Il Nome della Rosa – La serie: prime impressioni

Sono andate in onda le prime due puntate della fiction RAI : Il Nome della Rosa – La serie, un prodotto che ci ha subito convinto per qualità, spessore e respiro internazionale, facendo compiere alla fiction RAI un drastico passo in avanti rispetto agli ultimi anni e anche a prodotti come I Medici.

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a cura di Alessandro Crea

Ecco le nostre prime impressioni dopo le due puntate iniziali di "Il Nome della Rosa – La serie", andate in onda ieri sera. Un prodotto che è parso sin da subito finalmente maturo, di grande qualità e dal respiro internazionale, in grado di offrire diversi livelli di lettura e di parlarci del nostro presente. Un deciso passo in avanti per la fiction targata RAI, anche rispetto ad altre produzioni internazionali recenti come I Medici.

Ritroviamo in "il Nome della Rosa – La serie" tutta la cura per i dettagli tipica della migliore tradizione cinematografica italiana – pensiamo ad esempio ai costumi del pluri candidato agli Oscar Maurizio Millenotti e alle scenografie di Francesco Frigeri - qui al servizio di una storia molto più solida, profonda e coinvolgente.

Merito certamente del libro di Eco da cui si parte, ma anche dell'ottimo lavoro di sceneggiatura effettuato dal regista Giacomo Battiato assieme a John Turturro, Andrea Porporati (Lamerica) e all'autore teatrale Nigel Williams, che ha al suo attivo un capolavoro come Elizabeth I.

Grazie anche alla grande durata di "Il Nome della Rosa – La serie", produzione composta da otto episodi di circa 50 minuti ciascuno, Battiato ha avuto la possibilità di essere molto più fedele al testo originario anziché tentare forzatamente la riduzione come dovette fare, per altro con ottimi risultati artistici, Jean Jacques Annaud nel suo film del 1986.

La serie TV dunque riesce, come il libro del 1980, a essere un lavoro complesso e stratificato, ma anche estremamente semplice e gradevole da seguire. A fare da fil rouge infatti c'è il doppio binario del racconto di formazione del giovane Adso e l'enigma dei misteriosi omicidi, ma il testo offre molto di più, tra riflessioni religiose e filosofiche e una profonda riflessione sulla verità, che era poi l'argomento principale della riduzione cinematografica.

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Sullo sfondo un'Europa tremendamente attuale, tra cosmopolitismo e oscurantismo, migranti, guerre e fondamentalismi, in cui la conoscenza è vista come minaccia anziché come soluzione, chiusa in un labirinto esoterico gestito da elite che vorrebbero gestirne l'accesso, decidendo paternalisticamente chi può sapere cosa.

Il tutto è narrato con stile registico attuale e perché no, anche un pizzico modaiolo, da un Giacomo Battiato in stato di grazia, che si avvale anche della splendida fotografia di John Conroy (Penny Dreadful) che lavora magistralmente sui contrasti tra ombre e luci e sull'assenza di colore negli interni caldi ma soffocanti e cupi, contrapposta agli idilliaci esterni di una natura ancora libera e colorata, ariosa.

Ma se Il Nome della Rosa appare un'opera solida e coinvolgente già dopo le prime due ore, gran parte del merito è anche del cast stellare riunito per l'occasione e ottimamente sfruttato da Battiato, che ne valorizza i volti espressivi con primissimi piani alternati a inquadrature d'insieme, secondo la lezione di Dryer.

Parliamo infatti di attori del calibro di John Turturro nei panni di Guglielmo da Baskerville, Rupert Everett in quelli di Bernardo Gui, Michael Emerson (Lost, Person Of Interest), che qui impersona l'abate Abbone da Fossanova, James Cosmo, l'indimenticato interprete di Jeor Mormont in Il Trono di Spade, qui nei panni del monaco cieco Jorge da Burgos, Richard Sammel (The Strain) come Malachia da Hildesheim e poi ancora Fabrizio Bentivoglio/Remigio da Varagine, Stefano Fresi (Smetto quando voglio) che interpreta il deforme Salvatore, il grande Roberto Herlitzka/Alinardo da Grottaferrata, Alessio Boni/Dolcino e Tchéky Karyo/Papa Giovanni XXII.

Insomma, le prime due puntate di "ll Nome della Rosa – La serie" convincono a pieno e mostrano un avanzamento drastico di RAI Fiction verso un livello qualitativo che prima sembrava irraggiungibile e prerogativa delle più ricche produzioni statunitensi. La strada intrapresa sembra quindi quella giusta, anche se ovviamente ci riserviamo di trarre le conclusioni a fine stagione, quando vi proporremo la recensione completa.