La volontà del male di Dan Chaon

Reduce dai successi di Kent Haruf, NN Editore torna nella provincia americana, questa voltà, però, lungo i sentieri di un noir tanto malinconico quanto spietato…

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a cura di Gianmaria Contro

Lo sbuffo di fumo di una sigaretta clandestina. Poi un’altra e un’altra ancora. E poi. Un fatto di sangue, appostato appena oltre l’uscio della memoria. E poi. Un innocente – che tanto innocente non è – scarcerato dopo decenni di ingiusta detenzione.

È l’inizio di una storia o la sua fine?

Per La volontà del male, terzo, pluriosannato romanzo dell’americano Dan Chaon, la risposta – grazie al cielo – non è data immediatamente. Anzi, nella struttura spaziotemporale sapientemente dissestata del suo raccontare, un poco alla volta la domanda stessa si perde per lasciare spazio a una sensazione di oscura predestinazione; di pagina in pagina, i rassicuranti nessi causali paiono quasi slacciarsi e tutto appare come coesistente in una tetra eternità.

Nato cinquantacinque anni fa in un microbico paesino nei pressi di Sidney, che, a dispetto dell’ingannevole nome, è a malapena una spianata di erbacce e casette sparse nel Nebraska sudoccidentale, l’ex insegnante di Scrittura Creativa ha saputo mettere a frutto il Primo Comandamento della sua disciplina. Write what you know, scrivi di ciò che conosci – recita l’aurea regola – e Chaon lo fa con la pala letteraria di cui si è dotato in anni di meticoloso accumulo, scavando nel freddo suolo di quell’immensa provincia nordamericana che ha percorso negli anni dell’infanzia-adolescenza. Si aggira in cerca di cadaveri malsepolti.

E ne trova, parecchi.

Nel 1983 quattro persone vengono trucidate nella loro abitazione. Sono coppie singolari – due fratelli che hanno sposato due sorelle – e sono anche quattro alcolizzati, genitori maldestri quanto assenti. In questa sequenza numerica, il quinto incomodo è il figlio adottivo Russell (alias Rusty) che – così sostiene l’accusa – in una bella serata di giugno ha pensato bene di farli fuori tutti a pistolettate.

È lui l’innocente-non-tanto-innocente che nel novembre del 2011 sguscia fuori dal carcere, imprevedibilmente scagionato, per accendere l’inquietudine di Dustin, il suo ex-fratellino (oggi psicoterapeuta fallito), il quale non a caso inizia a fumare compulsivamente. Intorno a questo tabagista incerto e tremulo si compone una geografia familiare fatta di pedine non meno fragili: le cugine Wave e Kate, il figlio tossicomane Aaron col suo disfunzionale amico Rabbit, la moglie Tilly, avviata al camposanto lungo la via chemioterapica. E, se ancora non bastasse, ecco l’inquieto e inquietante Aqil Ozorowski, ex sbirro neuroesaurito che porta nello studio e nella vita di Dustin – chiusa in pesanti faldoni – la sua tesi complottista su ragazzi assassinati e serial killer latitanti.

In genere non è un buon investimento considerare un autore come una sommatoria o come il riassunto filogenetico di altri autori, ma nel caso di Chaon – e forse di gran parte dell’epos narrativo statunitense contemporaneo – la tentazione emerge così forte e semplice sulle dita del recensore da somigliare a una forma di irresistibile autocompiacimento. Nell’America de La volontà del male, nell’America profonda di Chaon, è impossibile infatti non intravedere quella terra imbestialita di cui narra Jack Ketchum, quella putrida ed esistenzialista di Ligotti, quella “della frontiera” (materiale ed etica) che il western postmoderno di McCarthy ha sparato nei nostri salotti.

C’è persino, a voler aguzzare lo sguardo, il freddo e sarcastico anti-umanesimo di David Foster Wallace, l’opprimente familismo di Joyce Carol Oates e sì, c’è anche l’America semirurale, alcolista e disperata del primo King. Tante Americhe, diverse forse nelle loro microsfumature, ma convergenti verso la forma affrescata di un universo-cloaca, discarica del fallimento individuale e corale. Landa popolata di White Trash sbandati, inondata di tossicomanie e di sessualità abusata e abusante, di ragazzini perturbati e di adulti alla deriva sul filo della precarietà economica, dell’inconsapevolezza distruttiva e autodistruttiva.

Letture consigliateJack Ketchum, Offspring. Progenie cannibale (Amazon)Jack Ketchum, Sentieri di Sangue (Amazon)Jack Ketchum, La ragazza della porta accanto (Amazon)Thomas Ligotti, La cospirazione contro la razza umana (Amazon)

E c’è qualcos’altro.

