I Gioielli Sognanti e altri gioielli, recensione: il tesoro perduto di Theodore Sturgeon

I Gioielli Sognanti e altri gioielli, Mondadori rende onore alla narrativa di Theodore Sturgeon, uno dei maestri dimenticati della sci-fi americana

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a cura di Manuel Enrico

Non fatevi ingannare dalla vivacità della copertina de I Gioielli Sognanti e altri gioielli. Calda, ricca di sfumature che promettono una poetica vitalità, eppure è uno scrigno ingannevole di una dialettica fantascientifica in cui viene presentata un’umanità totalmente differente. Ma non per questo meno appassionante, anche se il nome di Theodore Sturgeon difficilmente viene citato quando si parla dei grandi maestri della sci-fi americana della golden age del genere, lasciando che siano le figure di Asimov e Bradbury a dominare la scena, lasciando poi il testimone a Herbert o Dick, dimenticando vergognosamente la centralità della produzione di Sturgeon.

Complice la contenuta narrativa di Sturgeon, che contrariamente alla prolifica produzione di autori come Asimov con il suo Ciclo delle Fondazioni o di Herbert con Dune, ha offerto ai suoi lettori una ristretta gamma di storie, che meritano però il titolo di gioielli. Una visione autoriale che viene ben caratterizzata dal volume di Mondadori, che tramite i suoi Draghi sta presentando ai lettori appassionati di sci-fi la possibilità di recuperare i grandi maestri del genere, dando anche a nomi ‘minori’ una chance di essere scoperti da nuovi lettori. Se da un lato questo accostamento ci consente di collocare I Gioielli Sognanti e altri gioielli al fianco de Il Ciclo delle Fondazioni o a Il Ciclo di Rama, nel caso di Sturgeon un ideale compagno di scaffale potrebbe, a sorpresa, esser anche On the Road di Kerouac.

I Gioielli Sognanti e altri gioielli, Mondadori rende onore alla narrativa di Theodore Sturgeon

Il senso di questa affinità si racchiude nel modo con cui Sturgeon si discosta dalla tradizionale dell’autore di science fiction del periodo, specie se ci rivolgiamo a quel periodo seminale del fantascienza americana che va dai primi anni ’40 sino agli ’60. La formula del racconto dominava la scena grazie alle leggendarie riviste di Campbell, ma non mancavano autori che andavano componendo, proprio partendo dalla pubblicazione a puntate su tali magazine, la propria continuity letteraria. Un meccanismo che si conciliava maggiormente con una proiezione temporale diretto al lontano al futuro, dove Trantor risultava più affascinante di Washington, in una dinamica narrativa che si allontanava dal presente, cercando metafore futuristiche per descrivere l’attualità. La tendenza dei grandi autori del periodo era la costruzione di una macroanalisi sociale, con interi ecosistemi sociali cesellati minuziosamente, orizzonti temporali dilatati e una volontà critica che indagasse su grande scala.

Sturgeon, invece, si muove in tutt’altra direzione. Mentre gli autori del periodo vivevano la scrittura di sci-fi come un guilty pleasure, complice una considerazione collettiva che vedeva la science fiction come una letteratura minore, Sturgeon era invece fiero di questa sua dimensione autoriale, che viveva liberamente. Al punto che non solo ne era fiero, ma elaborò persino un concetto passato alla storia come la Legge di Sturgeon, bene spiegata nell’introduzione al volume Mondadori, vergata da Nicoletta Vallorani:

è vero che il 90 per cento della fantascienza è spazzatura (crud, per la precisione), ma del resto il 90 per centro di qualsiasi cosa è spazzatura. La rivelazione si porta appresso un corollario importante, che ancora si fatica a sostenere: la migliore fantascienza è esattamente al livello della migliore sceneggiatura

Pensiero in linea con la personalità atipica di Sturgeon, capace di passare di lavoro in lavoro con discontinuità o di costruire e sfasciare famiglie con sorprendente facilità. Eppure in questo sua idea si racchiude, forse inconsciamente, la sua contenuta produzione, con pochi lavori presentati a distanza di anni e quasi sempre in concomitanza con eventi di una certa portata per la società americana. Un dettaglio che non si può ignorare, considerato come Sturgeon restringe prepotentemente l’orizzonte di analisi della fantascienza. Che si occupino gli altri di creare grandi imperi galattici, insomma, per Sturgeon è più interessante il quotidiano, il ritrarre la società americana nella sua concretezza, tralasciando le suggestioni più ‘fantastiche’ per andare a cercare una radice quotidiana che mettesse sotto analisi la natura umana. Intento impeccabilmente intrecciato a una ritrattistica dell’american way contemporanea, ritratta spietatamente nelle sue ipocrisie (come in Killdozer) o fotografando un’America perduta, figlia del suo tempo e delle sue tradizioni perdute (Gioielli Sognanti).

Ognuna delle opere di Sturgeon presentate in I Gioielli Sognanti e altri gioielli presenta chiaramente l’approccio narrativo del suo autore, una crasi impeccabile tra il fantastico, mai soverchiante ma sempre asservito rispettosamente alle esigenze del racconto, e il reale. L’occhio di Sturgeon guida la sua narrativa verso una descrizione minuziosa del mondo reale che si fonda su una precisa ricostruzione del concreto, andando a valorizzare dettagli di vita comune che agganciano la curiosità del lettore portandolo all’interno di un mondo che percepisce come possibile, spezzando poi quando slancio ritrattistico con l’evento scatenante, con la componente fantastica che svolta la storia verso lidi sorprendenti. Probabilmente nei primi due lavori presentati (Killdozer e I Gioielli Sognanti), il lettore può ritrovare familiarità con opere successive di altri apprezzati romanzieri americani, King in primis, dove la commistione tra fantastico e tessuto reale sono all’ordine del giorno.

L'eredità di un'America perduta

Sarebbe comunque ingiusto circoscrivere l’importanza di Sturgeon all’essere un mero ispiratore per la generazione successiva. Se da un lato è innegabile che la sua sin troppo contenuta produzione sia una precorritrice di una narrativa che vede nel citato King o in altri autori come Dick dei degni eredi, non si può fare a meno di ravvisare una visione realmente in anticipo sui tempi per la trattazione dei temi. I figli di Medusa tratta con l’ironia tipica di Sturgeon la disparità di genere, mentre Più che umano (1957) affronta con uno slancio quasi lisergico il difficile confronto tra i pariah sociali e la collettività.

La bellezza di un’antologia come I Gioielli Sognanti e altri gioielli è la possibilità di ritrovare un volume unico queste differenti sfumature di Sturgeon, offrendo una visione completa dell’opera di un autore che mantiene sia una personalità concreta nella sua percezione del mondo che una dinamicità lessicale e strutturale ancora oggi godibile, complice una fortunata continuità di stilemi che permane nelle diverse opere nonostante siano state tradotte in italiano da ‘voci’ diverse. Un concorso di fattori che ribadisce la potenza e l’importanza della narrativa di Sturgeon, autore che sembra, quasi come l’homo gestalt del suo racconto, essere un ibrido scaturito dall’unione tra la sci-fi e la cultura beat, offrendo un raro ma accorato ritratto di un’America che nella sua visione fantastica racchiude la sua essenza concreta.