Tremiti apocalittici tra slasher e cyberpunk

Il film di Richard Stanley è una centrifuga psichedelica di tutti i luoghi comuni cyberpunk, ma il risultato è un film autoriale, con una visione assolutamente originale sul rapporto tra uomo e tecnologia. Un piccolo cult dimenticato, tutto da riscoprire.

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a cura di Alessandro Crea

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Da un punto di vista formale il film di Stanley è famoso anche per l'atmosfera che il regista ha saputo ricreare, permeandolo di riferimenti all'immaginario culturale "alternative". I più appassionati ad esempio avranno riconosciuto in Hardware i cameo di Carl McCoy dei Fields of the Nephilim - band Goth Rock di fine anni '80 - che interpreta il nomade che raccoglie la testa del M.A.R.K. 13, o di Lemmy Kilmister dei Motörhead nel ruolo del taxista che ascolta Ace of Spades. Impossibile invece nell'edizione italiana capire che lo speaker della stazione radio WAR è Iggy Pop. Nella scena in cui il robot si auto ripara e in quella in cui tenta di uccidere Jill è impossibile poi non riconoscere Tetsuo di Shinya Tsukamoto.

Anche l'influenza della letteratura Cyberpunk è ovviamente visibile. Il mondo descritto da Stanley è permeato di tecnologia - l'arto robotico di McDermott, i tanti sistemi tecnologici diffusi nei vari ambienti etc. - eppure essa è neutra, non migliora né peggiora la vita dei personaggi, semplicemente ne è parte integrante.

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Ma è nello stile che Richard Stanley osa di più. Il film infatti, dopo una prima mezz'ora più lenta in cui si costruiscono le premesse della storia, si trasforma improvvisamente in un vero e proprio slasher, dove al Jason o Michael Myers di turno si sostituisce il M.A.R.K. 13. In questo caso però l'adozione di uno stile da horror non è esteriore ma dettata dalla necessità di rendere evidente l'inumanità e la serialità industriale con cui il robot esegue il suo compito, al fine di sottolineare la follia del progetto stesso che l'ha partorito. Per vedere un approccio così radicale alla commistione di generi al fine dello sviluppo della narrazione bisognerà attendere altri 4 anni, quando nel 1994 un certo Quentin Tarantino porterà sul grande schermo Pulp Fiction.

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Stanley infine si diverte a ribaltare i topoi della narrazione nel suo film e così, in un mondo popolato unicamente da uomini, l'eroe è una donna (Stacey Travis). In una terra arida e riarsa la sua arma sarà l'acqua, che scorre e dà la vita. In questa coppia opposta e speculare a quella uomo/aridità sta l'essenza di Hardware. Ma il tempo scorre inesorabile e probabilmente l'apocalisse è solo rinviata. Il nomade sta vagando ancora una volta per le terre desolate e chissà cosa riporterà questa volta.