Il mito dell'uomo più pericoloso del mondo: Elvis, recensione

Baz Luhrmann racconta in maniera pop e talvolta barocca l'ascesa del Re del Rock in Elvis fra vita, musica e spettacolo.

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a cura di Domenico Bottalico

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Anche per una delle icone assolute della cultura pop, Elvis Presley, arriva il momento del biopic con Elvis. La pellicola è firmata dal regista Baz Luhrmann (che cura anche soggetto e sceneggiatura con Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner) e racconta la vita e l'ascesa del Re del Rock interpretato da un Austin Butler particolarmente metodico con il supporto di un Tom Hanks, istrionico e luciferino, in quelli del Colonnello Tom Parker, lo storico impresario e manager di Elvis.

That's all right Mama: quando vita e arte si fondono

Elvis è raccontato in analessi dal punto di vista del Colonnello Tom Parker. Nel 1955 il Colonello è l'impresario di Hank Snow, uno dei più importanti cantanti country del paese, e gira il sud degli Stati Uniti con il suo carnival denominato Jamboree Attractions. Quando il figlio di Snow fa sentire a Parker il singolo That's All Right Mama, uscito per la piccola ma volenterosa Sun Records, rimane folgorato: un ragazzo bianco che canta come un nero. Il Colonello rintraccia Elvis, assiste ad una sua adrenalinica performance e lo ingaggia. Nel giro di pochi date, Elvis sostituisce Hank Snow come attrazione principale. Parker ha capito di aver per le mani qualcosa di rivoluzionario non solo per la musica ma anche a livello commerciale e, per questo motivo, imbonisce il giovane Elvis e la sua famiglia, a cui il ragazzo era molto legato, a firmare un contratto in esclusiva fondando la Elvis Presley Enterprises.

Fra concerti e apparizioni televisive al fulmicotone, già nel 1956, Elvis è una stella di portata nazionale e come tale attira le preoccupazioni di gruppi religiosi dei gruppi politici più conservatori e segregazionisti. Vengono a galla le origini di Elvis, cresciuto in un quartiere nero e poi nel fermento della scena musicale blues di Memphis, e vengono passati al setaccio i testi delle sue canzoni e in generale il suo spettacolo e le sue movenze provocatorie. Parker cerca di contenerlo, ripulire il suo spettacolo di modo da far calmare le acque, ma Elvis è infelice e decide, proprio durante una delle sue esibizioni pubbliche più attese, di contravvenire ai consigli di Parker.

La soluzione per calmare l'opinione pubblica è incredibile. Elvis viene chiamato alle armi e Parker gli consiglia di accettare, la sua immagine passerà così da quella di rocker ribelle a vero americano. Questa scelta però mette a duro repentaglio la salute di Gladys, la madre di Elvis, che muore poco prima che Elvis venga spedito in Germania. Lì conosce la sua futura moglie Priscilla.

Tornato dalla leva, Elvis è risucchiato nell'industria di Hollywood. Parker gli fa girare sempre più film dalla qualità discutibile solo per venderne le colonne sonore. Elvis è insoddisfatto e la sua carriera è ai minimi storici. Questo gli fa capire per la prima volta che la visione di Parker forse non è la migliore e ingaggia così Steve Binder per produrre lo speciale televisivo che proprio Parker aveva promesso alla NBC. Inizialmente pensato a tema natalizio, con tanto di colonna sonora, lo speciale si trasforma velocemente nel rilancio di Elvis che si presenta, per il primo set di canzoni, con giubbotto e pantaloni di pelle. È la prima performance di Elvis di fronte ad un pubblico dal 1961 e, sullo sfondo dell'omicidio di Martin Luther King prima e di quello di Bobby Kennedy poi, viene lanciato il singolo If I Can Dream.

All'alba degli anni 70, Elvis è nuovamente sulla cresta dell'onda grazie agli speciali televisivi che si susseguono vorticosi. I suoi nuovi collaboratori gli propongono un tour negli stadi fuori dagli Stati Uniti, cosa che il Colonnello aveva sempre osteggiato. Proprio Parker, attanagliato dai debiti, inizia a capire che la sua presa su Elvis sta svanendo e con un colpo di coda assicura al Re un ingaggio stellare apparentemente meno faticoso con meno concerti: solo 6 settimane al nuovo International Hotel & Casino di Las Vegas.

