Dark City, la città oscura contro l'Eroe prima di Matrix

Gli abitanti della Città Oscura non sanno di essere vittime e inconsapevoli cavie, oggetti di una misteriosa manipolazione che sembra alterare il tempo stesso e il concetto di realtà. C'è solo un uomo, l'eroe predestinato, che può cambiare qualcosa.

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a cura di Rupert Wolf

retrocultIntroduzione

In una città dove non sorge mai il sole, un uomo si risveglia senza ricordi nella vasca da bagno di un albergo. Ai piedi della vasca una strana siringa spezzata, mentre in camera da letto giace il cadavere nudo di una donna, brutalmente assassinata. Una telefonata - un certo dott. Schreber, mette in guardia l'uomo, e lo esorta a fuggire. Il protagonista, John Murdoch, si scoprirà braccato dagli "Stranieri" - misteriosi individui che sembrano usciti da un incubo - e dall'ispettore Bumstead, o dovrà districarsi in questa sorta di Gotham.

Non solo, dovrà anche raccogliere indizi sulla sua identità, sui suoi disumani inseguitori e sul loro terribile potere: l'Accordo. A ogni mezzanotte il tempo si ferma, tutta la città cade in catalessi e questi uomini d'incubo mutano e riprogrammano la città e le vite dei suoi abitanti. Tutti tranne John Murdoch. Lui è speciale, è l'imprevisto, il bug di sistema: ha sviluppato qualcosa e, grazie all'aiuto degli altri personaggi - tra cui la moglie Emma- scoprirà di essere l'unico a poter affrontare questi oppressori e tentare di liberare la metropoli.

Il cast di Dark City è composto da attori di calibro medio-alto. Il prescelto John Murdoch è interpretato da Rufus Sewell, attore piuttosto prolifico, ma probabilmente non famoso in Italia quanto all'estero. Accanto a lui William Hurt veste i panni dell'Ispettore Baumstead, Jennifer Connelly - sempre adatta ai ruoli retrò - è il volto di Emma mentre il dottore è interpretato da un bravo Kiefir Sutherland.

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Al timone c'è Alex Proyas, regista di titoli come Io Robot e Segnali dal futuro, ma soprattutto Il Corvo. Oltre alla regia, portano la sua firma anche io soggetto e la sceneggiatura. Non c'è da stupirsi dunque se le atmosfere cupe del film risultano ben riuscite, grazie anche a un ottimo supporto di fotografia, scenografia e costume. Ne emerge così una città sempre buia, claustrofobica, pesante, una metropoli anni '50, un pezzo della Gotham di Burtoniana memoria.

La città senza nome in cui John Murdoch si muove è una metropoli dormiente, priva di futuro, imprigionata in una notte senza fine, sempre diversa eppure sempre uguale a sé stessa. In essa il tempo è un'illusione al servizio degli Stranieri. I suoi abitanti, assuefatti alla tenebra, schiacciati dal peso della metropoli, sono ignari topi da laboratorio senza un'identità propria, così accartocciati su loro stessi e sulla loro artefatta quotidianità notturna da non alzare mai il naso verso il cielo alla ricerca del sole che non c'è.

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Ciò che gli esseri umani vivono è puramente un incubo, governato da una razza di agenti dell'incubo dai denti aguzzi ed il volto terrificante, capaci di addormentarti a comando e stravolgere la città e l'ambiente intorno a te, privandoti di tutti i tuoi punti fermi.

Ma John Murdoch saprà restituire loro la luce, rompere il ciclo della notte senza fine, attingendo a quella fonte di speranza, a quell'umanità che gli Stranieri cercano nel posto sbagliato: l'amore tra lui ed Emma, che trascende le mutazioni della città e delle personalità e che i Signori dell'Incubo, nella loro identità collettiva, non riescono proprio a cogliere.

Ruoli classici e simbologia semplice, ma ben costruita

John Murdoch è il classico prescelto, un Neo (quello di Matrix naturalmente) ante litteram chiamato suo malgrado ad affrontare il Male e a sovvertire il sistema che corrompe il mondo. Una figura vista e rivista centinaia di volte, ma sempre una risorsa narrativa valida e potente - ben sfruttata in questo lungometraggio.

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Il ruolo di Emma ricade nel cliché della moglie dell'Eroe e incentra su di sé la forza e la vulnerabilità del protagonista. Rappresenta l'altro capo dell'umanità tanto ricercata dagli Stranieri, poiché questa in definitiva non sta nella mente del singolo ma nel legame tra i suoi simili, in questo caso il legame più potente che un essere umano può provare: l'amore. Interessante anche il ruolo del dottore: aguzzino dei suoi simili, medico, psichiatra, esecutore degli esperimenti sui detenuti di questo lager alieno - non a caso porta un cognome tedesco; sarà il vero motore del crollo del sistema dell'incubo, liberatore dell'umanità prigioniera. Risulterà degno della redenzione?

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La sceneggiatura complessivamente tiene e dona al film un buon ritmo, tanto da vincere anche un Bram Stoker Award. In essa molto spazio è lasciato al percorso di investigazione e composizione del puzzle, forse un po' a scapito della complessità, ma senza scadere nel noioso. Il film però trova un sabotatore nella colonna sonora, che specie nella seconda parte tende ad appiattire gli eventi e l'attenzione dello spettatore.

Se Matrix avesse due genitori sarebbero Dark City ed il Tredicesimo Piano

La pellicola presenta molte analogie con Matrix, dalle atmosfere cupe all'elemento di vita illusoria degli ignari prigionieri, al meccanismo del prescelto che si risveglia, assume consapevolezza dei suoi poteri e si pone come fautore del risveglio degli uomini contro gli aguzzini. Emblematica è la scena iniziale, in cui una telefonata esorta il protagonista ancora inconsapevole a fuggire prima dell'arrivo di misteriosi cacciatori. Se Dark City non fosse antecedente (di un solo anno!) al film degli allora fratelli Wachowski, avrebbe seriamente rischiato di passare come un film clone. Invece per fortuna, possiamo dire che se Matrix avesse due genitori, essi sarebbero Dark City e il Tredicesimo Piano, di cui parleremo in un altro articolo.

In poche parole

Dark City Jennifer Connelly

Dark city è inquadrabile come un fantathriller dark, con un buon gioco di caccia agli indizi e un bel colpo di scena finale. Atmosfere, sceneggiatura e personaggi confluiscono in un risultato sicuramente apprezzabile, riuscendo a trasmettere allo spettatore quella sensazione claustrofobica di topo nel labirinto. Poiché ogni storia sottintende un tema esprimibile sotto forma di domanda, quella a cui risponde il film non può che coincidere con l'oggetto della ricerca degli Stranieri: "che cos'è che ci rende umani?".

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Retrocult è la rubrica di Tom's Hardware dedicata alla Fantascienza e al Fantastico del passato. C'è un'opera precedente al 2010 che vorresti vedere in questa serie di articoli? Faccelo sapere nei commenti oppure scrivi a retrocult@tomshw.it.