Django, recensione: un solidissimo drama ambientato nel Far West

Sky e Canal+ unisco le forze per una nuova produzione internazionale, Django, ispirata allo spaghetti western cult di Sergio Corbucci.

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a cura di Domenico Bottalico

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Sky e Canal+ unisco le forze per una nuova produzione internazionale: Django. La serie, che esordirà il 17 febbraio tutti i venerdì in prima serata in esclusiva con due nuovi episodi su Sky Atlantic (disponibili anche on demand) e in streaming su NOW, è ispirata all'omonimo film del 1966, lo spaghetti western cult firmato da Sergio Corbucci che ha poi generato una moltitudine di sequel non propriamente ufficiali fra cui Django Unchained firmato da Quentin Tarantino. Ad interpretare l'iconico pistolero è Matthias Schoenaerts (Un sapore di ruggine e ossa, Bullhead – La vincente ascesa di Jacky, The Mustang, Amsterdam) affiancato da Nicholas Pinnock (Dark Encounter, Counterpart, For Life) nei panni di John Ellis, Lisa Vicari (Luna, Dark) in quelli di Sarah e Noomi Rapace (Millennium, Prometheus, Seven Sisters) nel ruolo della potente e spietata Elizabeth Thurmann. Da segnalare anche i cammei di Manuel Agnelli e Franco Nero, il Django originale, con un ruolo che si ricollega all'unico sequel ufficiale del film originale ovvero Django 2 - Il grande ritorno uscito nel 1987.

Django è scritta da scritta da Leonardo Fasoli (Gomorra – La Serie, ZeroZeroZero), Maddalena Ravagli (Gomorra - La Serie), Francesco Cenni, Michele Pellegrini e Max Hurwitz (ZeroZeroZero, Manhunt). Mentre la direttrice artistica della serie è Francesca Comencini (Gomorra - La serie) che firma la regia dei primi 4 episodi lasciando poi il compito da David Evans (Downton Abbey) e da Enrico Maria Artale (Romulus).

Texas, 1872.

Siamo in Texas nel 1872, la Guerra di Secessione è terminata con la vittoria dell'Unione e la schiavitù è stata abolita ma l'acredine fra nord e sud è tutt'altro che passata. New Babylon, città fondata sul fondo di un cratere, è una enclave che accoglie schiavi liberati e più in generale reietti ed emerginati. A governarla c'è il nero John Ellis e la sua futura moglie, una giovane ragazza bianca di nome Sarah. È lì che incontriamo uno straniero misterioso e silenzioso: Django. Lo straniero è arrivato in città in cerca degli uomini che anni prima hanno sterminato la sua famiglia, in mano, come unico indizio, ha una vecchia tabacchiera. Quando Django si intrufola a casa di Ellis, in cerca del denaro che gli spetta dopo un incontro di boxe, rischia di essere impiccato ma a salvarlo è proprio Sarah che si rivela essere sua figlia.

I due per il momento decidono di mantenere il segreto accettando che Django rimanga in città. New Babylon è infatti minacciata dalla fanatica religiosa Elizabeth Thurman, signora della vicina cittadina di Elmdale, che vorrebbe liberarsi della comunità costituita da ladri e peccatori e riappropriarsi del terreno su cui è stata edificata la città. Ellis infatti ha in mano un atto di donazione firmato dal padre di Elizabeth. Ma la situazione è destinata solo a precipitare quando si scopre che il sottosuolo di New Babylon è ricco di petrolio.

Mentre sale la tensione fra aggressioni e tradimenti, un groviglio di sinistri segreti e correlazioni fra Django, Sarah, John e Elizabeth inizia a farsi sempre più chiaro. Perché Django si è arruolato nell'esercito sudista? John Ellis ha combattuto per il nord ma qual è la sua correlazione con il padre di Elizabeth? Chi ha sterminato davvero la famiglia di Django? Perché Seymour, uno dei figli di John, vuole impedire che Sarah sposi suo padre?

