La morte non ha colore: la valenza di Morte in The Sandman

La morte non ha colore in The Sandman: alcune considerazioni in merito al personaggio introdotto nella serie TV Netflix.

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a cura di Rossana Barbagallo

Che il personaggio di Morte nella serie TV Netflix The Sandman non abbia un incarnato pallido come la sua controparte fumettistica, non è un mistero. La sorella di Sogno incaricata da sempre di prendere con se le vite degli uomini e di tutti gli altri esseri viventi per condurle nell’aldilà, è interpretata da Kirby Howell-Baptiste, attrice che ha passato le selezioni per il ruolo primeggiando su centinaia di altre candidate sotto l’occhio vigile dello stesso Neil Gaiman. L’autore e produttore esecutivo si è detto molto entusiasta della scelta di casting, ma ciò non ha impedito il sopraggiungere di numerose critiche dai vari social network, che hanno dato voce a quanti hanno disapprovato un cambiamento tanto repentino rispetto alla serie a fumetti.

Mettendo per un attimo da parte quello che appare come un dibattito sterile, benché purtroppo inevitabile, data la natura intransigente propria di certe frange interne a qualsiasi fandom, la presenza di Kirby Howell-Baptiste nei panni di Morte apre a una riflessione sulla natura della morte stessa: un’entità che non ha colore e non conosce colore. Vediamo insieme perché.

Le tante forme della morte

Perché oggi ci stupiamo nel vedere la morte con le fattezze di una donna di colore, se tale entità ha assunto nei secoli le sembianze più variegate? La personificazione della morte fa parte della cultura umana sin dall’antichità e nelle diverse ere ha assunto iconografie differenti. Nella mitologia greca, ad esempio, la morte era rappresentata da Thanatos, figlio di Nyx (la dea della notte) e fratello gemello di Hypnos (il dio del sonno: questo non vi ricorda forse il legame tra Morte e Sogno in Sandman?). A Thanatos non era attribuita una natura benevola o malevola, ma era visto come una divinità neutra, uno psicopompo (ovvero colui deputato a condurre) il cui compito era quello di portare con sé le anime di coloro per i quali aveva stabilito fosse giunta l’ora del trapasso, assicurandosi che esse giungessero agli inferi. Questa divinità era rappresentata ora come un anziano alato e armato di spada, ora come un giovane, spesso con i piedi incrociati e in mano una torcia capovolta, e in più di un’occasione affiancato dal fratello Hypnos.

Nell’antico Egitto non veniva adottata una semplice personificazione della morte, ma essa era una vera e propria divinità da venerare, parte del vasto pantheon di dei antropomorfi che popolavano il culto egizio. Anubi era il dio protettore del mondo dei morti, adorato anche come custode delle tombe e della mummificazione, incaricato di accompagnare le anime nell’aldilà. Il suo aspetto, nelle varie accezioni adottate, comprendeva anche quello ibrido di un uomo con la testa di uno sciacallo, intento a reggere uno scettro nella mano destra e il simbolo ankh nella sinistra. Tale simbolo sacro era per gli egizi sinonimo di “vita”, tanto quella terrena quanto quella, eterna, che li avrebbe attesi dopo la morte. Ancora una volta, Sandman fa riferimento alla mitologia e ai culti antichi, poiché Morte sfoggia sempre un medaglione a forma di ankh appeso al collo. Anubi, inoltre, aveva il compito di eseguire la pesatura del cuore del defunto: sulla sua bilancia tra le sale del Duat, gli inferi egizi, il dio poneva il cuore su un piatto mentre sull’altro adagiava una piuma di Maat (divinità dell’equilibro, della moralità e della giustizia). Se il cuore aveva lo stesso peso della piuma o risultava addirittura più leggera, l’anima del defunto poteva accedere ai campi Aaru, il luogo di beatitudine di Osiride.

Tra le tante forme che la morte ha assunto nei secoli, vi è anche quella attribuita ad esempio dall’islam a tale concetto metafisico con la figura dell’Arcangelo Azrael. Esso è definito nel Corano con il nome di Angelo della Morte e nell’iconografia che lo vede protagonista è dotato talvolta di una bilancia, strumento che utilizza per giudicare le anime dei defunti così da accompagnarle nei luoghi che spettano loro nell’aldilà. Una simbologia mutuata da quella che, abbiamo visto, era la descrizione di Anubi nell’antico Egitto. Per ciò che riguarda l'immaginario cristiano, invece, è molto radicata l'idea del "cavaliere nero" facente parte dei quattro cavalieri dell'Apocalisse: figura biblica descritta come portatrice di carestia e morte, anch'essa dotata di una bilancia, ma in questo caso affinché possano essere pesate le "misure di grano e orzo". È probabilmente da quest'ultimo che trae ispirazione quella che è tra le più conosciute delle iconografie riguardanti la morte personificata: il Tristo Mietitore.

