Netflix va a processo per Cuties

Netflix dovrà affrontare un processo in Texas in cui dovrà rispondere della diffusione di immagini ipersessualizzate di bambini.

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a cura di Mabelle Sasso

Si torna a parlare di Cuties, o meglio Donne ai primi passi, il controverso film distribuito da Netflix che ha innescato innumerevoli polemiche per la rappresentazione sessualizzata delle bambine. Netflix, si appresta ad affrontare il livello successivo alle semplici polemiche, con una denuncia penale per via del contenuto della pellicola.

La causa legale vedrà il colosso dello streaming dover rispondere a un gran giurì per crimine di stato (state felony della Common Law) al seguente capo d’accusa:

Aver consapevolmente promosso materiale visivo che raffigura l'esposizione oscena dei genitali o dell'area pubica di un bambino vestito o parzialmente vestito che aveva meno di 18 anni al momento della creazione del materiale visivo, che fa appello al pruriginoso interesse per il sesso e non ha alcun valore serio, letterario, artistico, politico o scientifico.

L’atto d’accusa, emesso dalla Contea di Tyler in Texas, ha nominato i I due CEO di Netflix, Reed Hastings e Ted Sarandos, ma a causa della pandemia non è stata ancora fissata una data dell’udienza preliminare.In risposta alle accuse su Cuties, Netflix ha replicato, rilasciando una dichiarazione a Reuters (leggi qui), che il film offre un commento sociale contro la sessualizzazione dei bambini. Per Netflix si tratta di un'accusa infondata e che Netflix continuerà a sostenere il film.

Cuties, in originale Mignonnes, è stato proiettato in anteprima al World Cinema Dramatic Competition del Sundance Film Festival 2020, dove ha vinto un premio per la miglior regia. In seguito a questo riconoscimento, Netflix acquistò i diritti mondiali del film distribuendolo a livello internazionale sulla piattaforma a partire dal 9 settembre 2020.

Come detto in apertura questo film ha catturato da subito l’attenzione mediatica, per via dei toni espliciti e scabrosi, a partire dalla diffusione di un poster promozionale definito da Netflix stessa inappropriato, fino a vere e proprie minacce di morte a Maïmouna Doucouré, regista del film.