Il prigioniero (1967), una serie TV che più cult non si può

Il prigioniero fu una serie TV dalla vita breve, ma questo non le impedì di diventare un cult.

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a cura di Omar Serafini

Nota del curatore. Il Prigioniero, la seria scelta oggi dal sempre brillante Omar Serafini, fa accendere un paio di lampadine nel vostro curatore. La prima mi ha sempre affascinato, ed è il fatto che ho ascoltato decine di volte il dialogo iniziale senza sapere da dove venisse.

Era naturalmente nella canzone The Prisoner degli Iron Maiden, che come al loro solito (ma che ne sapevo io) coglievano l’occasione per celebrare la cultura intorno a loro. Ancora oggi quelle parole, I’m not a number, I’m a free man, la risata e le note potenti che le seguono mi fanno un certo effetto sconvolgibudella.

La seconda lampadina è imbarazzante, perché non può essere altrimenti se il curatore di una rubrica come Retrocult non ha mai visto questa serie. Eppure eccomi qui a confessare. Dicono che sia il primo passo per espiare i propri peccati, grandi e piccoli che siano. Chissà se finirò anch’io per trovarmi appioppato un numero e derubato del nome. Chissà che non sia già successo che ognuno di noi sia finito in una specie di prigione dove c’è un grande potere invisibile che controlla tutto, e il singolo individuo non conta nulla.

Chissà che questa mia breve nota introduttiva non abbia spinto qualcuno a vedere quel sottile filo rosso che porta dal Prigioniero e Philip Dick, a Matrix e a tante altre opere memorabili.

Buona lettura e alla settimana prossima

Valerio Porcu

Fondato sul successo

Considerata da molti come la pietra miliare della fantascienza televisiva, Il prigioniero è un’opera che rifiuta di essere intrappolata aprioristicamente in schemi angusti, tanto quanto il suo protagonista non accetta di essere “inquadrato, catalogato, indirizzato, programmato, riprogrammato e numerato”.

La storia di questo vero e proprio cult televisivo ruota intorno a Patrick McGoohan, attore nato nel 1928 negli USA e trasferitosi in Inghilterra in gioventù. McGoohan non è solo l’interprete del Numero 6, il protagonista della serie, ma ha scritto e diretto diversi episodi, e in qualità di produttore esecutivo ha curato personalmente lo sviluppo della storia narrata ne Il prigioniero. L’attore era già popolare presso il pubblico inglese per aver interpretato l’agente segreto della NATO John Drake, protagonista di Gioco pericoloso (Danger Man, 1960), serie televisiva che proponeva con insolito realismo storie ambientate sullo sfondo della Guerra Fredda.

Malgrado il notevole successo - al punto che era diventato l'attore più pagato di Inghilterra, chiamato addirittura per interpretare James Bond - McGoohan si sentiva frustrato dalle restrizioni imposte nello sviluppo del suo personaggio. L’attore propose invece al presidente dell’ITC, la casa di produzione di Gioco pericoloso, un nuovo progetto televisivo intitolato Il prigioniero. 

L’idea alla base della serie era stata sviluppata da McGoohan insieme a George Markstein, il supervisore alle sceneggiature di Gioco pericoloso. Markstein, che aveva lavorato come giornalista durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva appreso dell’esistenza di strutture nelle quali venivano trattenuti ex agenti segreti in possesso di informazioni di valore. Mescolando queste conoscenze con la disaffezione verso Gioco pericoloso, Markstein e McGoohan elaborarono la premessa de Il prigioniero. Anche questa serie è incentrata sulle avventure di un agente segreto, ma lo scenario è ben diverso.

I’m not a number, I’m a free man!

La storia si apre con le dimissioni dell’agente dall’organizzazione per la quale lavora; prima che riesca a lasciare la città, un misterioso individuo inonda di gas soporifero la sua casa. L’ex agente segreto di risveglia in un luogo sconosciuto, indicato semplicemente come il Villaggio. Tutti gli abitanti sono contrassegnati da un numero, e al nuovo arrivato viene affidato il 6. L’autorità suprema del Villaggio è l’invisibile Numero 1, che affida al Numero 2 l’incarico di ottenere informazioni da alcuni degli abitanti.

