6 film "con squali" da guardare in inverno

Quali sono i migliori "film di squali" da guardare in questo freddo inverno, lontani da mare, spiagge e pericoli degli abissi?

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a cura di Andrea Giovalè

Proprio in concomitanza con l’uscita, dal 30 gennaio, di Underwater, con Kristen Stewart, Vincent Cassel e TJ Miller, ci siamo chiesti quali fossero i migliori film di lotta tra Uomo e creature degli abissi, da rivedere tutti nel pieno inverno. Lontani da mare, spiaggia e ombrelloni, quali pellicole sono in grado di regalarci un brivido diverso, da quello freddo che ci colpisce ogni mattina, uscendo di casa? E perché hanno tutte a che fare con gli squali?

Lo Squalo

Per questo: eterno, seminale, archetipico, il capolavoro di Spielberg
ha tracciato meglio di qualunque altro le “regole del gioco” per i film di terrore balneare. Uscito nel 1975, e seguito da una serie interminabile di variazioni sul tema (Tentacoli, Pirahna, Grizzly, Alligator, L’orca assassina, tutti dal ’75 all’81, anno del plagio tutto italiano L’ultimo squalo) e seguiti, Lo squalo riesce tuttora a emozionare, spaventare e rievocare imperterrito il brivido ancestrale di nuotare in acque di cui non si conosce l’esatto contenuto. E non se ne conosce mai l’esatto contenuto. Oltretutto, c’è pure John Williams alle musiche. Serve altro per un tuffo nel passato?

Sharknado

Dall’arte classica al post-moderno. Sharknado è follia, specie se accostato al capostipite spielberghiano. Si parte dall’assurdo concetto di un’invasione di squali trasportati sulla terraferma dal forte vento temporalesco. Uragani, tornado ricolmi di pinne, pronti a devastare persino la sicurezza dell’entroterra americano.

Non sono tanto brividi di paura, quelli causati dalla saga di Sharknado (sei titoli dal 2013, compreso il geniale Sharknado 2 – A volte ripiovono), ma brividi di piacere, guilty pleasures forniti da un paio d’ore a cervello spento. Anche perché, accettate ciecamente le premesse, il divertimento non si lascia attendere. Intorno al terzo o quarto capitolo, incomincerete a pensare che l’incrocio tra shark e disaster movie non è affatto male come idea…

Paradise Beach – Dentro l’incubo

Dopo la parossistica parentesi di Sharknado, torniamo a navigare verso atmosfere squalesche più canoniche. Neanche stavolta, però, manca l’ibridazione, con un certo tipo di thriller claustrofobici e situazionisti. Un’allegra e naive Blake Lively, nella pellicola del 2016 di Jaume Collet-Serra, interpreta una turista in cerca della spiaggia segreta e perfetta come segnalatole  dalla madre, un po’ per surfare in pace, un po’ per ritrovare se stessa.

Il problema, chi l’avrebbe mai detto, è che uno squalo si frappone tra lei e la riva, confinandola su uno scoglio al calare della sera. Il giorno successivo, l’acqua alta permetterà alla bestia pinnata di raggiungerla e divorarla, a meno che lei trovi un modo di chiamare aiuto… o scappare da sola.

Il film somiglia molto al coetaneo Mine (produzione americana, scrittura e regia italianissime), solo che in quello il ruolo dello squalo è rivestito da una mina, siamo nel deserto, e al posto di Blake Lively c’è un militaresco Armie Hammer. Entrambe le opere svolgono egregiamente il proprio lavoro, e Mine esplora di più il passato e l’anima del suo protagonista, ma uno squalo è insostituibile.

47 metri

A proposito di situazioni claustrofobiche, altra icona classica del rapporto Uomo-Squalo è la gabbia. Da una parte, fonte di salvezza, di sicurezza, dall’altra possibile trappola mortale, pronta a trasformarsi dalla prima alla seconda in mano a qualsivoglia regista di thriller subacqueo.

È quel che succede in 47 metri: due sorelle si immergono in una gabbia per osservare gli squali. La fune di metallo si spezza, la gabbia precipita sul fondo dell’oceano. Le due sorelle possono solo contare su loro stesse per fuggire da quella trappola e soprattutto dagli squali, decisamente poco intenzionati a rimanere meri osservatori della vicenda. Film abbastanza canonico, quasi del tutto innocuo, non fosse per una buona intuizione, sul finale. Si guarda volentieri, con poco impegno, e lascia un buon sapore.

Blu profondo

Ritorno al passato, prima della stoccata finale. Siamo in chiusura di millennio, è il 1999 e, nonostante effetti speciali ancora non proprio all’avanguardia, il cinema del terrore marino decide di premere l’acceleratore sulla fantasia e partorire la sua versione di Jurassic Park. Un gruppo di scienziati cerca una cura per l’Alzheimer, sperimentando sul cervello di alcuni squali geneticamente modificati, in un laboratorio in mezzo al mare.

In seguito a una serie di incidenti, di laboratorio e non, gli scienziati finiscono sott’acqua, prede di squali che, grazie agli esperimenti, hanno l’intelligenza di esseri umani e la cattiveria, beh, di squali. In tutto ciò, c’è anche Samuel Lee Jackson, che quando si tratta di sfidare il mondo animale non si tira mai indietro (vedi Kong: Skull Island).

Curiosità: è stato realizzato anche un sequel, Blu profondo 2, destinato tuttavia al solo mercato home video. E, purtroppo, senza Samuel Lee Jackson.

Shark – Il primo squalo

Altro gruppo di scienziati nel contemporaneo Shark – Il primo squalo, in originale solo The Meg. Il titolo inglese sta per “megalodonte”, nome tecnico di un antico squalo estinto di enormi dimensioni. Estinto, finché qualcuno non esplora profondità mai raggiunte dell’oceano (per capirci, le stesse dalle quali, in Pacific Rim, fuoriescono mostri alieni giganteschi), disturbando l’ecosistema e liberando, in superficie, la belva troppo a lungo assopita.

Ci piacerebbe dire che basta un Jason Statham in pilota automatico per rendere il film divertente. Purtroppo, non è così. Ma, almeno fortunosamente, The Meg finisce nella categoria di film trash di cui fa parte, volontariamente, Sharknado. Poco importa che sia prevedibile nella trama e zoppicante nel ritmo, c’è uno squalo gigante che prende le barche a morsi. Oltre, c’è solo Godzilla.