Morbius, recensione: un cinecomic privo di mordente

Morbius: fallisce il tentativo di dare sostanza al Sony's Spider-man Universe dopo Spider-man: No Way Home.

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a cura di Marco Patrizi

Editor

Dopo i due film dedicati a Venom, tentativi tutt’altro che felici di dare sostanza al suo SSU (Sony's Spider-Man Universe) dando spazio ai villain e antieroi dell’arrampicamuri, Morbius era atteso da molti come il film che avrebbe potuto cambiare le carte in tavola e rendere interessante il progetto cinematografico a lungo termine di Sony, soprattutto dopo la recente intesa con Marvel Studios che ha dato lustro a Spider-Man: No Way Home.

Purtroppo il nuovo film di Daniel Espinosa (Child 44, Life) mette in scena una origin story insipida che inciampa su sé stessa in praticamente ogni aspetto, e a differenza dei Venom, che per lo meno si prendono volutamente poco sul serio, non riesce a sostenere la pretesa di proporre un tipo di cinecomic più maturo, ma anzi appare come una produzione ferma a vent’anni fa.

Il Dottor Michael Morbius e la sua rara malattia

Protagonista del film è il dottor Michael Morbius (Jared Leto), brillante scienziato che ha dedicato la sua vita a trovare una cura per la sua rara (e imprecisata) malattia congenita, che indebolisce il fisico fino al punto da impedire la normale deambulazione e un’aspettativa di vita normale. Sin da piccolo ha praticamente vissuto in una clinica specializzata, dove ha conosciuto il giovane Milo (Matt Smith), affetto dalla stessa condizione, con cui ha stretto un’amicizia fraterna. Passano numerosi anni, Michael è diventato un eccentrico e geniale ricercatore che si è guadagnato un premio Nobel per aver ideato il sangue sintetico, grazie al quale sono state salvate numerose vite umane. Tale successo però non lo soddisfa, dato che il suo obiettivo principale ancora sfugge alle sue ricerche, generosamente finanziate dal patrimonio di famiglia dell’amico Milo. Le cose cambiano quando mette a punto un siero che combina il DNA umano con quello di pipistrello vampiro, che contiene le capacità coagulanti che dovrebbero risolvere la carenza congenita della malattia. Cosa potrà mai andare storto?

Deciso a correre i suoi rischi e varcare i limiti etici (oltre che legali) della procedura, Michael decide di utilizzare una nave in acque internazionali come luogo riservato dove sperimentare su sé stesso la cura. Ovviamente le cose non vanno come sperava e il siero lo cura fin troppo, trasformandolo in un “vampiro vivente” dotato di qualità fisiche eccezionali e capacità sovraumane, ma purtroppo infliggendogli anche un primordiale desiderio di sangue umano. Conscio del suo terribile errore, Michael Morbius dovrà fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni fuori controllo, oltre che con la smania dell’amico Milo, molto meno scrupoloso di fronte alla prospettiva di diventare un mostro predatore pur di mettere fine alle proprie sofferenze.

Spunti interessanti, puntualmente disattesi

Anche se meno conosciuto rispetto ad altri personaggi che gravitano attorno alle avventure di Spider-Man, Morbius avrebbe sicuramente degli spunti interessanti su cui fondare una rappresentazione cinematografica. Spunti che vengono però sistematicamente disattesi e lasciati in sospeso in una bolla di frustrante superficialità. Inutile girarci attorno, la scrittura di Matt Sazama e Burk Sharpless (Dracula Untold, The Last Witch Hunter) è una delle più insulse che ci sia capitato di vedere per un cinecomic (che è tutto dire). Non di rado, tra l’altro, il film scade in incoerenze plateali che smontano qualsiasi coinvolgimento si possa riuscire a costruire, ed è crivellato di dettagli mancanti o mal eseguiti che disturbano l’attenzione con domande a cui non viene mai data risposta. Qual è la natura della malattia di Morbius e Milo? Chi sono i loro genitori? Com’è possibile che il protagonista, ricercato dall’FBI, possa entrare tranquillamente nel suo laboratorio di ricerca (dove per qualche assurda ragione tiene uno stormo di pipistrelli vivi in una gabbia tubolare di vetro illuminata)?

Una certa sospensione di incredulità sarebbe anche tollerabile se il film privilegiasse il “cosa” rispetto al “come” di quel che vuole raccontare, se cioè piegasse logica e realismo al servizio di tematiche interessanti. Anche in questo senso, però, Morbius delude parecchio, abbozzando solo qualche tema senza mai svilupparlo decentemente. Il dilemma morale del protagonista viene descritto in modo superficiale, riducendosi alla sua volontà di fare la cosa giusta in un cammino assolutamente prevedibile e privo di colpi di scena.

Non c’è alcuna riflessione sul disagio e l’emarginazione delle persone disabili. La condizione di vampiro viene ritratta con una sequela di banalità che vi sembrerà di aver visto già decine di volte. Non si percepisce una reale introspezione, il peso della dannazione, della redenzione, dell’antinomia tra la volontà di aiutare le persone e l’istinto ineluttabile di predare su di esse. Anche il rapporto amoroso con la dottoressa Martine Bancroft (Adria Arjona) sboccia “perché sì”, senza alcuna preoccupazione che la condizione di Morbius dovrebbe sollevare, né il sapore proibito dell’amore eterno che altre opere sui vampiri hanno affrontato.

