Perché vedere Monarch, recensione della nuova serie NOW con Susan Sarandon

Susan Sarandon è la protagonista di Monarch, la nuova serie targata NOW, incentrata su una famiglia americana famosa per la musica country.

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a cura di Nicholas Mercurio

“Take me home, country roads” è una delle più grandi ballate country che siano mai state scritte e composte, e con il racconto di Monarch ha qualcosa in comune. Alla chitarra c’era John Denver, un’icona del genere, considerato dagli appassionati uno dei pochi che poteva concorrere con George Strait. La sua voce, giunta a noi dalle montagne del West Virginia, raccontava di montagne illuminate dal sole, del sapore acre del moonshine, di ricordi sfuggenti al chiaro di luna, di amori perduti, ritrovati e mai dichiarati.

Monarch, la nuova serie targata NOW disponibile dal 23 novembre, sembra proprio seguire i temi di questa canzone, aggiungendosi al vasto catalogo composto da opere come House of the Dragon e Romulus. La serie, prodotta da Sony e Fox e diretta da Melissa London Hilfers, è un’idea ambiziosa, potente e intrigante. Non nasce semplicemente dal desiderio di raccontare una storia qualunque come è stato fatto erroneamente con The Royals. Si tratta di un family drama che, rispetto al racconto immaginario creato da Mark Schwahn, parla dei Roman, la famiglia più importante della musica country.

Quando la musica conta davvero

Dottie Cantrell Roman, interpretata dalla talentuosa Susan Sarandon, è la regina del country, oltre che un’icona di stile e classe impareggiabili. È sposata con Albie Roman (Trace Adkins), uno dei migliori cantanti del genere, e insieme hanno tre figli: Nicolette (Anna Friel), Georgina (Betty Ditto) e Luke (Joshua Sasse, Galavant), ognuno diverso, folle e interessante al tempo stesso. La famiglia Roman, conosciuta da chiunque, è in un momento di grande difficoltà, costretta a dover scegliere se salvare le apparenze, o mostrare finalmente la sua fragilità, con il rischio di rovinare quarant'anni di carriera.

I primi due episodi introducono i protagonisti principali, concentrandosi sulle peculiarità dei vari personaggi, mostrano dei rapporti lacerati a causa di un passato molto triste, nonché il contesto dando cioè un’infarinatura sulla musica country e la sua evoluzione, che ha visto nomi importanti farsi largo nello scenario, sebbene nessuno sia famosa e conosciuta come Dottie Cantrell Roman. Ma quanto è dura essere la regina in un mondo ormai diverso da quello degli anni ’80? Molto più di quanto qualcuno si aspetti. Dottie, la superstar della famiglia, è sempre stata una stella in ascesa sicura di sé stessa, e non ha mai avuto momenti di difficoltà nel corso della sua carriera. Viene presentata, infatti, come una guerriera pronta a tutto pur di difendere il suo regno e la sua famiglia anche a costo di inimicarsi qualcuno che non ammira e trova di pessimo gusto. Se da una parte riesce a mantenere l’equilibrio, dall’altra però si è ritrovata a dover plasmare a sua immagine e somiglianza i suoi figli. Non facendo ulteriori spoiler, sappiate soltanto che la storia si concentra sulle dinamiche familiari e personali della famiglia Roman, che in più di un’occasione ha dato la sensazione di essere sempre al centro della bufera anche quando non c’erano tempeste all’orizzonte. Come accennavamo prima, è una vita di apparenze, e lo si comprende sin da subito. La regia, in maniera abile, ha avuto la capacità di esaltare una scrittura ottima, forte e ben strutturata.

È il ritmo, infatti, a essere ben bilanciato e chiaro sin dal primo istante, con scene alle volte agghiaccianti, e in altre occasioni presentando momenti commoventi. Monarch, in tal senso, si interfaccia a un pubblico adulto, riuscendo al tempo stesso a mantenere un approccio ben pensato e sfaccettato anche per i più giovani, bilanciando egregiamente i vari accadimenti senza esagerare, tenendo lo spettatore attaccato allo schermo. Gli sceneggiatori, puntando su una scrittura ovviamente non troppo complicato, sono riusciti a dare spessore a ogni protagonista. Chi ci ha colpito maggiormente è la giovane Nicolette, la principessa del castello della Monarch, l’etichetta musicale capitanata proprio dai Roman e dal fratello Luke. L’interpretazione di Anna Friel, un vero talento del cinema americano, è al momento encomiabile. Nicolette è una protagonista interessante e ben delineata, perché è costretta a doversi dividere tra un marito che mente in continuazione mentre sopporta il peso dell’eredità del padre e della madre, cercando di far funzionare i dettagli di una vita che pensava perfetta.

Interpretato da un ottimo Joshua Sasse, Luke è caratterizzato in modo originale, risultando un personaggio curioso e sopportando il peso di ogni scelta. Apprezzato e amato dalla madre, non è a sua volta stimato dal padre, che lo considera un pallone gonfiato. Joshua Sasse, che abbiamo già avuto occasione di vedere in Galavant, è stato tuttavia mal sfruttato nelle parti canore, con una sola partecipazione nei primi due episodi. Avremmo certamente apprezzato sentirlo intonare più di un brano, considerando le sue ottime qualità. Contiamo, infatti, di rivederlo prossimamente negli altri episodi, in cui magari potrebbe partecipare a canzoni e a momenti certamente più rilevanti di quelli presentati. Una critica che ci sentiamo di muovere, purtroppo, riguarda proprio la scelta delle canzoni. Al momento c’è soltanto una composizione originale della serie, mentre le altre, come la cover di “Photograph” di Ed Sheeran, sono riproposizioni in salsa country. Al netto di questo piccolo ma importante difetto, siamo comunque davanti a due episodi ben realizzati e curati con attenzione. Potrebbe accadere di tutto.

Perché vedere Monarch?

I primi due episodi sono stati particolarmente eloquenti sul futuro della prima stagione di Monarch. Al momento siamo davanti a una produzione leggera, da approcciare solo dopo aver concluso una serie televisiva ben più blasonata ed elaborata. È un prodotto che necessita di qualche guizzo creativo in più, di una scrittura maggiormente coraggiosa, nonché capace di lasciare lo spettatore sbigottito.

Le premesse per fare un ottimo lavoro ci sono tutte, e la regia non può fare altro che premere sull’acceleratore e andare a manetta, con lo stereo al massimo. La musica, d’altronde, è sempre la musica. Ogni nota ha una storia da raccontare. Anche la più truculenta.