Disincanto - Parte tre recensione del fantasy di Matt Groening

Disincanto - Parte tre ci riporta nella divertente Dreamlan, la terra fantastica creata da Matt Groeining per il suo cartone animato fantasy creato per Netflix

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a cura di Manuel Enrico

Dopo una lunga attesa, Netflix ci riporta nel mondo fantasy di Dreamland con Disincanto - Parte tre, nuovo capitolo della terza creazione animata di Matt Groening, dopo Simpson e Futurama. Il colosso dello streaming, intenzionato ad ampliare la propria offerta in tema di animazione fantasy, si è affidata all’estro comico e dissacrante di Groening per una produzione fuori dalle righe. Idea interessante e che, dopo una prima parte più preparatoria che avvincente, ha trovato una definizione concreta nel secondo blocco narrativo della prima stagione.

Come accaduto anche in altre produzioni Netflix, ad esempio La Casa di Carta, anche per Disincanto si è scelta la prassi delle ‘parti’, ossia una frammentazione delle stagioni. Disincanto – Parte tre, disponibile su Netflix dal 15 gennaio, quindi, è il primo assaggio della seconda stagione della serie fantasy di Groening. I primi dieci episodi della nuova stagione delle avventure del terzetto composto da Bean, Luci e Elfo sono un banco di prova importante per la serie, che dopo averci consegnato una prima stagione complessivamente convincente, ma afflitta da una prima debole, doveva confermare la solidità dell’ambientazione.

Disincanto - Parte tre, ritorno a Dreamland

Gli eventi della precedente stagione, infatti, erano i punti di partenza ideali per dare maggior concretezza a una trama orizzontale che aveva preso il via nella seconda parte della prima stagione. Gli intrighi della madre di Bean, il complesso rapporto con la matrigna Oona e i machiavellici intrighi di palazzo sono l'eredità lasciata dai precedenti episodio, avventure narrate con piglio sarcastico ma, ammettiamolo, a volte non proprio convincente, che richiedevano quindi una correzione di rotta per dare a Disincanto quel tocco finale che lo rendesse pienamente convincente. Groening sembra avere compreso questa crepa nel suo mondo fatato, andando a lavorare su un aspetto essenziale per una principessa: la responsabilità.

Bean, sin dall’inizio, è stata presentata come un personaggio sopra le righe, una principessa ubriacona, tutt’altro che avvenente e più interessata a far baldoria che guidare un regno. D’altronde, parliamo di un reame governato da un re come Zøg, tutt’altro che modello di regnante e la cui eccentricità ben si sposa con l’indole ribelle della figlia. Pur appellandosi alla sua ben nota vena comica, Groening ha dipinto un racconto fantasy ironico e che deride alcuni dei topoi narrativi del genere, adattandoli alla sua narrazione per ritrarre una principessa che si discosta dall’immagine tipicamente fiabesca per avvicinarsi a una realtà in cui, nonostante creature mitiche e situazioni paradossali, lo spettatore può empatizzare con la protagonista.

E non potrebbe esserci migliore legame emotivo che l’affrontare il proprio ruolo, le proprie responsabilità, come dicevamo. In Disicanto – Parte tre, infatti, Bean non può più essere solo la pecora nera della famiglia reale, ma deve assumere il suo ruolo al servizio del regno, rinunciando alla sua vita egoistica per diventare la regnate che dovrà un giorno (forse nemmeno troppo lontano) sedere sul trono. Questo cambio di passo nella caratterizzazione di Bean viene gestito in modo ottimo in questi primi dieci episodi, che poggiano su una maggior solidità della trama orizzontale.

https://youtu.be/2XqYpUo2KI8

Pur focalizzandosi maggiormente su Bean, gli eventi narrati in Disincanto – Parte tre non mancano di spingere lo sguardo dello spettatore su altri personaggi, in primis Elfo. Il piccolo amico di Bean, infatti, diventa il centro emotivo di alcuni episodi, in cui la sua natura sensibile viene utilizzata come strumento per raccontare le difficoltà emotive nelle relazioni, o la voglia di trovare un proprio ruolo nell’ordine del mondo. Gli episodi che vedono protagonista emotivo Elfo sono appassionanti, uniscono in una felice sinergia emotività e ironia, contribuendo a dettare un ritmo narrativo vario che non veda solamente Bean come unica protagonista della serie.