Il Numero 6 scopre ben presto che l’intero Villaggio è sorvegliato da una fitta rete di dispositivi di controllo. Inoltre delle enormi bolle bianche, i Rover, impediscono qualsiasi tentativo di fuga, seguendo i movimenti di eventuali fuggiaschi per poi bloccarli “ingoiandoli al loro interno, fino a causarne lo svenimento o addirittura uccidendo le proprie vittime. Le autorità del Villaggio vogliono scoprire perché il Numero 6 si è dimesso dal proprio incarico, ma soprattutto esigono che si conformi all’ordine che vige nella comunità. Per il Prigioniero è l’inizio di una sfida impossibile per riuscire a riconquistare la libertà.

«Dove mi trovo? Al Villaggio. Cosa volete da me? Informazioni. Da che parte state? Lo chiediamo a lei. Vogliamo informazioni, informazioni, informazioni… Non le avrete mai! È inutile, con le buone o con le cattive ce le darà. Chi è lei? Il nuovo Numero 2. Chi è il Numero 1? Lei è il Numero 6. Io non sono un numero, sono un uomo libero!»- dialogo d’apertura

Sembra che Sir Lew Grade, il leggendario presidente della ITC, abbia esclamato che la serie aveva premesse talmente assurde da poter avere successo… La produzione venne affidata per conto dell’ITC alla Everyman Films Ltd., una piccola compagnia fondata dallo stesso McGoohan insieme all’amico scrittore David Tomblin. Oltre a svolgere le funzioni di produttore, a Tomblin vennero affidate la sceneggiatura e la regia di alcuni episodi.

McGoohan era convinto che il formato migliore per Il prigioniero fosse quello di una miniserie, da concludere in 7 puntate: 1. L’arrivo, 2. Libertà per tutti, 3. La danza dei morti, 4. Cambiamento di personalità, 5. I rintocchi del Big Ben, 6. C’era una volta e 7. La rivolta (il cui titolo proposto d McGoohan era Conclusion). La ITC era però desiderosa di esportare nel ricco mercato americano una serie di almeno 26 episodi. Alla fine, venne raggiunto un compromesso, in base alle quale McGoohan si impegnava a produrre 13 episodi, dopo i quali si sarebbe valutata la possibilità di proseguire la serie.

Quando Il prigioniero fu trasmesso per la prima volta in Inghilterra, il 1 ottobre 1967, molti spettatori credettero che il Numero 6 fosse in realtà l’agente segreto John Drake di Gioco pericoloso, e che la nuova serie narrasse le sue avventure dopo essersi dimesso dal servizio segreto per cui lavorava. E, del resto, il volto di McGoohan era talmente legato a quel ruolo, che per gli spettatori fu quasi automatico collegare i due personaggi, dato che svolgevano lo stesso mestiere.

Inoltre ne Il Prigioniero vi sono altri legami con Gioco pericoloso. L'episodio La figlia dello scienziato pazzo è il riadattamento di una sceneggiatura destinata a Gioco pericoloso. Ad un certo punto Numero 6 parla con un suo informatore, travestito da lustrascarpe: tale personaggio si chiama Potter e compariva proprio in Gioco pericoloso, interpretato dallo stesso attore (Christopher Benjamin, per una curiosa coincidenza nello stesso episodio ha recitato un attore di nome John Drake).