Django: molto drama poco spaghetti western

"Che razza di nome è Django?" "È un solo un nome." "Vuoi dire che non è il tuo?" "In questa vita, sì." Con queste semplici linee di dialogo, Francesca Comenicini e la sua squadra creativa entrano nella "leggenda" del personaggio creato da Sergio Corbucci con una loro personalissima, solidissima e robustissima versione che, è bene subito sottolineare, non ha i connotati ironici e esagerati della sua ultima incarnazione cinematografica né quelli del classico spaghetti western, di cui invece recupera e piega a proprio piacimento alcuni stilemi, ma al contrario è un drama convincente che dal modern western mutua un certo rigore storico-narrativo e una certa attenzione per la verosimiglianza.

Django è lento e compassato nel ritmo. Si prende i suoi tempi per costruire quel groviglio di segreti e correlazioni citate poco sopra che costituiscono di fatto la spina dorsale di una sceneggiatura ad orologeria che pur non essendo perfetta funziona grazie ad alcuni twist azzeccati e a qualche "variazione sul tema" molto ben orchestrata. Se da un lato infatti i protagonisti sono connessi ma non in maniera così scontata come sembra dagli indizi disseminati nei primi episodi, e l'idea di rimaneggiare il classico espediente narrativo del "denaro", motore di tutti o quasi gli spaghetti western, prima nella possesso della terra e poi nello sfruttamento delle risorse sotto di essa contenute fanno virare e assumere nuova prospettiva al racconto anche in senso politico. Dove forse la serie pecca è nell'eccesivo indugiare su alcuni stilemi e dinamiche tipiche del period drama di genere, come il cult Deadwood, o a sfondo survival, New Babylon a tratti sembra uscita da The Walking Dead giusto per fare un esempio di facile portata. Si prova anche l'affondo inserendo sottotrame contemporanee che sì si rifanno ad un certo revisionismo moderno dei temi dello spaghetti western ma che francamente sembrano un po' forzate e non propedeutiche al racconto stesso.

In questo senso la regia si concede pochi richiami a quella tipica dello spaghetti western preferendo un approccio asciutto e pratico. A benificiarne sono le poche ma tese sequenze d'azione e quelle in analessi ambientate durante la Guerra di Secessione, brutali e spersonalizzanti, che richiamano lontanamente quelle de Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone. La produzione in questo senso è impeccabile, costumi e scenografie sono curatissimi, così come la fotografia, fredda e asciutta ma anche crepuscolare al punto giusto, è perfetta nel ricreare il tipico racconto di frontiera. Un po' troppo poco presente la colonna sonora che forse avrebbe meritato maggior risalto in alcuni frangenti.

La prova del cast è guidata da una Noomi Rapace assolutamente stellare che interpreta una antagonista che porta alle estreme conseguenze il Calvin J. Candie di Leonardo DiCaprio visto in Django Unchained donandogli una patina tragica, fanatica, implacabile. Quelli di Django non sono antieroi, come quelli degli spaghetti western classici, ma al contrario sono personaggi che, tratteggiati con poche e semplici pennellate, vedono il proprio idealismo continuamente messo alla prova in una perpetua oscillazione fra violenza e sopravvivenza sia che essa sia fisica o semplicemente legata alle proprie convinzioni o motivazioni.  Matthias Schoenaerts è un Django sofferente, pragmatico e cristologico nell'aspetto al punto giusto; Nicholas Pinnock assurge bene al compito dello stoico idealista mentre Lisa Vicari è perfetta nell'incarnare il punto di vista disincantato sulle vicende. Tutte prove attoriali convincenti per un cast decisamente azzeccato.

Django è quindi perfetta qualora vogliate aggiungere un ottimo drama dalla ambientazione "esotica" alla vostra personale watchlist. Attenzione però qualora sia dei fanatici degli spaghetti western o dell'azione di certi modern western potreste rimanere delusi.