La Cosa di John Carpenter, l'orrore dentro l'Uomo

Uscito nel 1982, La Cosa è forse la summa del cinema di John Carpenter. Un film cupo e claustrofobico sulla natura umana, che però all'epoca fu accolto piuttosto freddamente da pubblico e critica, salvo diventare nel tempo un vero cult.

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a cura di Alessandro Crea

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Il 1982 è stato un anno importante per la fantascienza. Al cinema esce infatti E.T. L'extra terrestre di Steven Spielberg, uno dei suoi film più apprezzati da pubblico e critica, destinato a cambiare i gusti degli spettatori di Sci-Fi dell'epoca, ma purtroppo anche a causare al regista John Carpenter una cocente delusione.Approfondendo infatti il discorso messianico già presente in Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, E.T. offrì una visione ottimistica dell'incontro con l'altro, qui raccontato in una versione ancora più favolistica e decisamente meno inquietante rispetto al predecessore. Una visione che piacque molto al pubblico dell'epoca che non a caso in quegli anni non gradì invece film decisamente più cupi come Alien di Ridley Scott (1979) e, tre anni dopo appunto La Cosa.

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E pensare che per la prima volta nella sua carriera, dopo il trionfo, anche al botteghino, di 1997: Fuga da New York, Carpenter non dovette più andare a bussare alla porta di tutti i produttori per proporre le proprie sceneggiature, forte invece dell'appoggio niente meno che della Universal.

Quest'ultima infatti dopo aver acquisito i diritti del film del 1951, La Cosa Da Un Altro Mondo di Howard Hawks e Christian Nyby e del libro che ne fu l'ispirazione, Who Goes There? Del 1938 di John W. Campbell, cercava un regista per girarne il remake.

Carpenter colse al volo l'occasione confezionando quello che può forse essere considerato il suo capolavoro, sicuramente la summa della sua intera opera e quello che meglio riesce ad esprimere la visione esistenziale del regista, espressa compiutamente da un punto di vista stilistico. Purtroppo però i riscontri non furono positivi e dovettero passare molti anni prima che il film si avviasse lentamente a diventare il cult che è oggi.

Paesaggi dell'anima, terrore dell'ignoto

Antartico. Una tranquilla giornata come tante altre presso la base statunitense. Fuori c'è il sole, dentro il personale sta in compagnia, gioca a ping pong, chiacchiera. Tutti tranne uno, McReady/Kurt Russell. La quiete viene però infranta improvvisamente dall'arrivo di un elicottero norvegese lanciato inspiegabilmente all'inseguimento di un Husky, e che nel tentativo di ucciderlo finisce per schiantarsi. Un uomo sopravvive ma, cercando di colpire ancora il cane, ferisce per sbaglio un membro della squadra statunitense, innescando così un conflitto a fuoco in cui perde la vita.  Prima, riuscirà comunque a gridare una frase nella sua lingua cercando di mettere in guardia quegli uomini, ma purtroppo nessuno la comprenderà.

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Nell'incipit, come spesso capita, è contenuto tutto il film, o meglio tutto il suo senso. C'è la descrizione delle vaste distese di neve e ghiaccio, che riflettono la situazione esistenziale dell'essere umano, la sua solitudine e il suo isolamento. Il tempo inizialmente è bello, ma presto non vedremo che buio e tempesta. C'è una fotografia sintetica ma efficacissima della società e delle sue finzioni. La maggior parte dei membri della squadra infatti sembrano stare assieme in amicizia, ma quando la situazione precipiterà ciascuno sarà pronto a far fuori l'altro per proteggere sé stesso, mentre McReady, che sembra essere un asociale, si rivelerà invece l'unico in grado di prendere il controllo della situazione. Ma soprattutto, sin dall'inizio, Carpenter chiarisce le due coordinate principali del film: nulla è come sembra e comunicare è impossibile. Nel primo caso infatti il film rivelerà che McReady non è affatto asociale, gli altri non sono amici e il cane non è un cane. L'incapacità di comprendere il monito del norvegese e il conflitto a fuoco in cui sostanzialmente un uomo muore per un equivoco la dice lunga sull'altro aspetto. "nessuno si fida più di nessuno", chioserà McReady parlando al suo registratore portatile, e questo è davvero tutto ciò che si può dire, del film e dell'umanità.

Luci che non scacciano il buio

Queste premesse sono poi ovviamente sviluppate magistralmente nel prosieguo del film. Carpenter è analitico, chirurgico, quasi documentaristico nel sezionare la crisi esistenziale di questi esseri umani che scoprono di non poter realmente sapere chi gli siede a fianco (e nemmeno chi gli risiede davvero dentro). La fotografia di Dean Cundey infatti è sempre chiara, ma sono luci fredde, al neon, crude quanto incapaci di disperdere le ombre, fuori e dentro la base. E il buio è un grumo che si addensa, minaccioso e sempre pronto a rivelare mostruosità.

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Un grandissimo contributo alla tensione e all'orrore lo daranno però soprattutto le creature realizzate dall'allora ventitreenne Rob Bottin e meccanizzate dal mago dell'animatronica Stan Winston. Carpenter non mostra mai chiaramente l'orrore, tranne simbolicamente nello scontro finale, a chiusura di un cammino di consapevolezza in cui il protagonista sarà maturato abbastanza da poter affrontare il mostro a viso aperto. La paura e la repulsione nascono invece da ciò che si intravvede, ciò che si intuisce, tentacoli, mandibole e zampe che si agitano freneticamente, scappano, si sottraggono, bruciano o attaccano all'improvviso, in un crescendo di tensione e paranoia. Spesso infatti l'alieno è fatto letteralmente di pezzi di esseri umani, contorti, fusi tra loro o brutalmente forzati ad essere altro da sé. Nessuno sa com'è fatto davvero, viene da dentro e la sua natura proteiforme, mutante, capace di prendere l'aspetto di qualsiasi essere con cui entra in contatto, lo nasconde di fatto anche quando si rivela in piena luce. Può essere qualsiasi cosa. Può essere chiunque.

E allora Mc? E allora niente

Il film procede dalla luce verso le tenebre. All'inizio assolato infatti si contrappone il finale, cupamente buio, in cui le fiamme rischiarano a stento la notte. Tutto ormai è distrutto, siamo alla situazione esistenziale più elementare: due uomini che non sanno se si possono fidare l'uno dell'altro, soli dinanzi alla fine imminente. Chi sono? Ormai non siamo più in grado di dirlo come spettatori. Come finirà? Il mostro è davvero perito definitivamente o alla fine prevarrà? Carpenter è regista di interrogativi e non di risposte e con questo dubbio, sottolineato dall'ipnotica e inquietante musica di Ennio Morricone, prende commiato da noi.

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L'esistenza non è altro che una lotta disperata con la nostra natura egoistica e mostruosa, una lotta impari e sterile, destinata probabilmente al fallimento. Allo spettatore l'unica possibile risposta, dopo essersi scrutato dentro, non senza tema di scorgere qualcosa di alieno agitarsi.

- Childs: "Beh, che facciamo?"

- McReady: "Perché non aspettiamo qui ancora un po', e vediamo che succede?"

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Retrocult è la rubrica di Tom's Hardware dedicata alla Fantascienza e al Fantastico del passato. C'è un'opera precedente al 2010 che vorresti vedere in questa serie di articoli? Faccelo sapere nei commenti oppure scrivi a retrocult@tomshw.it.