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a cura di Omar Serafini

retrocult

Nota del curatore. Si fa presto a dire appassionato di cinema. A volte si fa presto persino a dire cinefilo. Eppure negli ultimi (più o meno) 20 anni, ho perso il conto di quante volte ho sentito l'emozione di aver di fronte un'anima affine, seguita dopo un attimo dalla frustrazione di essermi sbagliato.

Basta davvero poco. Basta citare Godard o Truffaut, o il britannico Kitchen Sink o qualche russo. Se quello ti risponde con uno sguardo vuoto, con il silenzio degli agnelli portati al macello, ecco la delusione. Cocente e amara, ostacolata solo un po', pochissimo a dire il vero, da una vaga e leggera sensazione di superiorità - quella che ti viene quando ti accorgi di sapere qualcosa che il tuo interlocutore ignora.

silence of the lambs
Qualcosa di rilevante s'intende, come appunto il cinema di Godard e quello della Nouvelle Vague
in generale. Quella nuova onda francese la puoi anche detestare, certo, ma se vuoi parlare di cinema, se vuoi essere minimamente credibile, devi aver visto quei film e devi saperne parlare. Se invece ti citano Jean-Paul Belmondo e tu pensi a un formaggio, ecco uno di quei momenti in cui è meglio defilarsi - se proprio non è possibile scomparire in una siepe a la Homer Simpson, che almeno sia qualcosa del genere.

Ed ecco perché ho amato il pezzo odierno, a firma del carissimo Omar Serafini. Un autore che oggi recupera un punto fisso nella storia del Cinema, Godard ovviamente, e ci permette di guardarlo nella prospettiva della narrativa di genere, del cinema Sci-Fi. E facendolo ci ricorda che il genere tutto sommato non è che un altro strumento nelle mani del narratore. Significa tutto e niente, ma nelle mani di un vero autore, serve ai suoi scopi come uno scalpello in quelle di Michelangelo.

Diceva il Buonarroti che la statua è già nel marmo, che il lavoro sta solo nel tirarla fuori. In narrativa non è molto diverso, tranne per il fatto che almeno in parte prima devi farti il tuo blocco di marmo e poi estrarne l'Arte; ed è qui che Godard seppe essere rivoluzionario, come ci ricorda anche il Ray Manzarek nel film The Doors di Oliver Stone: parlando di un colloquio con il suo "insegnante" di cinema, racconta di come gli abbia detto "copione? Godard non usa un copione!". E l'altro risponde "Fantastico! Chi è Godard?".

Valerio Porcu

 

Il viaggio dell'eroe Lemmy Caution

Agente Lemmy Caution, missione Alphaville, con cui Jean-Luc Godard vince l'Orso d'Oro al Festival di Berlino 1965, è un film crepuscolare, un gioco di forme plastiche immerse in un alone di luce lunare. Un bianco e nero fortemente contrastato, una sfida alle tenebre, volti e forme scolpite da una luce incidente, effetti fortemente voluti e straordinariamente ottenuti. A una trama piuttosto banale, con soluzioni addirittura naïf, fa da contraltare un'estetica del film estremamente curata, il risultato di una attenta ricerca sulle tecniche del suono e dell'immagine che con il tempo trasforma questo film in un cult malgrado le contestazioni dei puristi al Festival del Film di Fantascienza di Trieste (dove vinse il primo premio).

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Sotto le mentite spoglie del giornalista Ivan Johnson, inviato del giornale Figaro-Pravda, il nostro agente segreto giunge dalla Terra ad Alphaville, una città tecnologicamente evolutissima, capitale di un'altra galassia, per riportare sul nostro pianeta un abilissimo scienziato di nome von Braun (Howard Vernon), che nel frattempo ha assunto a Alphaville l'identità del professor Leonard Nosferatu.

Agente Lemmy Caution: missione Alphaville
Titolo originale Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution
Anno 1965
Regista Jean Luc Godard
IMDB 7.2
Rotten Tomatoes - critici top 92
Rotten Tomatoes - tutti i critici 90
Rotten Tomatoes - Pubblico 81
Metascore (Metacritic) 66

La città è diretta da un potente e loquace supercomputer chiamato Alpha 60 (creato dallo stesso Nosferatu) che ha bandito ogni forma di sentimento e di creatività individuale. La parola "amore" è proibita; alle naturali necessità del sesso si rimedia con "seduttrici" professionali burocraticamente inquadrate; tutti coloro che si rendono responsabili di un comportamento irrazionale vengono falciati a colpi di mitra durante il corso di sontuosi ricevimenti.

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Dopo una lunga ricerca, Caution rintraccia il suo predecessore Henri Dickson (Akim Tamiroff) che, come l'agente precedente Dick Tracy, aveva fallito la sua missione. Irrimediabilmente alcoolizzato perché incapace di sopportare la durezza della vita a Alphaville, il collega di Caution muore farneticando pensieri proibiti sull'amore e sulla tenerezza e consegna all'agente un libro, Capitale de la douleur di Paul Eluard.

Ora, poiché secondo il poeta francese la "Capitale del dolore" sarebbe Parigi, l'allusione è evidente; se si aggiunge poi il fatto che gli esterni sono stati tutti girati in questa città, facendola passare per la fredda, crudele Alphaville, ecco che il discorso si completa. La guida di Lemmy Caution nei sui spostamenti ufficiali si chiama Natacha von Braun (Anna Karina), una "seduttrice di terza classe". Anna ha dimenticato la sua vera identità e si è completamente integrata nella vita di Alphaville, ma in realtà è la figlia del professor Nosferatu.

La crisi

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Nel frattempo la situazione è sull'orlo di una crisi intergalattica. I rapporti tra Alphaville e i "Pianeti Esterni" peggiorano drammaticamente, finché Alpha 60 dichiara la guerra. Tra i colloqui con il supercomputer e la lentissima ma costante umanizzazione di Natacha, Caution completa la sua missione e uccide lo scienziato che ha contribuito alla disumanizzazione della città, distrugge i circuiti del supercomputer facendo piombare la città nel panico e uccidendone lentamente gli abitanti per mancanza di energia. Caution fugge varcando il confine esterno cittadino (metafora di una fuga da quel mondo da incubo) con la ragazza che, accanto a lui, trova la forza di pronunciare le parole proibite: «Io... Io... ti amo.» 

Mi rifiuto di diventare ciò che voi chiamate "normale". Io credo nei dati immediati della coscienza...

- Lemmy Caution