C’è lo “zio” Rusty, dicevamo. Innocente non tanto innocente, portatore delle stimmate psichiatriche dell’omicida seriale (enuresi notturna, crudeltà verso gli animali e, forse, piromania?) che si affaccia sulla scena con quella scivolosa consistenza che solo i veri spettri sanno avere.

Ma Rusty è vivo e concreto, così come vivo e concreto è il ricordo di ciò che ha fatto (o non ha fatto?). È di carne e ossa nella misura in cui lo sono i ricordi – e i ricordi, si sa, non sono che le ombre dei sogni. Nella cronaca dei nostri tempi, persino nella materia oscura delle trame giornalistico-poliziesche italiane, l’abbiamo visto a più riprese: sulla memoria del trauma – sulla sua inconsapevole, incidentale, maldestra o criminale manipolazione – si sono istruiti casi giudiziari dagli esiti strazianti, incerti, soggetti a una permanente revisione e rilettura.

Intere esistenze storpiate, punizioni e assoluzioni inferte sulla pelle altrui in nome di un’esigenza di catarsi collettiva. Ma catarsi forse non è il termine adatto… Forse non si tratta di liberarsi dall’incubo, forse ciò di cui abbiamo veramente bisogno è di appropriarcene, di sentirlo nostro. Muovendosi a mani aperte e occhi chiusi in quell’immaginario melmoso, popolato di satanisti, violatori pedofili, obbrobriosi torturatori, tossicomani orgiastici, ciò che tutta la gente-per-bene cerca non è il caro vecchio capro espiatorio, ma piuttosto di assaporare la propria fetta di torta.

La possibilità – non è a questo che servono da sempre le fiabe nere? – di vivere per un istante, fino in fondo e senza compromessi, la Volontà del Male. Talvolta – nell’interstizio invisibile tra una pagina e l’altra – sembra che proprio di questo voglia parlarci Chaon. Sembra che su questo pavimento sudicio, come nelle toilette di una gas station dimenticata, si siano avventurati i suoi personaggi nella loro pericolosa ricerca del passato.

Facciamo un altro passo. L’ultimo.

Il fascino di tanta narrativa psycho-thriller degli States – che nel lavoro di Chaon si riflette ed amplifica oltre misura – risiede proprio in quel che talvolta le viene rimproverato: la sua tipicità stilistica. La tensione che vi si esprime verso una sorta di grado zero della scrittura, che sta a metà tra l’idea di stereotipo formale e quella di purezza, cruda nudità del linguaggio, verosimiglianza che si fa verità.

Letture consigliateThomas Ligotti, Nottuario (Amazon)Thomas Ligotti, I canti di un sognatore morto (Amazon)David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più (Amazon)David Foster Wallace, Questa è l’acqua (Amazon)David Foster Wallace, La scopa del sistema (Amazon)

Qui il narratore diviene invisibile e il narrato si muta in fatto oggettivo, percepito più che appreso. Le chiavi del regno sono ora nelle mani del lettore che può sentirsi spettatore proprio mentre è più che mai attore. Chi vedesse in tutto ciò un’opzione paraletteraria o persino anti-letteraria avrebbe semplicemente frainteso le regole del gioco a cui sta giocando, perché è in questa tipicità che si esprime il Piccolo Sublime di Chaon, il suo lento assimilare l’invenzione di una cronaca nera, alla cronaca di un’invenzione nera qual è l’omicidio, avvicinando il suo romanzo al modello immortale disegnato da Truman Capote nel lontano 1966.

Ciò che rende davvero interessante uno psycho-thriller come La volontà del male, insomma, non è tanto il germe di whodunit che – peraltro piuttosto distrattamente – ospita tra le sue pagine. È in effetti interessante nella misura in cui non è uno psycho-thriller nel senso più immediato e leggibile, ma un trattato polifonico sulla memoria e sulla sua de-costruzione condivisa. Tante opere capitali della letteratura occidentale contengono fatti sanguinosi della cui materia si nutrono, e senza i quali semplicemente non potrebbero esistere. Ci parlano attraverso la violenza perché essa è il solo linguaggio che siamo universalmente capaci di comprendere. Ciò che descrivono, d’altro canto, non è la violenza in sé, ma le condizioni strutturali che la rendono possibile, necessaria nel senso strettamente logico del termine.

E la necessità, in senso strettamente psico-logico, è ciò che più spesso confondiamo con la volontà.