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Possiamo essere tutto, recensione: sotto il velo delle donne

Raccontiamo in questa recensione la storia di tre fratelli di famiglia islamica in terra italiana, dipinta in Possiamo essere tutto, il graphic novel tutto italiano che parla di culture straniere, ma non più lontane.

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a cura di Francesca Sirtori

In sintesi

Esploriamo la storia di Possiamo essere tutto, un graphic novel per ragazzi sceneggiato da Francesca Ceci, disegnato da Alessia Puleo e realizzato in collaborazione con Amnesty International.

Possiamo essereLo dichiarano l'articolo 1 e 2 della Costituzione Italiana; lo riprende Francesca Cesarotti, direttrice dell'Ufficio Educazione e Formazione di Amnesty International, nell'introduzione di Possiamo essere tutto, un graphic novel tutto italiano che parla la lingua della multiculturalità e dell'integrazione ancora oggi difficile:

"Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e in diritti."

"Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale,di ricchezza, di nascita o di altra condizione."

Possiamo essere tutto è un racconto tutto illustrato, breve ma intenso, in arrivo sugli scaffali dal 24 settembre, realizzato direttamente dalla penna di Francesca Ceci e dalle matite di Alessia Puleo, affiancate da una collaborazione illustre e sicuramente autorevole: quella di Amnesty International, proprio come anticipavamo.

La storia potrebbe quasi sembrare comune, banale, una delle tante che siamo abituati ad ascoltare o leggere distrattamente oggigiorno su un qualche sito di informazione e attualità, oppure a vedere in serie TV à la Unhortodox o Skam Italia, che costellano sempre di più i servizi streaming quali Netflix e Amazon Prime Video. Ma che senso avrebbe riprendere così semplicemente un racconto che scende nelle profondità del quotidiano e riesce a farci assaporare il gusto di tradizioni e colori di terre lontane?

Possiamo essere tutto, o forse no

Il graphic novel ci presenta le vicende dei fratelli Hadi, Raja e Amal, figli nati dall'amore di una coppia marocchina emigrata in Italia in cerca di un futuro migliore e di un lavoro. I ragazzi, ognuno con il suo mondo e la propria vita, appartengono alla cosiddetta "seconda generazione", la categoria che raggruppa sotto il proprio nome coloro che sono nati a seguito delle migrazioni dei propri genitori. Non si tratta solo di "nuovi innesti" sociali, ma anche e soprattutto culturali, in quanto fanno sì che rimanga vivo il loro bagaglio di riti e miti, tradizioni e usanze, costumi che appartengono alla delineazione di un nuovo volto socio-culturale anche in Italia.

Nel racconto che abbiamo tra le mani, i protagonisti della storia non sono solo figli delle migrazioni, ma sono simbolo di quei giovani musulmani italiani che vivono in maniera diversa il loro rapporto con l’Islam, ognuno a modo suo. Per Raja, l’Islam è parte della sua storia familiare e della sua sfera privata, ma il suo sogno nel cassetto è fatto di libri e scaffali:

"con la mia idea di libreria indipendente e tutta al femminile partecipo a un bando per ottenere un finanziamento alla microimprenditoria per le donne. Voglio un posto tutto mio in cui proporre solo libri che vorrei davvero la gente leggesse."

Amal, dal canto suo, se ne è appropriata nel suo percorso di crescita e lo ha posizionato al centro della sua vita, scegliendo di indossare il velo. Simbolo religioso, identitario e politico, il velo rimane ancora oggi, forse meno rispetto al passato, uno di quei fortini più difficili da conquistare, dal punto di vista dell'accettazione e della piena integrazione nella società di accoglienza, ma anche per la conciliazione di questo simbolo e accessorio nient'affatto secondario nella vita di ragazze e donne musulmane nella loro nuova vita. Ma è davvero nuova?

La ragazza deve cercare di superare parecchi scogli, tra domande fastidiose ai colloqui per ottenere uno stage scuola-lavoro e spiegare al fratello Hadi il significato del termine "sottomissione":

- Amal, cosa significa "sottomissione"?

- Perché mi fai questa domanda?

- Beh, a scuola un bambino mi ha chiesto perché mia sorella e mia madre portano il velo. un altro ha risposto: 'Perché tutte le donne musulmane sono sottomesse'. Lorenzo si è messo a ridere dicendo che è perché è così che vi nascondete. Io non ho saputo cosa dire. "

E' così che l'unione di due esperienze simili, ma vissute in maniera molto diversa, cercano l'una di equilibrare l'altra: l'espansività e la voglia di vivere una vita libera da stereotipi di Raja cerca di colmare le insicurezze e le difficoltà che incontra Amal, aiutando il fratellino a crescere con le risposte di cui ha bisogno per affrontare un'esistenza resa difficile dalle osservazioni dei propri coetanei.