La possibilità di calcare un palco enorme e di potersi esibire con una orchestra di 30 elementi esaltano Elvis mentre il Colonello ricaccia qualsiasi velleità di tour all'estero con altrettanti tour negli Stati Uniti che, a sua detta, permettevano una maggior sicurezza di Elvis stesso, adducendo questa sua preoccupazione alle minacce di morte recapitate al Re. Intanto Elvis ha il primo crollo fisico, il piano di Parker è più massacrante del previsto e compare al fianco del Re un fisiatra addetto a "tirarlo su" o "farlo riposare".

Il matrimonio con Priscilla naufraga ed Elvis scopre che Parker l'ha costretto ad arruolarsi prima e non farlo andare all'estero poi perché nasconde un terribile segreto sul suo passato. Il Colonnello cita in giudizio la Elvis Presley Enterprises per gli anticipi maturati dal 1955 ed Elvis è costretto così ad accettare una nuova residency a Las Vegas sostanzialmente per pagare i debiti. Devastato nel corpo e nello spirito, Elvis morirà il 16 agosto del 1977 ufficialmente per un arresto cardiaco.

68 Comeback Special: l'America che cambia

Con Elvis, il regista Baz Luhrmann prova un approccio che è una sorta di via di mezzo fra Il Grande Gatsby e Moulin Rouge! dove musica e spettacolo si fondono sempre di più a qualsiasi livello, anche nelle scene di vita quotidiana, fino ad amalgamarsi. Le soluzioni barocche ed esagerate tipiche del regista di origini austriache non devono essere più "giustificate" ma vengono riassorbite nel racconto stesso dell'ascesa di Elvis che da semplice cantante diventa performer e poi mito ed icona in una escalation di grandeur musicale e personale.

Dal punto di vista registico, Luhrmann non rinuncia al suo stile ricco, quasi ridondante, fatto di un montaggio nervoso e ibrido che non disdegna sovrapposizioni, tagli esagerati e cambi psichedelici e post-produzioni volutamente posticce arrivando addirittura all'animazione quando si accenna all'amore di Elvis per i fumetti (a tal proposito recuperate il nostro articolo Elvis era una supereroe: l’ispirazione fu Captain Marvel Jr.) mentre le inquadrature indugiano spesso lascive sul giovane Elvis prima e poi sulla sua fisicità e sulla imponente presenza scenica, e non solo, dell'Elvis maturo. Il ritmo della pellicola è abbastanza alto, al netto dei 159 minuti circa di durata, merito anche della divisione quasi a compartimenti stagni del racconto scandito dalle varie fasi della vita e della carriera di Elvis. Lo stratagemma del racconto in analessi tramite il Colonnello Parker permette inoltre al regista, dal punto di vista della sceneggiatura e del racconto, di mantenere sempre una certa distanza da Elvis di cui solo in pochissime occasioni sentiamo pensieri e stati d'animo e che di contro ci viene mostrato come oggetto del desiderio, "marchio" commerciale, e poi icona appunto.

Più eclettico ma programmatico il primo atto, che si chiude con la morte di Gladys e la chiamata alle armi, più intimo e votato a rintracciare la trasformazione di Elvis in icona il secondo atto, che prende il via con la ricostruzione del mitico 68 Comeback Special e termina con la fine del matrimonio con Priscilla, fino al più "romanzato" e malinconico terzo atto in cui il Re è una icona disincantata ma felice ancora di dare al suo pubblico la sua musica.

Elvis non è un biopic che aspira alla ricostruzione pedissequa della vita del suo protagonista tant'è vero che alcuni passaggi sono omessi, alcune vicende giustapposte ad altre o appena accennate. L'intento è da un lato chiaramente celebrativo, non potrebbe essere altrimenti quando si parla del Re, mentre dall'altro vi è un cuore genuino, seppure forse un pochino programmatico, che vuole raccontare il cambiamento dell'America attraverso l'evoluzione di una delle sue icone.

