Fango, pioggia e freddo

I segreti e le curiosità, un viaggio in Nuova Zelanda per scoprire come è stato girato il film Lo Hobbit.

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a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief

Fango, pioggia e freddo

A Wellington ci sono gli Sudios, cioè un ammasso di capannoni e spiazzi dove sono riprodotti i vari set, e tutte le strutture a supporto. Ovviamente solo una parte delle scene sono girate in questi set, lo sfondo naturale della Nuova Zelanda è usato in tutte le sue parti. Montagne, ampie pianure, boschi, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Troupe, attori, comparse, costumisti, attrezzature, tutto quel che serve si sposta alla bisogna, e per tutti i giorni necessari. Immaginate un piccolo paesino, con le sue strutture e le sue persone che da un giorno all'altro fa i bagagli e si insedia nella pianura vicina, lasciando solo i solchi nel terreno. Impressionante.

Ma tornerò più tardi agli Studios, perché la maggior parte del tempo l'ho passata in mezzo al fango, sotto una tenda riscaldata da una stufetta elettrica e con diverse, troppe, tazze di un cattivo caffè. Mi chiedo ancora con che coraggio si possa offrire un caffé del genere a un italiano (lo davano per scontato quando chiedevano se qualcuno volesse qualcosa da bere), e soprattutto con che coraggio ne ho bevuto così tanto.

Era il set della città di Dale, e stavano girando la scena di un assalto nemico. Gandalf, Bard e Bilbo, in un attimo di tregua, cercano di farsi forza, di non perdere la speranza. Potrei dettagliarvi ogni secondo di quella scena, e recitarvi le battute di tutti gli attori, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Non preoccupatevi, non farò spoiler di alcun tipo. Due giorni passati sotto a questa tenda, due giorni di riprese per un minuto e mezzo di film! L'avreste mai detto?

Com'è una tua tipica giornata lavorativa?

Passo la maggior parte del tempo a pianificare le attività, è il mio impegno da regista. Abbiamo un determinato numero di giorni per girare un film, e per la fine di questi giorni, tutto deve essere stato girato. Mi sveglio alla mattina e penso "okay, quanto possiamo girare oggi?". Perché dipende molto da dove siamo, se all'esterno o in uno studio, quanto è complicata la scena, alcuni giorni possiamo girare solo 6 o 7 riprese, altri il doppio, dipende da molti fattori. Guardo il copione e penso "Okay, oggi devo girare questo, probabilmente saranno cinque riprese. Okay, si, cinque riprese". Quindi so che sarà necessaria una certa quantità di tempo, e per le tre di quel pomeriggio voglio aver finito la ripresa di quella scena. Devo pianificare tutto. È un po' come una sorta di tortura perché guardi continuamente l'orologio pensando "Avremmo dovuto finire questa scena venti minuti fa, dobbiamo iniziare con quella successiva". Non posso permettermi di arrivare alla fine della giornata senza aver concluso la scena. È sempre molto difficile.

Sotto alla tenda c'era un grande TV 3D, in cui si vedeva in diretta quello che riprendevano le videocamere, riprese che poi Peter Jackson, con la sua immancabile tazza di tè in mano, poteva rivedere direttamente sul set. Dal mattino presto alla sera, con pochissime pause, un lavoro così intenso a cui non avrei creduto se non l'avessi visto con i miei occhi. E io che pensavo che fare l'attore fosse un lavoro di qualche ora, e tutto il resto interviste, fan e ville con piscina. Certo lo "stipendio" di questi attori va ben oltre i mille euro al mese, e anche se è molto più faticoso lavorare la terra, è meno rilassante di quello che immaginassi.

Jackson è maniacale, ogni scena viene girata non solo decine e decine di volte, in cui viene chiesto agli attori di cambiare posizione, o di recitare la parte con gesti, toni e modi differenti, ma anche con tre, quattro o cinque inquadrature differenti, e ogni volta una ritoccatina al trucco ma anche al set, una pettinata alla sabbia e un'innaffiatina di sangue finto sulla roccia. Una videocamera, poi l'altra, poi l'altra ancora, fino a quando la scena non soddisfa l'immaginario del regista. O meglio, non raggiunge la perfezione. Ian McKellen, il grande Ian McKellen, che interpreta Gandalf, in questa scena aveva il viso molto affaticato. Lo prevedeva il copione, ma traspariva chiaramente che non stava solo recitando, come ci confermerà lui stesso dopo la giornata di riprese.

E dopo che si è trovata la giusta inquadratura, movimento, tono della voce, si è solo pronti per girare, ripetute volte, la scena che poi entrerà a far parte del film con tutti gli attori.

Sul set muovi continuamente la videocamera, non è mai fissa, continui a cambiare prospettiva.

Ogni regista è differente e sviluppa la propria sensibilità. Per me la videocamera non è solo un occhio esterno, tutt'altro, è un attore della scena. La videocamera è qualcosa con cui si può inviare un messaggio subliminale agli spettatori. Le persone non se ne rendono conto, ma se un attore è, per esempio, immobile durante una scena emozionale, e la videocamera si sposta nella giusta maniera, senza rendervene conto verrete trascinati e avvicinati all'attore e al messaggio che sta comunicando. Lo stesso vale per una scena caotica, durante una battaglia, il movimento della cinepresa all'interno della scena vi farà sentire al centro della lotta. Guardo sempre la scena e penso come la cinepresa possa diventare un membro del cast e, come tale, qual è il suo ruolo e come deve comportarsi.

Il computer sicuramente aiuta, le comparse non mancano e devono essere sempre pronte e all'erta per girare. Forse sono proprio le comparse quelle che fanno il lavoro peggiore. Se i grandi attori possono soffrire per intere giornate al freddo, nel fango e sotto la pioggia, le comparse fanno altrettanto, ma per una remunerazione decisamente più ridotta. Può accadere di passare ore in attesa, e quando Peter chiama il ciak, si corre in scena per quei cinque secondi netti in cui bisogna prendersi una spadata in faccia dall'eroe di turno per poi stramazzare sonoramente a terra. Ci vuole tempra, dedizione, e sicuramente un grande amore per la recitazione per sopportare tutto questo. Soprattutto quando lo si fa con una maschera sul volto nel completo anonimato.