Inoltre, il primo episodio di Gioco pericoloso, che era ambientato in Italia, è stato girato proprio nella stazione turistica di Portmeirion, che poteva simulare l'architettura italiana senza obbligare a spostare il set dall’Inghilterra. Un'altra particolarità sembra legare le due serie: Gioco pericoloso, aveva come sigla la canzone Secret Agent Man, cantata da Johnny Rivers. Il ritornello di questa canzone recita: «They’ve given you a number and taken away your name…» («Ti hanno dato un numero e portato via il tuo nome…»), che probabilmente ha contribuito a creare il concept de Il Prigioniero. Mentre Lew Grade confermò che il Numero 6 era proprio John Drake, McGoohan, probabilmente anche per questioni di diritti, ha sempre negato una qualsiasi relazione tra i due personaggi e questo contribuì ad infittire il mistero su chi fosse il Numero 6.

Fantascienza?

Considerando le premesse alla base de Il prigioniero, è legittimo chiedersi se la serie vada realmente inclusa nel campo della fantascienza. Lo stesso Patrick McGoohan ha sempre definito limitante questa definizione, affermando di aver concepito Il prigioniero al di fuori di tali schemi.

La serie offre una grande varietà di stili e situazioni, pur nell’arco di soli 17 episodi. I tentativi di fuga del Numero 6 avvengono in circostanze che vedono alternarsi la spy story, l’avventura, il western e persino la commedia sentimentale. Tutte le storie sono dominate dalla sconcertante architettura del Villaggio, nella realtà il bizzarro complesso turistico dell’Hotel Portmeirion di Penryhndeudraeth (Galles del Nord).

Eppure, l’elemento che distingue la serie è legato a una delle funzioni chiave della fantascienza: la proiezione nel futuro della società in cui viviamo, delle sue forze e delle sue debolezze. L’atmosfera surreale che permea gli episodi de Il prigioniero fa infatti da sfondo a una sofisticata riflessione sulla condizione umana, sospesa tra gli angoscianti “incubi burocratici” concepiti da Kafka e l’oppressivo futuro dipinto da Orwell in 1984. 

Oltre tutto, le trame di alcuni degli episodi sono palesemente fantascientifiche, come pure i mezzi con cui vengono messi in pratica i tentativi di piegare la volontà del Numero 6. Ma Il prigioniero è molto di più di un semplice esempio di distopia (ovvero di utopia negativa). La serie propone infatti due piani di lettura paralleli, uno lineare e uno allegorico. A un livello più superficiale, Il prigioniero può essere considerato come la storia dell’inutile tentativo di fuga di un uomo, intrappolato da forze oscure che cercano di spezzare la sua forza di volontà.

L’identificazione dello spettatore è duplice: da una parte, come il Numero 6, è ansioso di sapere chi è il fantomatico Numero 1. D’altro canto, come il Numero 2, lo spettatore è desideroso di scoprire perché il Numero 6 si è dimesso dal suo lavoro, e quali siano le informazioni che le autorità cercano di estorcergli.

Se consideriamo invece il piano di lettura allegorico, l’inutile fuga del Prigioniero può essere considerata come proiezione simbolica del desiderio di sfuggire al controllo opprimente di un sistema che pretende l’omologazione. Nonostante affronti dunque tematiche care alla corrente della fantascienza letteraria nota come New Wave (affermatasi proprio in Inghilterra negli anni 60), con i suoi messaggi e temi di controcultura tipici degli anni 60, la serie possiede una forza visiva e una ricchezza di contenuti che le consentono di valicare i decenni restando sempre attuale.

Il Villaggio costituisce un’evidente metafora del mondo, metafora particolarmente calzante se consideriamo l’aumento esponenziale del numero e della qualità dei sistemi di controllo (fisico e mentale). Questa è solo una delle possibili interpretazioni, per una serie televisiva che confonde lo spettatore in un continuo gioco di specchi, in cui realtà e finzione non sono chiaramente delineati. In effetti, Il prigioniero ha generato controversie sin dalla messa in onda del primo episodio, ma ha sorpreso gli spettatori soprattutto con gli ultimi due episodi, in cui veniva rivelata la sorte del protagonista.