È qui che Luhrmann dimostra di aver realizzato un film di carattere perché lascia l'Elvis uomo non pronunciarsi mai apertamente ma riflettere con eloquenti silenzi prima sulla segregazione e poi sugli omicidi di King e Kennedy. A parlare è la musica del Re, una musica che fa da collante: si evolve dai suoni scarni del blues e del gospel che rapiscono il piccolo Elvis e arriva nelle case di milioni di americani cantandone una certa ipocrisia e poi disillusione ed arriva fino all'apoteosi del palco glitterato di Las Vegas dove la musica è liturgia e il Re un maestro di cerimonie posseduto da un demone divino. È per questo che nel corso del film Elvis viene apostrofato come "l'uomo più pericoloso d'America": avendone capito contraddizioni e debolezze del paese, il Re le aveva smascherate attraverso canzoni e spettacoli sempre meno innocui e capaci, in svariate forme e declinazioni, di colpire coscienze e sentimenti.

La musica di Elvis si evolve penetrando il tessuto socio-culturale dell'America pur rimanendo, idealmente, di fatto sempre la stessa come si vede in una delle scene finali in cui That's All Right Mama viene riproposta in tre versioni diverse e come dimostra la scelta di inserire al fianco delle canzoni del Re anche degli arditi remix hip hop di alcuni suoi brani, di cui uno firmato addirittura da Emimen e Cee Lo Green.

La riflessione sottesa al racconto ha come risvolto della medaglia la quasi spersonalizzazione del Re che, soprattutto nell'ultimo atto del film, trova solo nella musica la panacea dei suoi mali ben rappresentati, fortunatamente non in maniera morbosa, dall'abuso di sostanze. Elvis, inteso come racconto della vita di Elvis, incarna perfettamente lo spettacolo della vita con i suoi alti e bassi, seppur filtrati dalla reverenza di una icona. Non è un caso che il film "sfumi" idealmente chiudendosi con una performance del vero Elvis (una incredibile versione piano e voce di Unchained Melody registrata il 21 giugno del 1977) che si sostituisce alla sua controparte cinematografica.

Elvis ha lasciato l'edificio

A tal proposito, la performance di Austin Butler è davvero buona. L'attore infatti ha preferito evidentemente non puntare tutto su un approccio meramente trasformistico (vedasi Rami Malek in Bohemian Rhapsody) ma al contrario ha fatto suo certe movenze del Re meno note come gli sguardi o le inflessioni della voce. Ha certamente catturato lo spirito più sexy di Elvis, soprattutto del giovane Elvis, esaltandosi poi nel terzo atto quando il periodo vegasiano offre una fisicità quasi da action movie. Fisicamente Butler ricorda solo lontanamente Elvis e in questo senso c'è molta più verve attoriale che mero trucco e costumi a cui però, va dato merito, di aver reso bene la stravaganza del Re in ogni fase della sua carriera sia che fosse il semplice taglio di capelli o i completi anni 60 che le tute o i basettoni e gli occhiali anni 70.

Altra nota di merito per Austin Butler: l'attore si è davvero cimentato con i brani di Elvis, quella che sentiamoci nel film è effettivamente la sua voce. A testimoniarlo c'è anche questo incredibile screen test.

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Butler trova poi in Tom Hanks una spalla esperta a cui appoggiarsi. Il premio Oscar infatti si cala perfettamente nella parte del Colonnello Tom Parker dimostrando di divertirsi in più di un frangente nel portare sul grande schermo un personaggio a metà strada fra buono e cattivo, un impresario vecchio stampo insomma. Neanche il pesante trucco gli impedisce di dare profondità ad un personaggio che sarebbe potuto essere facilmente ridotto ad un antagonista macchiettistico.

Ottimo il cast di comprimari da Helen Thomson nei panni di Gladys Presley, matrona cocciuta quanto basta, passando per un Richard Roxburgh che interpreta un Vernon Presley, taciturno e remissivo. Da segnalare anche Olivia DeJonge nei panni di una dolce Priscilla. Per i più curiosi: il chitarrista blues Gary Clark Jr. ha interpretato il bluesman Arthur Crudup (l'autore originale di That's All Right Mama) mentre Dacre Montgomery (il Billy di Stranger Things) ha interpretato Steve Binder.