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Il Confine - Il marchio della carne, recensione: i segreti perduti nel tempo

Il Confine: Il marchio della carne, il nono volume della serie, è uno sguardo al passato per comprendere il presente.

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a cura di Manuel Enrico

In sintesi

Il Confine: Il marchio della carne, uno sguardo al passato per comprendere il presente

Ogni luogo ha una storia, e ogni storia ha un mistero che aspetta di venire scoperto. La simbiosi che si crea tra individuo e ambiente di crescita, sia familiare che inteso come comunità, è un dato di fatto, una relazione sottile e invisibile che non può che rivelarsi una ricchezza emotiva se utilizzata con attenzione all’interno di una storia che proprio su questi due pilastri fonda la propria essenza. Non è un mistero che Il Confine, il thriller venato di inquietante mistero bonelliano, sia costruito su questa interconnessione, una relazione che si dipana lungo la narrazione, trovando in Il Confine: Il marchio della carne una delle sue espressioni più vivide.

Nono volume della serie creata da Mauro Uzzeo e Giovanni Masi, Il Confine: Il marchio della carne riveste un ruolo centrale nella valorizzazione della componente mistery della serie. Un elemento che non viene meramente inserito facendo leva su una banale suggestione frutto di scelte narrative forzate o di espedienti abusati, ma si fonda su una visione concreta e direttamente esperita dai due autori. La creazione di un ambiente che, per quanto apparentemente contemporaneo e moderno, tradisce una sorta di isolamento identitario rispetto al resto del mondo è stato reso con la creazione di dinamiche interpersonali e di piccoli segnali che scaturiscono da un’esperienza epidermica e reale di Uzzeo e Masi.

Il Confine: Il marchio della carne, uno sguardo al passato per comprendere il presente

Questa separazione dal resto del mondo, ennesima incarnazione del concetto di confine che anima l’opera, assume all’interno de Il Confine: Il marchio della carne una vitalità ancor più marcata. Sin dalle prime battute de Il Confine è stato palesata questa chiusura degli abitanti del luogo verso l’esterno, in principio facendo leva su un comprensibile senso di comunità, salvo poi espandere questa ritrosia vero altre implicazioni, che hanno condotto alla maggior definizione di un paganesimo boschivo che si è scontrato con l’incedere di una modernità che mira, al contrario, a scardinare questa tradizione gelosamente protetta dalle ultime depositarie di misteri locali di grande potere. Non è un caso che sia una nuova generazione a rappresentare l’elemento di rottura in questo universo circoscritto, in seguito al drammatico evento che ha dato via alla storia de Il Confine.

Tuttavia, se è vero come dicevamo che ogni luogo ha una propria storia, non si può ignorare come l’ambiente stesso reagisce al cambiamento che viene impresso dagli stimoli esterni, siano persone o nuovi ritrovati (centrale il tal senso l’interconnessione imperante cui i giovani protagonisti sono profondamente legati). In un’evoluzione narrativa così articolata, fondata su un ritratto sociale concreto venato da pregevoli tinte thriller riconducibili alla scuola di maestri come il Lynch di Twin Peaks, voler dare anche al passato del paese, e quindi alle figure divenute storiche di questo centro abitato, una maggior rilevanza diviene un’esigenza, specialmente se si vuole far risaltare anche un’apparente ciclicità che pare animare questo paganesimo boschivo che rimane, per quanto sapientemente e gelosamente custodito da pochi eletti, al centro della vita degli ignari paesani.  Un tratto che è stato perfettamente racchiuso in una dichiarazione di Mauro Uzzeo:

Nei paesi, a differenza delle grandi città, si conoscono tutti. I legami tra le persone sono intricati fili di una ragnatela che collega parentele perse nel tempo, amori e diatribe dimenticate ma che resistono in una eco che intacca i rapporti di tutti. Storie infinite che si tramandano di padri in figli all’interno di società silenziosamente – e meravigliosamente – matriarcale. E nei paesi, soprattutto quelli di confine tra l’urbanizzazione e le aree rurali, persistono miti legati a un folklore che permea il quotidiano scorrere delle vite di ogni abitante e noi quello volevamo raccontare. Come i rigurgiti di un paganesimo contadino fossero strettamente collegati ai miti boschivi, e quanto il confine tra il razionale mondo conosciuto e l’irrazionale imprevisto s’incontrassero perfettamente tra le ombre degli alberi che separano le ultime casine di periferie dall’inizio dei sentieri montani.

Il Confine: Il marchio della carne, assieme a capitoli come Gli eroi non piangono e L’inverno che non se ne va, è uno di punti di massima espressione di questo ritratto dell’animo più intimo e graffiante del paese al centro della vicenda de Il Confine. Come evidenziato dagli autori durante la nostra intervista antecedente a Lucca Comics and Games 2022, la visione di Uzzeo e Masi della cronologia de Il Confine è sviluppata come un fil rouge già consolidato, consentendo loro quindi di poter utilizzare con attenzione i flashback adatti per potere dare le giuste suggestioni ai lettori senza anticipare troppo sviluppi futuri.

Tornando ai tempi della guerra e svelando un capitolo del passato di una delle figure chiavi della saga, Uzzeo e Masi stuzzicano il lettore costruendo un momento della continuity della serie in cui viene mostrata, in un certo senso, l’origine di uno dei personaggi centrali nelle dinamiche centrali de Il Confine. Scelta intrigante e collocata in un momento della serie in cui dare ulteriore spessore all’elemento mistico è perfetto, soprattutto se si utilizza una felice scelta lessicale che consente, nei dialoghi, di dare ulteriore risalto a quell’aspetto di folkloristica tradizione boschiva mettendo al centro della scena la montagna, testimone silenziosa di gran parte degli eventi de Il Confine,  e il bosco, che nella sua oscurità è già stato teatro di momenti di grande tensione.

