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a cura di Mariagrazia Veccaro

L'imperdibile appuntamento con uno dei più vitali cineasti contemporanei, Werner Herzog, è fissato nelle nostre sale dal 19 al 22 gennaio 2020, con il documentario "Herzog incontra Gorbaciov", distribuito dalla Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Dalla dura infanzia contadina a Privolnoye, in quel Caucaso martoriato dalla carestia seguita ad un guerra, agli studi presso l'Università di Mosca, fino alla rapida ascesa nelle fila del Partito Comunista Sovietico, il documentario è un viaggio tra ricordi, materiali d'archivio e testimonianze d'eccezione che consentono di ripercorrere le tappe salienti della biografia dell'ottavo e ultimo presidente dell'Unione Sovietica, Michail Sergeevič Gorbačëv e, con lui, della Storia mondiale novecentesca (dalla firma degli accordi sul disarmo nucleare alla fine della Guerra fredda e al crollo dell'Urss, ad esempio).

"Herzog incontra Gorbaciov" è stato prodotto da André Singer, che del documentario girato nel 2018 ma distribuito solamente adesso al Cinema, ne è anche il co-regista.

Fra i vari approfondimenti, Werner Herzog è stato in grado di discutere con Gorbačëv anche della tragedia di Chernobyl quando il leader della Perestrojka era stato accusato - così com'è stato anche evidenziato dall'omonima serie tv di  Craig Mazin e Johan Renck- di scarsa capacità decisionale, nonostante il grande consenso pubblico ricevuto nei primi tre anni di ascesa politica.

Di fronte alla titanica figura di Gorbačëv politico e alle vicissitudini di quest'uomo curioso e autoironico nella sua più sincera intimità, tenacemente legato alla sua terra e al ricordo della moglie Raissa, il regista di Aguirre e Fitzcarraldo ha dichiarato:

Ho trovato a Mosca una figura tragica e solitaria, circondata da persone che lo incolpavano per la perdita dell'Unione Sovietica e per non aver adempiuto alle promesse della Perestrojka e del Glasnost.

"Herzog incontra Gorbaciov" abbraccia tre incontri avvenuti nell'arco di sei mesi fra Herzog e l’ormai ottantanovenne ex presidente dell’Unione Sovietica il quale, in chiusura dei suoi numerosi aneddoti sull'ambizione ottusa di Elsin, la volitività della Tatcher e la socievolezza di Reagan, sceglie di salutare il suo interlocutore con un ultimo, laconico desiderio:

Vorrei che sulla mia lapide fosse inciso "Ci abbiamo provato".

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