Il Rasoio di Barbieri: Godzilla e Minilla, a Natale anche i Kaiju stanno in famiglia

Il Rasoio di Barbieri di dicembree ci porta a scoprire una famiglia atipica del mondo del cinema: Godzilla e suo figlio, Minilla.

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a cura di Luca Barbieri

Con il Natale in rotta di collisione e l’amarezza nel cuore per l’impossibilità di vivere le feste in famiglia nel modo in cui siamo da sempre abituati a fare, mi è sovvenuto il pensiero di recuperare una storia commovente di amore genitoriale che probabilmente in pochi conoscono, o ricordano: la storia del figlio di Godzilla, Minilla.

Sì, anche un kaiju colossale e catastrofico come Godzilla è papà, e lo è di un vispo mostriciattolo, che, nonostante l’aspetto ripugnante, è rapidamente diventato il beniamino di tutti i bambini giapponesi. Certo, de gustibus non est disputandum, e inoltre ogni infante del Sol Levante è da sempre appassionato a mostruosità di vario tipo, ma Minilla (questo il nome del ributtante pargolo: effettivamente geniale, viste le sue dimensioni ridotte rispetto al gigantesco padre) è indubbiamente piuttosto bruttino.

Storia di Minilla, il figlio di Godzilla

Lo scrittore texano Donald Glut, che magari qualcuno conosce per la sua riduzione letteraria del film L’impero colpisce ancora, ha affettuosamente commentato di aver visto “qualcosa di simile a Minilla in un libro medico sugli aborti umani”. Piuttosto feroce come giudizio, ma si sa: i texani non sono certo famosi per il loro tatto. In ogni caso, Glut è senza dubbio stato ingeneroso, perché, dopotutto, gli occhioni di Minilla, spalancati in un’eterna meraviglia e sormontati da sopracciglia quasi umane, perennemente inarcate, non possono che smuovere un sentimento di dolcezza nei confronti di questa creatura, la cui unica colpa è di appartenere a una razza, quella dei kaiju (letteralmente strane bestie) che non si distingue certo per la propria bellezza.

La sua conformazione fisica, poi, è antropomorfa (troppo, a sentire le pungenti critiche degli addetti ai lavori) il che consente una ancor maggiore empatia. Se poi aggiungiamo un’eccezionale goffaggine (ma del tipo che Minilla inciampa su qualunque cosa, anche dove non c’è assolutamente nulla in cui inciampare), otteniamo il quadro completo di una creatura che non poteva che far breccia nel cuore di milioni di bambini festanti, che, nei cinema di Tokio, Osaka o Yokohama, ne seguirono commossi le disavventure, in quell’irripetibile stagione di atroci B-movies che fu la fine degli anni Sessanta.

Stranamente, però, il regista del film, Jun Fukuda, ha dichiarato che Minilla non era stato affatto pensato per compiacere un pubblico infantile, bensì per i genitori, che avrebbero dovuto identificarsi negli atteggiamenti protettivi ed educativi del mostruoso papà con coda, scaglie e alito radioattivo. Il finale, secondo, Fukuda, dimostrerebbe questa intenzione e anche la volontà, da parte della produzione, di scegliere un nuovo approccio alla serie, arrivata ormai al suo ottavo episodio e un po’ a corto di idee. Leggermente diversa la versione di Tomoyuki Tanaka, creatore della colossale iguana con il vizio di calpestare palazzi, il quale si attribuisce la paternità (solo intellettuale, certo, quella fisica secondo me gli faceva un po’ schifo) del personaggio, che sarebbe stato da lui suggerito allo sceneggiatore Shinichi Sekizawa allo scopo di commemorare la festività di capodanno (sic!). Curioso modo di festeggiare, vero? Ma la notizia proviene da una fonte attendibile, lo scrittore David Kalat, autore del tomo A critical History and Fimography of Toho’s Godzilla Series, quindi prendiamola per buona. Ricordando, però, che lo stesso Kalat descrive impietosamente Minilla come “un orsacchiotto di peluche rasato da tutti i peli”.

Arrivati a questo punto, è meglio fare un po’ di ordine. Ho dato per scontato che tutti voi conosciate Godzilla, anche perché basta un rapido viaggetto su Google per ottenere tutte le immagini che servono alla vostra mente per elaborarne il ricordo. Si tratta, in ogni caso, di un gigantesco rettile che sembra detestare il Giappone (e Tokio in particolare), un mostro marino preistorico, risvegliato e potenziato dalle radiazioni nucleari (e, infatti, è il simbolo stesso della distruzione derivante dall’uso sconsiderato dell’energia atomica), onorato dal simbolico titolo nobiliare di “Re dei mostri”, in quanto capostipite, nel 1954, di un vero e proprio genere cinematografico, il Kaiju Eiga (cinema dei mostri).

