L'uomo bicentenario, il robot che volle farsi uomo

L'Uomo Bicentenario fu il primo film hollywoodiano ad adattare l'opera di Isaac Asimov. Mostrò che era possibile portare su schermo il lavoro di questo scrittore, e seppe toccare con successo alcuni temi fondamentali della narrativa sia scritta sia filmata.

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a cura di Valerio Pellegrini

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Nota del curatore: in origine un robot è una macchina che lavora. Instancabile frutto dell'ingegno, schiavo felice, operatore instancabile. Subito però l'immaginario ha assaltato questa idea e ne ha fatto qualcos'altro. Qualcosa che è rappresentato magistralmente in questo articolo di Valerio Pellegrini.

Il robot, soprattutto quando è umanoide, è specchio dell'umano. E dunque una tra le più potenti risorse a disposizione di un Narratore, a maggior ragione uno abile come Isaac Asimov. Ciò che ci riflette, da sempre, ci obbliga a guardarci, a parlare di noi, ad affrontare il più difficile degli sguardi.

Ha ragione Valerio quando dice che L'uomo bicentenario segna una svolta nel cinema di fantascienza, eppure allo stesso tempo è una storia - come molte di quelle che ci ha donato Asimov- classica, di quelle che scavano nel profondo per obbligarci, con la forza delle emozioni, a giocare con gli archetipi.

Il che è curioso, perché il robot di Asimov è un Mostro noto, un Altro che ci fa riflettere sull'essenza del corpo e sulla natura dell'umano. Eppure questo robot è già obsoleto, è già antico. Oggi la parola non ha solo perso la prima sillaba, ma ha smarrito qualcosa di più. Prima degli umani, i bot hanno già perso il corpo; le IA moderne non hanno certo il cervello positronico di Andy, se non altro. Non ancora.

Valerio Porcu