Finch: un uomo, il suo cane e il loro robot

Finch, storia di un'insolita amicizia alla fine del mondo, disponibile su AppleTV+

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a cura di Manuel Enrico

Una Terra desertica e desolata è lo sfondo in cui si muove Tom Hanks in Finch, nuova proposta di Apple TV+, che torna nuovamente ad affidarsi al volto familiare dell’interprete di Forrest Gump per portare lustro alla propria offerta. Dopo una prima collaborazione lo scorso anno con Notizie dal mondo, il sodalizio tra Hanks e Apple TV+ lascia le atmosfere da film in costume per lanciarsi verso la fantascienza post-apocalittica, che trova in Finch, disponibile dal 5 novembre, una declinazione umana del mondo alla fine del mondo, che vede nell’aspetto emotivo della vicenda la sua vera forza.

Pur se presentato come produzione originale di AppleTV+, Finch ha una genesi che al pari di molte altre proposte del panorama streaming attuale è figlia dell’emergenza Covid. Voluto e realizzato da Univrsal Pictures, questo ritratto di uno spietato domani è approdato al servizio Apple quando la chiusura dei cinema ha portato a una migrazione di attese pellicole verso la nuova fruizione cinematografica, mossa attuata per contenere i costi. Se produzioni di alto spessore come No time to die o Black Widow hanno atteso di presentarsi al pubblico al cinema, o quanto meno in una forma ibrida, per Finch si è scelto di puntare solamente alla fruizione domestica.

Finch: storia di un'amicizia alla fine del mondo

Probabile che il lavoro di Miguel Sapochnik, noto in passato per avere diretto alcune puntata di Game of Thrones, non abbia convinto pienamente, nonostante a produrre Finch ci fosse un nome forte come Robert Zemeckis, nome forte dell’establishment hollywoodiano (Ritorno al Futuro, Flight, Polar Express). La sensazione è che la cifra emotiva di Finch non sia stata giudicata sufficientemente sicura per osare un passaggio in sala, come se la sola presenza di Tom Hanks non garantisse un congruo afflusso di spettatori. Stupisce, se pensiamo che stiamo parlando di un attore che ha profondamente segnato con le sue interpretazioni la cinematografica contemporanea, passando alla scanzonata interpretazione in Big a ruoli iconici come Robert Langdon (Il Codice da Vinci, Angeli e Demoni e Inferno) e James Donovan (Il ponte delle spie).

Eppure, Finch ha una sua connotazione empatica grazie alla presenza di Tom Hanks. L’intera pellicola, infatti, poggia sulla sua performance, prova attoriale convincente di un attore che mostra una maturità recitativa impeccabile, all’interno di questa storia solitaria e malinconica.

La Terra, dopo una tempesta solare, diviene un deserto mortale. Di giorno, i raggi ultravioletti possono uccidere nel giro di minuti, costringendo l’umanità a vivere in rovine urbane invase della sabbia e cercare disperatamente di sopravvivere.

Finch Waldenstein (Tom Hanks) è uno dei sopravvissuti, costretto a muoversi di giorno alla ricerca di cibo e attrezzature, indossando un’ingombrante tuta anti-radiazioni. È così bardato che lo conosciamo, mentre è in cerca di rifornimenti aiutato da Dewey, un robottino che ricorda un rover da esplorazione, che lo segue durante queste sue missioni. Dewey è una creazione dello stesso Finch, esperto ingegnere elettronico, che tiene compagnia al suo creatore insieme a Goodyear, un bastardino che è il fulcro dell’esistenza di Finch.

Conscio che la sua fine sia vicina, infatti, Finch sta cercando di costruire un robot umanoide che possa prendersi cura del suo amico a quattrozampe, al momento della sua morte. Scopo che trova compimento con la creazione di Jeff, robot che viene realizzato utilizzando attrezzature di fortuna ma che in breve diviene parte di questa atipica famiglia, costretta a lasciare il sicuro rifugio di Finch a Saint Louis alla volta di San Francisco, per sfuggire a una letale tempesta.