Il film di cui vi sto parlando, invece, è di tredici anni dopo e ha un diverso regista rispetto al primo (che era stato il celebre Ishiro Honda): si tratta de La battaglia decisiva dell’isola dei mostri – il figlio di Godzilla, diretto nel 1967 da Jun Fukuda.

Protagonisti (negativi) della pellicola sono un gruppo di scienziati che, in una lontana isola nel cuore dell’immenso Oceano Pacifico, compiono azzardati e segretissimi esperimenti volti al controllo del clima. Effetti collaterali di questa scellerata operazione sono (non si bene né come né perché) mostruose mutazioni che coinvolgono alcuni degli insetti presenti sull’isola, che diventano giganteschi: in particolare sono le mantidi a diventare alte come grattacieli, conservando oltretutto il loro carattere poco socievole. Questi incubi con fasulla aria pia e devota sono chiamati Kamacuras. Sollecitato dal clima impazzito, anche un uovo si schiude: di gallina? No, troppo piccolo. Di struzzo? Quasi, ma siamo ancora lontani. Di balena? Beh, a parte che le balene non fanno uova, non ci siamo ancora, perché si tratta di un uovo deposto da Godzilla (il quale, comunque, sempre maschio rimane: per affrontare questo scottante argomento riproduttivo, rinvio tutti a una futura rasoiata, magari per san Valentino).

Ed è da questo uovo formato famiglia che esce il nostro Minilla, giusto in tempo per rischiare di diventare il pranzo delle mantidi giganti. Per fortuna, le sue strazianti invocazioni di aiuto richiamano il padre che, emergendo dall’oceano come da manuale e devastando ogni cosa al proprio passaggio, difende il pargolo dagli insettoni, menandoli come se non ci fosse un domani. Ecco, questo costituisce il primo atto d’amore paterno del ciclopico kaiju, che prosegue poi con lezioni su come camminare (Minilla è un vero disastro), combattere e, soprattutto, sparare fiammate atomiche dalle fauci. Minacciando sberle come il più severo dei padri, Godzilla ottiene che le ridicole bollicine che emette il figlio diventino delle ben più minacciose fiammate in grado di far ribollire i fiumi e di contaminarli radioattivamente: sì, è proprio da qui che gli scienziati, novelli vincitori del premio Prometheus (istituito da Leo Ortolani per la vaccata più stupida compiuta in un film), attingeranno l’acqua per bere e lavarsi. Ma questa è un’altra storia.

Una famiglia mostruosa

Più interessante è il confronto fra la Godzilla-family e un ragno gigantesco dal nome vagamente africanizzante, Kamonga, che vuole papparsi Minilla: evidentemente, per quanto orrido, il figlio di Godzilla deve sembrare molto appetitoso alla fauna dell’isola! Dunque, dopo il troppe volte rimandato incontro padre-figlio per le feste e l’addobbo natalizio degli alberi della foresta con i resti delle mantidi maciullate da Godzilla, abbiamo anche il tanto atteso regalo di Natale, sotto forma di Minilla “incartato” perfettamente, come dalle sicure mani di un’esperta commessa, dentro la gigantesca ragnatela di Kamonga. Insomma, la festa in famiglia può davvero iniziare nel migliore dei modi! Nell’apocalittico finale, gli scienziati, pentiti di aver risvegliato tanta furia, decidono di risolvere il problema creato dai loro esperimenti tramite un esperimento ancor più grandioso e pericoloso: ibernare l’intera isola!

Non devo essere io a ricordarvi che di scienziati pazzi sono pieni film, romanzi e fumetti… In ogni caso, è proprio grazie alla follia degli scienziati che arriva la neve: ultimo, indispensabile ingrediente per un perfetto Natale in famiglia! Malauguratamente, la neve è un tantino troppa e, dopo il cenone a base di carne di ragno arrostita con un duplice soffio atomico, papà e figlio cominciano ad avvertire sulla loro scagliosa pelle i morsi del freddo glaciale. Non si tratta soltanto di rischiare una congestione, ma proprio di diventare due statue di ghiaccio, trasformandosi così in un presepe tanto originale quanto decisamente poco gradito ai due kaiju. Commovente (e sono sincero) è la scena finale, nella quale Godzilla stringe amorevolmente al petto il figlio, nell’inutile tentativo di scaldarlo e di proteggerlo dal freddo, diventato ormai insopportabile.

Coperti di neve, Godzilla e Minilla rimangono ibernati in questo tenero abbraccio e sulla loro avventura nell’isola dei mostri può finalmente calare il sipario. Infatti, anche se siamo a Natale, non è detto che le storie abbiano tutte un lieto fine, no?

Se siete appassionati di Godzilla non potete perdere uno dei migliori film sul Re dei Mostri, Shin Godzilla