legami affettivi sono i più grandi muri con cui devono confrontarsi i personaggi.

Ancora una volta la boxe viene sì elevata, con inquadrature e slowmotion che esaltano le abilità sul ring, cercando però al tempo stesso di spogliare la sua violenza da qualsiasi tipologia di ammirazione vuota e fine a se stessa. Sangue, denti rotti e una sofferenza che diventa brutale, specialmente se delineata da un rancore che rintraccia le sue origini nelle ombre.

Dalla strada alle stelle

Lo scontro principale al centro di Creed 3 non riguarda solamente due amici d’infanzia che si ritrovano, ma si riallaccia alle loro storie e al modo in cui si sono sviluppate. Se da una parte troviamo un Adonis che a un certo punto della sua infanzia viene ripreso dalla madre e cresciuto in un contesto ricco ed agiato, dall’altra troviamo invece Damien, un vero e proprio prodotto delle strade di Los Angeles. Il suo percorso, in particolare, è il frutto di un contesto culturale che non lo ha mai veramente preso a cuore, limitandosi a condannarlo ancora prima che avesse la possibilità di realizzare concretamente qualcosa. Da qui si sviluppa anche una curiosa critica sociale nel film, che parte da quello che i due protagonisti hanno vissuto da bambini, riportando sul grande schermo un contesto che farà sempre parte della loro stessa esistenza.

Così ci ritroviamo per le mani una pellicola che cerca in tutti i modi di “spiccare il volo” per conto suo, e lo fa legandosi a un protagonista con ancora molto da raccontare. L’esclusione di Sylvester Stallone, e il fatto che Rocky non venga quasi mai nominato, sono segnali palesi di un distacco che tenta di tratteggiare una nuova strada che per adesso sembra reggere botta, complice l’impegno generale nel definire questo progetto fin dall’inizio. Nel parlare di Creed 3 non si può non riflettere anche sul grande impatto, soprattutto a livello strutturale, delle storie di Stallone, pur notando una certa voglia di emergere dal passato, in qualche modo. Cosa ci riserverà il futuro?