La furia di un uomo: il nuovo action movie di Amazon Prime Video

Guy Ritchie e Jason Statham tornando a collaborare in La furia di un uomo, nuovo action movie di Amazon Prime Video.

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a cura di Manuel Enrico

Dopo essersi lanciato affermato come volto amato degli action movie da record, Jason Statham ritorna a una dimensione più contenuta. Se i successi di Hobbs & Shaw o I Mercenari lo hanno consacrato come parte integrante dei blockbuster action, il merito è anche di Guy Ritchie, il cineasta inglese che vide nell’ex-nuotatore olimpico un volto da portare nel cinema. Dopo l’esordio con Lock & Stock – Pazzi Scatenati ( dove esordì anche l’ex calciatore Vinnie Jones) e le presenze in The Snatch e Revolver, il sodalizio tra i due si è affievolito con la crescita della caratura internazionale di Statham, ma questa amicizia artistica trova ora una nuova affermazione con La furia di un uomo (The Wrath of a Man), film d’azione disponibile su Amazon Prime Video dal 27 dicembre.

Ennesima vittima della pandemia, La furia di un uomo viene salvato, in un certo senso, dal servizio streaming del colosso dell’ecommerce, dopo che la sua uscita nelle sale prevista per il 2021 è stata impedita dalle ben note condizioni imposte dalla pandemia. Se titoli di maggior richiamo come No time to die o Dune sono stati solo rimandati, produzioni di minor spessore come La furia di un uomo hanno trovato nella ricerca perenne di nuovi contenuti da parte dei servizi streaming una nuova vita. Amazon, dopo il buon riscontro della precedente pellicola di Ritchie, The Gentlemen, ha voluto puntare nuovamente sul regista britannico, sostenendo questo suo remake del thriller francese Le Convoyeur.

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La furia di un uomo: Jason Statham e Guy Ritchie tornano a collaborare

Un trasporto valori viene preso d’assalto da una banda di rapinatori, che con efferata crudeltà trucida i due addetti alla sicurezza. Un attacco che mette in difficoltà la gà precaria situazione della Fortico, l’agenzia di trasporti colpita da questo assalto, che spinge il suo direttore ad assumere nuovi agenti, nella speranza di riconquistare credibilità. A rispondere a questa chiamata è Bill Patrick (Jason Statham), uomo chiuso e poco incline alla socialità, che supera a malapena la dura serie di test d’ammissione.

Nonostante questo suo esordio poco incoraggiante, Bill sfoggia una sicurezza non indifferente. Pur legando con il suo superiore, Bullet (Holt McCallany), il nuovo arrivato, ribattezzato H, sembra non mirare a creare un rapporto solido con i suoi colleghi, arrivando ad aperti contrasti, quasi un voler estremizzare un ambiente già sufficiente teso per via delle situazioni precarie della società di sicurezza. I primi giorni scorrono rapidi, con una sorta di formazione dell’apparentemente innocuo H, sino a quando una banda di rapinatori tenta nuovamente di colpire la Fortico. Occasione in cui emerge un H totalmente diverso: freddo, spietato e dalle capacità balistiche impressionanti. Un’immagine totalmente diversa da quella offerta in precedenza, che lascia intendere come ci sia un segreto dietro l’arrivo di Bill alla Fortico.

Come facilmente intuibile, Ritchie costruisce La furia di un uomo sulla oramai ben nota misurata recitazione di Statham. Laddove i registi americani tendono a sfruttare il suo naturale sarcasmo come situazioni ironiche, vedi I Mercenari o Hobbs & Shaw, Ritchie vuole far emergere una sua artificiosa impassibilità, basando il tutto sulla sua convincente fisicità, lasciando che siano più le sue movenze che non l’espressione del volto a dare vita a Bill Patrick. Scelta che da un lato viene premiata dalla prestanza fisica di Statham, ma che manca di mordente nelle situazioni meno dinamiche, in cui questa rigidità sembra caricaturale, se calata all’interno di un ecosistema popolato di personaggi che sembrano incarnare stereotipo scontati, prevedibili.

Statham mostra di avere compreso la natura non solo del suo personaggio, ma dell’idea alla base della trama. Dimentichiamoci le sue incredibili acrobazie recenti, il suo ghigno irrisorio o un’ostentata aria da badass, lo Statham de La furia di un uomo è silenzioso, freddo e calcolatore. L’attore domina la scena lavorando di sottrazione, con una recitazione minimale, contenuta, che anche all’esplodere di scene violente e sparatorie viene preservata con movimenti semplici, a tratti quasi surreali nella frenesia del momento, che pur imprimendo una freddezza evidente al personaggio, rischia di renderlo slegato dal resto delle figure che animano La furia di un uomo, creando un pericoloso muro tra storia e spettatore. Se un protagonista è così rigido e impostato, come fare a empatizzare con lui? Una difficoltà che non può esser imputata a Statham, quanto alla gestione di Ritchie, che dimentica la lezione di Bryan Singer in I soliti sospetti: non rivelare subito la natura delle tue maschere.

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Statham ai suoi minimi termini

La visione di Ritchie in La furia di un uomo perde purtroppo il suo noto gusto per l’ironia, apprezzata anche nel citato The Gentlemen, preferendo raccontare una storia più dura, sporca nelle sue definizioni, in cui si cerca di attirare lo spettatore con una scansione dei tempi e delle rivelazioni accuratamente studiata, cesellata per creare un percorso di colpi di scena e segreti svelati che dovrebbe entusiasmare.

La furia di un uomo si muove su questa direttrice, ma non convince pienamente, impegnato a creare una crasi tra i revenge movie e gli heist movie, creando uno squilibrio verso i primi che mina la stabilità del racconto complessivo. Ritchie si concentra poco sulla costruzione solida di una trama, che risulta abbastanza banale e scontata, penalizzata probabilmente dalla sua natura di remake, che paga un evidente tributo ad altre opere del genere, in particolare alla narrativa visiva di Michael Mann, con alcune scene che sembrano chiaramente ispirate al suo Sei solo, agente Vicent (divenuto poi The Heat al cinema). Un dettaglio che rende La furia di un uomo poco cinematografico, se paragonato a titoli action più blasonati del momento.

La sensazione è che Ritchie si sia concentrato con eccessiva attenzione sul protagonista, rendendolo il fulcro di una storia priva di mordente. Ogni personaggio ruota attorno a lui in modo sterile,  sprecando il talento di attori a lui cari, come Eddie Marsan, dando vita a macchiette incolori, utilizzate come motore emotivo impalpabile di una storia impostata su un binario preciso, scontato e immutabile. Non bastano improvvisi guizzi adrenalinici di scene action di fattura sufficiente, a poco serve la bella fotografia di Alan Stewart, che ben valorizza le ambientazioni losangeline, con una cura particolare nel dare vita ad ambientazioni scure in cui fare muovere i protagonisti nei momenti più intensi. Quello che manca è una visione ragionata ed emotivamente coinvolgente della storia, che sembra sfumare nella volontà di inserirsi forzatamente all’interno di una tradizione cinematografica con precise regole che Ritchie sembra avere mal interpretato.