Cura del dettaglio e visione della storia

La costruzione di questo momento centrale della saga passa anche da uno dei tratti più interessante de Il Confine: l’utilizzo del linguaggio. La serie ha già dimostrato come questa componente essenziale della grammatica fumettistica sia stata declinata in modo da risultare sempre coerente tanto con i personaggi quanto con il tipo di impostazione del racconto, arrivando a inglobare anche la comunicazione social all’interno delle tavole al fine di trasmettere ulteriore concretezza alle relazioni dei giovani protagonisti. Con Il Confine: Il marchio della carne viene ulteriormente valorizzato questa specificità de Il Confine. Guidati dal periodo storico in cui è ambientato questo capitolo della serie, i due autori adattano non solo il linguaggio verbale dei protagonisti, rendendolo coevo al periodo e animato da forme lessicali oggi desuete ma all’epoca quotidiane, ma introducono la voce narrante, nella forma di estratti dal diario di Vanni.

Un’innovazione all’interno della serie, che ha un uso estremamente ridotto delle didascalie, sempre finalizzato a una moto transitorio tra diversi personaggi, che in Il marchio della carne diventa un fil rouge tramite cui il lettore vive questo intenso capitolo dal punto di vista di Vanni, percependone tutta la drammatica esperienza personale. Espediente autoriale che trova una realizzazione impeccabile, frutto di una precisa visione dell’opera che era stata bene evidenziata da Masi:

Quando abbiamo ragionato su come impostare il numero 9, ci siamo resi subito conto di quanto Vanni sarebbe risultato il protagonista. E quindi abbiamo ragionato su come un uomo dei primi del ‘900, custode di un segreto terribile, si sarebbe comportato. La forma diario ci è sembrata quella che probabilmente sarebbe stata scelta da Vanni stesso. Ci siamo andati così a sfogliare la narrativa dell’epoca, cercando di ritrovarne il ritmo della scrittura e adattandolo al contesto e al background del nostro personaggio. E infine abbiamo chiesto alla grandissima Marina Sanfelice di trovare una didascalia e un font adatti a trasmettere quel tipo di sensazioni che cercavamo. Come riferimenti, siamo andati a prendere le lettere che i soldati della Prima guerra mondiale spedivano a casa. Se ne trovano tante, per fortuna, e abbiamo preso a riferimento quel tipo di calligrafia che era di uomini spesso non troppo acculturati, ma che comunque usavano la forma epistolare per comunicare con i propri cari. Tutto questo lavoro ci ha permesso di avere un numero in cui, per la prima volta, usiamo appunto le didascalie per raccontare i pensieri di un uomo che cerca di proteggere suo figlio da qualcosa di terrificante che arriva dai boschi. Ci è sembrato un buon modo per trasmettere tutta la sua angoscia e le sue preoccupazioni.

Tutte queste componenti narrativa trovano nello stile di Ambrosini la perfetta interpretazione visiva. Non solo nella cura con cui il disegnatore ricrea le atmosfere del periodo, ma per come vengono ritratti i personaggi, sempre colti in uno stato di perenne tensione che viene ben gestita sia tramite espressioni sofferte e angosciate, che tramite pose del corpo tese e finalizzate a suggerire inconsciamente al lettore il sentore di un dramma imminente. Una costruzione accorta e mai banale, fatta di gesti forti o di spiazzanti attimi di tenerezza, che culmina in una sequenza di doppie pagine dai toni volutamente stridenti e che trasmettono un’inquietudine lacerante, predisponendo all’evento finale che viene quindi mostrato a un lettore nel giusto stato emotivo.

Questa cura assoluta del dettaglio trova conferma nei ricchi extra del volume, che, come da tradizione della collana, offrono una visione privilegiata del percorso creativo de Il Confine. A ribadire la personalità forte di questo nono capitolo, troviamo un’intervista a Libero Gronchi, erede della famiglia omonima proprietaria della cava di marmo del paese, che viene utilizzata come raffinato strumento narrativo per dare una prospettiva più strutturata alla trama de Il Confine. Ulteriore conferma di come la serie bonelliana sia dimostrazione di una nuova serialità, non solo intesa come scansione delle pubblicazioni, ma anche come impostazione narrativa, dove ogni aspetto della fisicità dei volumi può divenire portatore di dettagli importanti, ampliando l'esperienza del lettore e avvicinandolo a una fruizione più completa dell'intero volume, un intento quasi didattico e che potrebbe aiutare a far luce sui tanti misteri che ci attendono in questo sperduto paese tra i monti.

Voto Recensione di Il Confine: Il marchio della carne



Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - Capitolo fondamentale della serie

  • - Ritratto storico del paese avvincente

  • - Utilizzo del linguaggio impeccabile

Contro

  • - Non pervenuti

Commento

Il Confine: Il marchio della carne, assieme a capitoli come Gli eroi non piangono e L’inverno che non se ne va, è uno di punti di massima espressione di questo ritratto dell’animo più intimo e graffiante del paese al centro della vicenda de Il Confine. Questa separazione dal resto del mondo, ennesima incarnazione del concetto di confine che anima l’opera, assume all’interno de Il Confine: Il marchio della carne una vitalità ancor più marcata

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