Finale segnato e sconvolgente

Il destino del Numero 6 era in realtà già segnato ancor prima che la serie si concludesse. Tra McGoohan e Markstein si erano venute a creare molte incomprensioni sulla direzione intrapresa dalla storia de Il prigioniero. Markstein era desideroso di ridurne gli elementi più surreali, e soprattutto intendeva far evadere il protagonista nell’ultimo episodio. McGoohan, che viveva le sorti della serie con una passione ossessiva, decise che il Numero 6 avrebbe concluso la sua permanenza al Villaggio nella maniera più clamorosa possibile.

I dissapori tra i due culminarono nell’uscita di Markstein dal progetto alla fine dei primi 13 episodi, quando la serie entrò in una pausa produttiva. Questo lasciò McGoohan e Tomblin con il controllo completo della fase finale. L’episodio conclusivo, l’eccentrico La rivolta (Fall Out), sembra dimostrare che il Prigioniero è riuscito a distruggere il Villaggio e a tornare nella sua casa di Londra. Ma è veramente così? In un diluvio di elementi contraddittori, La rivolta suggerisce anche che misterioso Numero 1 sia in realtà lo stesso Prigioniero… Alla sua messa in onda, l’episodio scatenò la reazione furibonda dei fan di McGoohan, che si sentirono raggirati.

«…Ci fu quasi una rivolta, stavo per essere linciato. Mi sono dovuto nascondere tra le montagne per due settimane, veramente!»- Patrick McGoohan

C’è tuttora un dibattito in atto che contrappone chi sostiene che la serie si concluse per mutuo accordo e chi invece sostiene per annullamento della serie stessa. Secondo il saggio The Prisoner: The Official Companion To The Classic TV Series di Robert Fairclough, la serie effettivamente fu annullata, obbligando McGoohan a scrivere l’episodio finale, La rivolta, in pochi giorni.

Il prigioniero e la critica

In Italia, dopo la prima messa in onda a opera della RAI (sul secondo canale, nel novembre del 1974), la serie ha conosciuto una seconda versione, in cui figurano un doppiaggio e una traduzione dei titoli differenti da quella dell’emittente di Stato. Numerose repliche, sia della versione RAI che di quella alternativa (comparsa sul circuito delle televisioni locali) si sono susseguite sino agli anni 80. Dopo un lungo silenzio, la serie è stata riproposta dal canale televisivo satellitare Canal Jimmy (esclusivamente in versione originale sottotitolata) e dal canale Joy del digitale terrestre nel 2009 e nel 2010.

Nell’insieme Il prigioniero si rivelò un fallimento commerciale, che portò la casa di produzione di McGoohan e Tomblin alla bancarotta. L’attore non ebbe più il seguito di pubblico televisivo su cui poteva contare negli anni 60, e preferì rivolgere le sue energie a produzioni teatrali e cinematografiche.

Mentre la maggior parte degli spettatori dimostrava di non essere pronta per un prodotto come Il prigioniero, gli appassionati di fantascienza seppero apprezzare le sfide che l’opera di McGoohan offriva. Non sono stati pochi i critici che si sono sbilanciati sul significato da attribuire alla serie, e anche qui non sono mancate le divergenze di opinione e le polemiche.

Per alcuni, Il prigioniero celebra la parabola della sconfitta dell’uomo contro la burocrazia meccanizzata, per altri è una chiara allegoria del potere del singolo contro la massa della società, per altri ancora un’intrigante serie di fantascienza con pretese intellettualistiche. D’altro canto, lo stesso Patrick McGoohan sembra offrire soltanto domande, lasciando la sua opera aperta a molteplici speculazioni. Uno dei cartelli affissi nel Villaggio recita la seguente massima: «Le domande sono pesi per gli altri, le risposte una prigione per noi stessi». E forse, sembra suggerire l’ultimo episodio della serie, non saremo mai veramente liberi finché saremo prigionieri della nostra stessa mente.

Retrocult è la rubrica di Tom's Hardware dedicata alla Fantascienza e al Fantastico. C'è un'opera del passato che vorresti vedere in questa serie di articoli? Faccelo sapere nei commenti oppure scrivi a retrocult@tomshw.it.

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