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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Sin dal suo annuncio, "La profezia dell'armadillo" ha raccolto intorno a sé un gran vociare. I pareri si sono subito divisi tra titubanza e trepidante attesa, tra chi, insomma, aveva massima fiducia nel progetto e chi si sentiva già scoraggiato dall'idea di una trasposizione.

In effetti raccontare Zerocalcare senza che sia lo stesso Zerocalcare a parlare di sé è tremendamente difficile. 

L'autore romano parla in modo sincero, personale, assolutamente originale. Un modo che è stato alla base del suo successo, e che ancora oggi trova sempre nuove strade per dire di sé attraverso le avventure fumettistiche del suo alter ego, e del mondo di eccezionali comprimari che attorno ad esso sono stato costruiti.

Si chiama 'profezia dell'armadillo' qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen.

E dunque La profezia dell'armadillo sceglie una strada comoda, quasi scontata, raccontando per filo e per segno la trama della sua controparte cartacea, andando a stuzzicare l'appetito dello spettatore/fan con qualche riferimento sparso alla vita di Calcare, resosi noto attraverso la summa dei suoi racconti e del suo universo narrativo.

C'è, insomma, la storia tormentata dell'amore con Camille, il cui lutto sarà il motore dell'intera vicenda, rivissuta in sala tanto quanto su carta per mezzo di continue digressioni sul passato di Zero e dei suoi amici, tra cui l'immancabile Secco. 

C'è il pensiero relativo all'occasione mancata, al non essersi mai dichiarato alla ragazza. Il disagio nello scontrarsi con la "Roma centro/Roma nord" per chi, venendo da Rebibbia, non concepisce la moda delle silent disco e degli apericena.

C'è poi quello che fa da contorno alla storia di Zerocalcare, inespresso nel primo libro ma, come detto, reso noto con il tempo: il lavoro all'Aeroporto di Roma Fiumicino, le ripetizioni di francese miste a lunghe divagazioni sulla filosofia e il cinema di genere, il rapporto con i centri sociali.

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A dirla così sembrerebbe la ricetta per un successo, ma la realtà dei fatti è che la buona volontà di Luigi Scaringi (alla regia) non è stata sufficiente a riconsegnarci un'opera quanto meno sufficiente. Ne La profezia dell'armadillo si sorride a denti stretti, si ride raramente e si soffre terribilmente per un ritmo sin troppo sincopato, che cerca di seguire forse troppo diligentemente il racconto d'origine. Il che sarebbe un bene, se i due linguaggi non fossero quanto mai distanti e scarsamente sovrapponibili. 

I problemi cominciano praticamente subito, con una sequenza animata in apertura (e una seconda in chiusura) che cerca di scimmiottare lo stile dell'artista in malo modo, risultando quasi posticcia e persino inutile. Ma è l'armadillo del titolo, "amico" immaginario dello stesso Zerocalcare a stabilire uno dei momenti più bassi dell'intera visione.

Brutto, approssimativo, posticcio, coperto di tubi in coibentato. Viene da pensare che l'aspetto maldestro, sgraziato e simil-pupazzoni della bella televisione che fu sia quasi voluto. E, spoiler, probabilmente è così.

Tuttavia la bruttezza totale del costume non fa che scoraggiare, scena dopo scena, lo spettatore, tanto che a nulla serve l'ottima verve dell'attore Valerio Aprea a cercare di risollevarne le sorti.

Molto meglio invece la coppia Simone Liberati (Zero) e Pietro Castellitto (Secco), affiatati, coesi, molto calati nel riprendere la caratterizzazione dei personaggi di riferimenti, con Secco persino una mezza spanna sopra il suo collega. I momenti con i due, così surreali e spesso sinceramente comici, sono forse gli attimi migliori del film, con alcune scene scritte e messe in atto con risultati godibili e apprezzabili, che quasi fanno dimenticare tutto il resto.

Perché sì, oltre a quanto detto c'è dell'altro, ovvero gli attori più giovani reclutati per i flashback di Zero, in cui i quattro amici al centro della storia ci vengono presentati da bambini. Gli attori scelti, per quanto si sforzino palesemente di fare del proprio meglio, finiscono irrimedabilmente per risultare approssimativi, goffi, in buona sostanza "sbagliati". 

Insomma, La profezia dell'armadillo sembra limitarsi a copiare Zerocalcare senza coglierne l'essenza, senza riuscire a trasmettere appieno la sua cura nella scelta delle situazioni, delle battute, dei sentimenti da trasmettere.

Il film di Scaringi, come detto, riesce talvolta ad essere godibile, ma sembra più un tributo (talvolta amatoriale) che una trasposizione vera e propria. Coglie lo stile di Zerocalcare solo in parte, e non riesce quasi mai a riprenderne la profondità. Al netto non è un disastro totale e, più comodamente, se ne sta a metà tra opera per i fan e occasione mancata per il grande pubblico.