Leggermente più interessante è il personaggio di Milo, che con la razionalizzazione del suo vampirismo, a fronte di un’esistenza misera destinata a interrompersi ingiustamente, infonde un minimo di verve al film. Peccato solo che da amico fraterno di Morbius si tramuti in una cinica nemesi in modo davvero esageratamente repentino e senza l’ombra di un dramma interiore.

Potreste voler comunque vedere Morbius per le scene d’azione, nel qual caso il film riserva effettivamente diverse scene adrenaliniche che restituiscono la palpabile sensazione di potenza delle creature, e possono essere appaganti di per sé, ovviamente sulla base del vostro personale guilty pleasure. C’è da dire però che da questo punto di vista il film si tiene un po’ troppo in piedi su effetti speciali molto “caciaroni” e non esattamente efficaci, a partire da un imprecisato (e onestamente abusato) effetto “scia nebulosa” che segue i movimenti di Morbius per arrivare a dei pipistrelli molto indefiniti e sfocati. Più volte poi le scene di combattimento orchestrate da Daniel Espinosa sfociano nella confusione più totale, tale che non si riesce effettivamente a capire cosa stia succedendo sullo schermo, e tendono a un ripetuto utilizzo dello slow motion che mette in luce le sbavature della CGI.

Non possiamo dire che coreografie e poteri brillino di originalità, dato che vediamo riciclati tutti i cliché dei vampiri o dei mutanti “bestiali” visti negli ultimi anni. Peraltro, dato il suo rating PG-13, ci troviamo nella situazione paradossale di assistere a un film di vampiri quasi privo di sangue, fattore che non può non minare alla riuscita della sua atmosfera.

In alcune scene troviamo un timido approccio al genere horror, che avrebbe senza dubbio dato al film una personalità più marcata e originale se lo avesse caratterizzato in modo più viscerale. La carneficina dell’equipaggio della nave, ad esempio, deve molto allo stile di Alien. Purtroppo stiamo parlando di un paio di sporadiche occasioni che non contribuiscono più di tanto a donare quel tipo di tensione alla storia.

Morbius: un cinecomic privo di mordente

Quando un film si affida totalmente a stereotipi e carenza di idee interessanti, solitamente non gli resta che puntare tutto sulle performance degli attori per riuscire a coinvolgere lo spettatore. Purtroppo il talentuoso cast può fare davvero poco per riscattare la sceneggiatura frettolosa e inconsistente di Morbius, che limita alla radice le interpretazioni dei personaggi. La sfortuna di Jared Leto sembra persino peggiorata dai tempi del suo controverso Joker, ed è un peccato se si guarda all’impegno che ci mette anche dal punto di vista della trasformazione fisica.

Anche Matt Smith e il suo piglio ammiccante riesce a infondere un certo carisma al suo villain, che rimane comunque piuttosto blando. Jared Harris, nei panni del dottore che segue Michael e Milo sin da bambini, impersona egregiamente la figura paterna che cerca di impersonare la voce della ragione, ma gli viene dedicato davvero troppo poco minutaggio e non si interfaccia quasi mai col protagonista principale. Adria Arjona si ritrova negli scomodi panni del perfetto prototipo di comprimaria da salvare e non ha mai occasione di dare un reale apporto al film. Destino ancora peggiore è toccato a Tyrese Gibson e Al Madrigal nei panni degli (a quanto pare unici) agenti FBI incaricati di seguire il caso della serie di vittime esangui a New York, a cui viene data una caratterizzazione a dir poco macchiettistica.

https://www.youtube.com/watch?v=Kigr_f2eg3U

Tutto quello che avrebbe potuto essere Morbius si risolve in una superficialità disarmante. L’inconsistenza e la banalità della scrittura appiattiscono tragicamente i potenziali spunti interessanti e sicuramente l’approccio registico di Espinosa non fa molto per migliorare le cose. Se si fosse avuto il coraggio di creare un primo, vero “cinecomic horror” sarebbe stato un passo quantomeno interessante nel suo genere, ma tale velleità risulta accennata a stento, col risultato di proporsi come un film che sembra crederci tanto, ma senza sforzarsi di trasmettere niente di significativo.

Ci troviamo di fronte a una produzione vittima di un modo di approcciarsi ai lungometraggi supereroistici ormai anacronistico e francamente non più sostenibile. Il massimo che si può dire di Morbius è che non arriva mai al punto di essere detestabile; se non avete sopportato la compagnoneria di Venom, in questo caso almeno non troverete spunti umoristici forzati. Questa seconda tappa dello SSU scivola pesantemente al suolo, e le due posticce scene post-credits (ormai tutt’altro che un segreto, ma che comunque non vi spoilereremo) non fanno niente per farci presagire a un futuro roseo per il progetto.