Questo stacco, che come contropartita penalizza il ruolo di Luci, contribuisce a valorizzare una decina di episodi ricchi di promesse e capaci di mettere in moto una serie di eventi che arricchisce l’ambientazione e lascia ben sperare per la seconda parte. Il merito principale di questa terza parte di Disincanto è l’avere trovato una maturità narrativa sinora solo parzialmente sfiorata, grazie ad alcune ottime intuizioni (come la follia di Zøg) che consentono di dare un’energica sferzata alla trama orizzontale.

Grazie a questo consolidarsi del flusso narrativo possono emergere nuovi nemici, si possono mettere i personaggi di fronte a dilemmi morali e costringerli a crescere, prendendo coscienza del proprio ruolo, consentendo allo spettatore di godere di momenti emozionanti. Un mosaico di elementi che si rivela un racconto divertente, ironico e al contempo maturo, capace di affrontare temi maturi, dall’identità di genere al sacrificio per un bene più alto, mostrando forse per la prima volta la vera, appassionante anima di Disincanto.

Follia, intrighi e destini segnati

A uscire rafforzata dai primi dieci episodi di Disincanto – Parte Tre, quindi, non è solo Bean, ma tutti i personaggi che popolano questo dissacrante mondo fantasy assumono maggior personalità. Se la principessa rimane l’ovvio fulcro narrativo della serie, non si può comunque ignorare l’ottimo lavoro degli sceneggiatori nel dare maggior risalto ad altri protagonisti della serie, da Zøg a Odval, grazie all’introduzione di sottotrame personali e il ricorso agli immancabili compagni di ogni vita di corte di corte che si rispetti: inganno e segreto. In questi primi dieci episodi, infatti, iniziano a prendere finalmente forma le macchinazioni di chi si oppone alla corona di Dreamland e vengono svelati oscuri presagi e antiche maledizioni, le cui conseguenze potrebbero divenire il fulcro narrativo della quarta parte di Disincanto.

Questo passo in avanti della serie non si limita al comparto narrativo, ma si spinge anche sul piano tecnico. La realizzazione di alcune location della terza parte di Disincanto, come il regno sotterraneo dei Trog, è una mirabile opera di animazione, che trova la sua piena espressione nel viaggio psichedelico dei primi episodi o nella realizzazione di Steamland, il regno ‘meccanico’ già visitato in precedenza ma non ritratto con questa ricchezza e profondità.

La sensazione, dopo aver visto Disincanto – Parte Tre, è che Groening abbia finalmente trovato l’identità della sua serie. Quanto mostrato in precedenza era un passo iniziale in questo fatato mondo delle favole che ben poco ha di fiabesco, mentre in questi dieci episodi emerge l’umanità dei protagonisti, la loro fragilità che, pur nascosta dietro armature di sarcasmo e deflessione, emerge nella sua pienezza, rendendoli autentici e incredibilmente umani.

Disincanto- Parte tre è quindi una gradevole riconferma, in sui Groening sembra mostrare tutta la sua indubbia capacità espressiva, attingendo a piene mani dal suo repertorio narrativo, utilizzando con intelligenza ironia e racconto emotivo, dando vita a gag divertenti e momenti emozionanti. Senza dimenticare la sua tendenza citazionista, che in questi dieci episodi si diverte a omaggiare cult come Metropolis, Star Trek o Donkey Kong. La visione di questi primi episodi della seconda stagione di Disincanto si conclude con il sentore che Dreamland stia per diventare ancora più intrigante, e l’happy ending non è affatto scontato.

Potete vedere Disincanto sottoscrivendo un abbonamento a Netflix