Lou, recensione: un thriller al femminile dal sapore agrodolce

Lou, un thriller tutto al femminile che alterna guizzi interessanti a stereotipi di genere, disponibile su Netflix dal 23 settembre.

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a cura di Nicholas Massa

Disponibile dal 23 settembre su Netflix, Lou, diretto da Anna Foerster, è uno di quei film che apre il suo viaggio con un ritmo sostenuto e una storia piena di ombre per poi aprirsi a un percorso che mette a nudo tutte le sue oscurità. Una storia insomma non troppo definita che tenta di spiccare un salto che non arriva mai, o che non arriva nel modo giusto, sfruttando una serie di stereotipi e leggerezze narrative che alla fine intrattengono, senza rimanere troppo impresse nell’identità stessa del progetto. Finché si parla d’intrattenimento, comunque, tutto funziona nei limiti di un’esperienza televisiva facilmente accessibile a tutti, e legata a una dimensione cinematografica “da divano” in relax. Si seguono alcuni guizzi narrativi anche interessanti ma mai davvero sviluppati fino in fondo, anche in contrasto con le potenzialità del cast stesso in gioco.

Al centro della narrazione di Lou troviamo Allison Janney nel ruolo della protagonista oscura e piena di segreti, affiancata da Logan Marshall-Green e da una Jurnee Smollet pienamente in parte. Alla violenza più cupa di questa protagonista, una donna fredda dallo sguardo vuoto, si dipana la trama legata alla scoperta del suo stesso passato che taglia, idealmente, il film in due parti facendolo però collimare con la sua stessa identità, quella di un revenge movie, portandolo altrove.

La pioggia ininterrotta dentro e fuori Lou

Siamo sulle isole di San Juan appartenenti allo stato di Washington e vediamo una donna sconosciuta vivere da sola in una casa lontana. Nessuno le tiene compagnia al di fuori del suo fedelissimo cane e non sappiamo assolutamente nulla di lei. Sono le immagini a parlare, ad introdurci all’interno della sua esistenza silenziosa e solitaria. La vediamo cacciare e comprendiamo dal suo sguardo che c’è qualcosa che non va in questi silenzi che diventano ben presto assordanti. Ha una cicatrice sulla mano e il polso fermo quando si tratta di sparare col fucile, eppure sembra quasi che stia dicendo addio a tutto e a tutti tormentata da qualcosa di lontanissimo dalla nostra comprensione. Questi sono i primissimi istanti che aprono Lou e ci introducono la protagonista che dà il proprio nome alla pellicola. Nel presentarcela, comunque, la macchina da presa alterna anche momenti di quotidiana esistenza nella cittadina vicina, soffermandosi soprattutto su una ragazza e la sua bambina che vivono in affitto sul suo terreno.

Siamo nell’America in cui Reagan era presidente, un’America con gli occhi puntati altrove, puntati verso l’Iran e verso alcuni conflitti militari chiari e meno chiari. Il quadro storico, comunque, fa da sfondo a una narrazione inizialmente disegnata da un ritmo sostenuto, per poi muoversi in una direzione del tutto opposta. Il cambiamento arriva nel corso di una notte piovosa. Nel buio di questa notte inzuppata da una pioggia torrenziale, la figlia di Hannah, l’affittuaria di Lou, viene rapita improvvisamente dal padre, un ex berretto verde macchiatosi di alcuni crimini di guerra. La donna nel panico più totale va a chiedere soccorso alla sua padrona di casa, ottenendo in cambio un aiuto diretto e innescando un vero e proprio inseguimento al suo fianco.

La lontananza dalla civiltà delle loro abitazioni e le difficili condizioni climatiche spingeranno Lou ed Hannah a reagire nel modo più diretto possibile, mettendosi dietro al rapitore e  seguendo le sue tracce nel bosco. Lou, però, non è una semplice e tranquilla vicina di casa, la sua freddezza e dimestichezza con le armi di ogni tipo cela una storia che non attende altro che essere scoperta.

Un segreto al centro di tutto

Uno dei tratti più affascinanti della scrittura di Lou risiede nel modo in cui gli enigmi nascondono la verità della trama, scelta stilistica che però non viene sfruttata adeguatamente. Tratteggiare una protagonista silenziosa con un passato tutto da scoprire, funziona fino a un certo punto, e tutto il valore dietro al mistero andrebbe snocciolato a poco a poco. Purtroppo questo non avviene, tagliando di netto tutto il mistero della narrazione troppo presto. Il fatto che il passato stesso dei personaggi diventi il motore centrale di ogni scelta di sceneggiatura andrebbe anche bene, sono però le tempistiche legate alle rivelazioni a rompere il ritmo della narrazione troppo presto.

A questo poi si unisce un'azione che in alcuni tratti non risulta troppo credibile. Le capacità di Lou la metteranno ben presto in alcune situazioni abbastanza complesse da risolvere, e anche se le sue abilità personali restano indiscutibili, è il modo in cui la narrazione stessa contestualizza la violenza in atto a non funzionare bene, ancorando il personaggio ad alcuni stereotipi che purtroppo restano tali.

Anche nel momento delle grandi rivelazioni la narrazione prosegue senza soffermarsi troppo sulle reazioni ma preferendo tenere alto il ritmo a discapito di alcuni approfondimenti che sarebbero azzeccati. Da tutto ciò si sviluppano una serie di tematiche, come quelle della violenza domestica o dell’abbandono, che non trovano mai un proprio culmine funzionale, purtroppo. Le due protagoniste al centro di Lou funzionano e risultano credibili dall’inizio alla fine, però l’insieme di elementi cui si sottopongono nel corso del loro viaggio, avrebbero meritato una ricercatezza maggiore in termini di scrittura. Sembra quasi che non ci sia mai troppo tempo per approfondire quello che provano i singoli personaggi, in favore di un’azione che procede senza freno.

Immagini e immaginazione 

Dal punto di vista formale, invece, Lou riesce ad imprimere un tocco registico anche riconoscibile nel suo insieme, e lo fa alternando a momenti semplicistici, inquadrature ricercate e la costruzione di un’estetica che partecipa all’azione stessa, amalgamandosi alla caratterizzazione dei personaggi. C’è questa pioggia scrosciante che continua a bagnare ogni cosa e ogni scena nel film, così preponderante da quasi rompere lo schermo e venir fuori. Il freddo e l’umidità dei boschi diventano ben presto il riflesso di quello che Lou si trascina dentro, definendo una scrittura per immagini che non si tira mai troppo indietro, anche quando si tratta di momenti delicati o violenti.

La regista gioca continuamente con le ombre nel corso di tutta la narrazione, tagliando le immagini e i personaggi nei momenti chiave, oppure delineando i loro sguardi attraversandoli e sfaccettandone le motivazioni. Questo resta uno dei tratti più interessanti di questa pellicola, girata con un occhio attento, anche se guidato da una scrittura che mano a mano perde la sua originalità.