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a cura di Tom's Hardware

Il primo degli elementi che (paradossalmente) colpisce lo spettatore è il valore del silenzio. E non ci si riferisce ai dialoghi sparuti, al valore puramente fonico del rumore di fondo, ai tempi riflessivi: la prima mezz'ora di film è infatti completamente priva di qualsiasi voce umana. Il protagonista non riflette fra sé, non c'è una narrazione fuori campo, non si ode un pensiero: il naufrago è lasciato da solo con il vento, le onde, il fruscio delle foglie e il rollio delle rocce dalla scogliera.

emidio greco[1]
Emidio Greco

Una prima mezz'ora che strania lo spettatore, lo catapulta in una dimensione quasi documentaristica, nonostante l'attenzione in realtà non si focalizzi mai più di tanto sull'isola ma rimanga sempre sull'unico essere umano che vediamo fino a quel punto - protagonista di quasi tutte le inquadrature.

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Il valore di questa scelta a dir poco coraggiosa è doppio: da una parte, ci costringe a immergerci nella mente dell'uomo che osserviamo. Un'azione che ci priva di qualsiasi ragionamento articolato e ci obbliga a tentare di capire le sue intenzioni dai gesti, i suoi desideri dalle espressioni, le sue deduzioni dalle azioni e reazioni. Dall'altro lato, rende ancora più sconcertante l'improvvisa apparizione in cima alla scogliera: un evento già di per sé fantasmagorico e ben al di là della linea dell'inquietante: una semplice danza interrompe un silenzio che sembrava infinito. L'effetto sorpresa è così spiazzante da far apparire una festa in riva al mare come uno degli eventi più surreali e incredibili si possa immaginare.

Opera insolita nel panorama della produzione italiana, il film fa uso sapiente di atmosfere surreali per invitare a riflettere sul significato della realtà, sulla consistenza dell'immagine e sulla finitezza esistenziale dell'individuo.

Fantafilm

A sottolineare - come se ce ne fosse bisogno - questo espediente narrativo, la colonna sonora: ridotta, semplicemente allo spettrale ballo dell'apparizione; un tema uscito dalla penna di Nicola Piovani, qui in una delle sue primissime prove, di venticinque anni anteriore all'Oscar per le musiche de La vita è bella. Un accompagnamento musicale che Greco sfrutta con un approccio da Neorealismo - filone cinematografico che all'epoca era ancora un punto di riferimento in Italia e nel mondo: la musica che sentiamo è quella che sente anche il protagonista, non c'è nemmeno una nota che sia fuori scena. Quando finisce, lo spettatore è lasciato solo nel vuoto della sconcertante esperienza del naufrago: nulla sentiamo che non senta anche lui.