Esso si è fatto largo nell'immaginario collettivo soprattutto a partire dall'epoca medievale, raffigurato come una figura scheletrica avvolta da un mantello nero e armato di falce. In questo caso, la falce rappresenta la mietitura delle vite che il Tristo prende con se, talvolta con accezione negativa, come un'entità demoniaca inviata per falciare gli uomini; più spesso però come una figura neutra, incaricata semplicemente di comunicare a ogni individuo che è arrivata la sua ora e guidarlo fino all'aldilà. Il Tristo Mietitore, o Grim Reaper che dir si voglia, è sicuramente il riferimento iconografico che si affaccia immediatamente nelle nostre menti quando pensiamo alla morte, complice anche la cultura di massa che lo ha ritratto nel cinema, nell'animazione, in letteratura e tra i fumetti.

Morte in Sandman

Come visto, la personificazione della morte ha assunto nel tempo varie sembianze: uomo, ibrido antropomorfo, figura angelica, addirittura scheletro. Nella serie a fumetti Sandman di Neil Gaiman, pubblicata per la prima volta nel 1988 con DC-Vertigo, assistiamo all'introduzione di una nuova interpretazione della morte come concetto metafisico incarnato in una figura, di primo acchito, improbabile. Una giovane donna dal look gotico, munita di un medaglione a forma di ankh, zazzera cotonata e un sorriso gentile. Morte è, nell'ambito di questa narrazione, una dei sette Eterni e loro sorella: essi sono Sogno, Desiderio, Disperazione, Distruzione, Delirio e Destino (piccola curiosità: nella versione originale inglese tutti loro possiedono un nome che inizia per D, incluso Sogno, ovvero Dream, e Morte, cioè Death).

Nell'accezione delineata da Gaiman, Morte spiazza i lettori attraverso la sua natura amichevole e gentile: non è l'essere infernale o spaventoso che ci si aspetterebbe, non somiglia nemmeno lontanamente al Tristo Mietitore e non va in giro uccidendo gente a destra e a manca con un'enorme falce. Innanzitutto, si siede accanto a Sogno su una panchina, mentre il fratello è intento a dar da mangiare ai piccioni, e fa una battuta citando Mary Poppins. Poi chiede a Sogno cosa c'è che non va, vuole che il fratello si apra con lei e le spieghi cosa lo tormenta. E quando apprende che Morfeo è afflitto dai dubbi su quale sia realmente il suo scopo nel grande schema che è l'universo, Morte lo conduce con se attraverso le esistenze degli uomini, mostrandogli ciò che significa il suo "incarico" e quale valenza possiede per gli umani.

Morte è parte della vita stessa, era insieme agli umani al momento della loro nascita ed è con loro nell'istante in cui devono andarsene, tenendo loro la mano, percorrendo il sentiero insieme ad essi, confortandoli con parole gentili. Nella serie a fumetti Sandman le sequenze che la ritraggono sono tanto uno schiaffo quanto una carezza per l'anima, tuttavia l'episodio di The Sandman che vede Morte protagonista al fianco di Sogno (Il Rumore delle Sue Ali) è se vogliamo ancora più emozionante e struggente. La concezione della morte come parte naturale della vita, come un'amica che non giunge per distruggerci, ma per accompagnarci, è resa attraverso una narrazione dalla sensibilità viva e dolorosa, pura e autentica, che si mostra soprattutto tra le sequenze riguardanti un anziano violinista. E il merito è in gran parte anche di Kirby Howell-Baptiste.

La morte non ha colore

In queste scene vediamo come Morte sopraggiunga per tutte le tipologie di individui, senza eccezioni: l'anziano ebreo, il giovane di colore, il neonato dalla pelle candida. La morte, intesa come evento naturale della vita stessa, è (purtroppo) destinata a chiunque, nessuno escluso, benché qui si dimostri benevola, al servizio degli uomini con le sue gravose responsabilità. La morte, dunque, non conosce colore: giunge per tutte le etnie, le età, i generi, le fedi religiose, per i buoni e i cattivi, per i ricchi e i poveri, chi la teme e chi invece la accoglie senza paura. Ma allora, perché stupirsi del fatto che l'attrice che interpreta una tale figura abbia la pelle scura? Soltanto perché il personaggio fumettistico è stato ritratto per lungo tempo con la pelle bianca come il latte? Quanto viene "tradita" la fedeltà al fumetto se comunque l'interprete riesce a catturare l'essenza del personaggio senza snaturarlo? Lo stesso Neil Gaiman non ha usato mezzi termini per rispondere ai messaggi poco lusinghieri pubblicati da numerosi utenti sul web:

Non me ne frega niente delle persone che non capiscono o non hanno letto Sandman, che piagnucolano riguardo a Desiderio non binario o perché Morte non è abbastanza bianca. Guardate lo show e decidetevi.

Kirby Howell-Baptiste si rivela un'eccellente Morte, una sorella gentile e un'entità eterna in grado di emozionare lo spettatore con la sua performance al limite del poetico. E non c'è colore della pelle che tenga. Siamo, anzi, di fronte a una nuova versione della personificazione della morte che, nonostante quella fumettistica fosse innovativa e speciale soprattutto per il periodo in cui ha fatto la sua comparsa, prende su di sé una maggiore valenza simbolica. Quella di un'idea universale, un fatto inellutabile destinato a tutti: la morte non ha colore. Perché dobbiamo, quindi, attribuirle necessariamente il colore che riteniamo più giusto secondo la nostra personale idea?