Il futuro è una zona morta

Il film di Richard Stanley è una centrifuga psichedelica di tutti i luoghi comuni cyberpunk, ma il risultato è un film autoriale, con una visione assolutamente originale sul rapporto tra uomo e tecnologia. Un piccolo cult dimenticato, tutto da riscoprire.

Avatar di Alessandro Crea

a cura di Alessandro Crea

Hard3

L'incipit è da manuale. Un sole nero che lampeggia furioso, una ragazza con gli occhi che si muovono sotto le palpebre chiuse, a indicarci che tutto ciò che segue è una visione, un mondo possibile, che emerge quasi profeticamente da un io che riflette sul presente. Resti meccanici che emergono lentamente dalle sabbie. Un essere il cui aspetto suggerisce una natura non più interamente umana, che vaga nel deserto della Namibia - filmato con un filtro rosso per sembrare ancora più inospitale e infuocato - in cerca di rottami post-apocalittici da rivendere sul mercato nero.

Tutto serve a stabilire le coordinate principali del film: il futuro è una zona morta, devastata dalle radiazioni, ospitale quanto un altoforno rovente e popolata solo dai resti meccanici della nostra follia autodistruttiva. "Una terrificante visione del futuro", l'aveva definito all'epoca Dario Argento.

7478 0 screenshot

In questo contesto, il co-protagonista Moses Baxter (Dylan McDermott) anziché condurre l'umanità fuori dal deserto come l'omonimo personaggio biblico, rischia di trascinarla all'estinzione totale, portando a casa della ragazza la testa di un M.A.R.K. 13, senza sapere che si tratta di un androide in grado di auto ripararsi, ma soprattutto ignorando lo scopo per cui è stato originariamente costruito. "Nessuna carne sarà risparmiata". La citazione biblica (traduzione dell'originale inglese, sulle nostre Bibbie solitamente resa con un meno inquietante "nessun uomo si salverebbe") presa dal Vangelo secondo Marco (capitolo 13, da cui appunto M.A.R.K. 13), chiude il cerchio. Un cerchio terribilmente angusto, in cui l'umanità ha letteralmente costruito la propria nemesi, l'arma dell'estinzione totale.