Finch diventa rapidamente un road movie, sensazione che, complice l’ambientazione post-apocalittica, lo avvicina a The Road. Laddove il film tratto dal romanzo di McCarthy dipinge un’umanità ferina con particolare crudeltà, la pellicola di Sapochnick preferisce indugiare sulla progressione emotiva del rapporto tra Finche e Jeff, mostrandoci un uomo schivo e da sempre poco incline alla socialità che ritrova la sua necessità di appartenere a un branco in questo mondo morente.

Il viaggio verso San Francisco è quindi scandito dalla crescita di questa amicizia. Jeff è la versione robotica di un bambino, costretto a crescere rapidamente sotto la guida sempre più ansiogena di Finch. Una storia che dietro i sporadici momenti di leggerezza, accompagnati da una gradevole colonna sonora, lascia emergere un vissuto emotivo greve e opprimente dell’elemento umano del gruppo, un Tom Hanks perfetto, capace di passare da un’ironia pungente a una disperazione esplosiva, che lascia interdetto lo spettatore sino alla rivelazione delle origini del rapporto tra Finch e Goodyear. La profonda amicizia tra Finch e Goodyear, però, non lascia ai margini del racconto i due comprimari robotici, ma anzi ne esalta la particolare sensibilità.

Un viaggio alla scoperta dell'umanità

Jeff e Dewey, infatti, non sono freddi meccanismi, ma sono dotati di una personalità semplice ma palpabile, fatta di piccoli gesti e vezzi, nel caso del piccolo rover, e di una più complessa emotività in itinere per il robot umanoide. Landry Jones anima tramite la motion capture Jeff, conferendo a questo dinoccolato uomo meccanico una mimica gestuale ineccepibile, che unisce alla sua movenza robotica un’imitazione delle movenze umane. Pose dimesse in caso di piccoli errori, spalle curve a simulare pentimento, braccia allargate a simboleggiare una vittoria per una piccola conquista o saltelli gioiosi per la scoperta del pop corn fedele alla quinta regola di Finch (‘Trovare sempre il modo di divertirsi’) diventano strumenti narrativi potenti per far trapelare un’umanità inattesa laddove difficilmente andremmo a cercarla.

Merito anche della regia di Sapochnick, che riesce a utilizzare la camera in modo da enfatizzare un senso di claustrofobica disperazione, specie durante il viaggio della speranza. Gli spazi aperti non evocano libertà e speranza, ma pericolo e rimpianto, la sensazione di un’umanità ferina, mai realmente presentata in scena, che ha ereditato una Terra inospitale e morente. Finch si svolge maggiormente in ambienti chiusi e compatti, come il laboratorio dell’ingegnere o l’interno del camper utilizzato per il viaggio, dimostrando una buona padronanza del regista nell’utilizzo del contesto fisco come elemento narrativo, sia in funzione della spazialità percepita dai protagonisti che per la gestione delle inquadrature.

Finch non vuole essere un blockbuster, ma una storia semplice che punta tutto sull’emotività. Hanks eccelle nel suo lavoro, Jeff e Goodyear sono due spalle perfette, ma questa incredibile empatia non nasconde che all’origine di questa pellicola manchi uno spunto veramente originale. Influenze da Mad Max, Chappie e Sopravvissuto sono abbastanza evidenti, si cerca un legame elettivo con lo spettatore citando le Tre Leggi della Robotica di Asimov, ma la sceneggiatura firmata da Ivor Powell e Craig Luck mostra qualche ingenuità nella sua ricerca di realismo. Elementi come le riserve energetiche, scorte alimentari e l’essenziale per la sopravvivenza vengono gestiti con superficialità, andando a intaccare duramente la sospensione dell’incredulità, che vacilla pericolosamente quando viene a mancare su schermo la presenza familiare di un Tom Hanks impeccabile.

Eppure, nonostante questi difetti, non si può fare a meno di seguire con apprensione il viaggio di Jeff e Finch, ci si commuove assistendo alle loro difficoltà. Finch è un racconto fatto di emozioni, arricchito da influenze sci-fi discrete e familiari, un’opera, se vogliamo, ingenua nella sua sensibilità, ma che consegna a AppleTV+ un’altra produzione che ribadisce l’identità del servizio streaming della Mela: rischiare su progetti con personalità. E Jeff non ha nulla da invidiare ad altri suoi celebri fratelli metallici.