Vale più il silenzio che mille balloon

Ve lo anticipiamo, questo graphic novel non spicca sicuramente per stile grafico particolarmente originale o patinato; non è stato sicuramente redatto per colpire la fantasia del lettore, regalando tavole e disegni particolarmente curati, ma spesso "silenziosi" dove si lascia che sia il disegno a far trapelare le vere emozioni. La semplicità stilistica si accompagna a un linguaggio altrettanto chiaro e diretto, per spiegare al lettore in maniera quanto più esplicita e immediata la situazione contemporanea che viene vissuta ancora da tante, troppe cittadine di radici straniere, ma sempre più possidenti di cittadinanza italiana.

Le donne e le ragazze velate sono oggi i principali bersagli della crescente islamofobia, una forma di razzismo che ha come target le persone musulmane in ragione del loro credo religioso, un morbo sociale che imperversa ancora oggi dietro frasi affettate, domande pruriginose che non circumnavigano nemmeno troppo il problema e che impiantano lo stigma della difficoltà culturale nello straniero.

Per l'italiano medio, ma di comprensione e sensibilità ben sotto la media, la preghiera quotidiana, la limitazione alimentare che evita carne di maiale o il velo in occasioni di meeting di lavoro sono tutti tratti fastidiosi, che urtano sicuramente la sensibilità dell' "altro" italiano, ma la cui eliminazione di questo "problema" non prevede alcuna conseguenza sulla sensibilità dell'islamico. Che deve subire, in pura ottica retrograda di conquistadores e colonialismo, due tratti che non si sono evidentemente esauriti lo scorso millennio.

I percorsi diversi di Raja e di Amal mettono dunque in discussione molti degli stereotipi sull’islam e sulle donne musulmane, generalmente considerate come necessariamente sottomesse e descritte in termini monolitici. Le due sorelle, diverse nei caratteri e nelle scelte, sono infatti autonome e intraprendenti, in grado di esprimere la pluralità dei percorsi delle donne islamiche, e allo stesso tempo mostrano che l’Islam non è una religione estranea e straniera in Italia, anzi ne sta diventando sempre più parte integrante. Ma con gran pena.

L'Italia non s'è desta

A ben vedere, dunque, le loro storie e quelle del fratellino Hadi, così simili alle storie di tanti bambini e giovani figli di genitori migranti che da tempo vivono in Italia, raccontano la formazione di un nuovo Paese, un’Italia plurale, transculturale e sempre più multi-religiosa, ma d'altro canto ancora campanilista, con gli sguardi che sbirciano e spiano diffidenti dietro le porte e le persiane, stando sui balconi con superiorità, guardando appunto "dall'alto".

Una situazione che è anche il frutto di una visione legislativa superata dalla realtà e dalle trasformazioni sociali: la legge italiana sulla cittadinanza basata sullo ius sanguinis, che nessun governo è stato disposto a modificare, privando così molti bambini e ragazzi del diritto a essere formalmente italiani, seppur nati o cresciuti in questo Paese.

Una situazione di disparità formale che nega loro possibilità e opportunità, e che nemmeno l'ufficiale cittadinanza italiana basta per essere considerati italiani: rimangono i tratti più evidenti con la pelle e i vestiti tradizionali, e quelli più radicati e genetici con il cognome.

Possiamo Essere Tutto è sicuramente accessibile a chiunque, per la suddetta semplicità e immediatezza di linguaggio e di stile grafico e fumettistico, ma è altrettanto consigliato a un ampio pubblico per rendersi conto di quanto accade nelle vite degli altri, che così "stranieri" alla nostra quotidianità non sono più.

Forse il mondo non è pronto, vero anche questo. ma tu devi continuare a combattere e anche se non vincerai, sarà sempre lui ad aver perso.

Voto Recensione di Possiamo essere tutto



Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - storia dal linguaggio semplice

  • - breve e concisa, ma intensa

  • - intere tavole prive di balloons dalla maggiore intensità emotiva

Contro

  • - una storia forse troppo breve, con il rischio di scadere nella banalità

  • - non vi sono particolari tratti linguistici o grafici che la rendano originale e memorabile

Commento

Possiamo essere tutto è un racconto di immediata comprensione, in grado di mettere a nudo e sotto la lente di ingrandimento le problematiche inerenti l'integrazione vera e propria tra culture e società in un Paese come l'Italia, dimostrando che "lo straniero" vive una vita non solo simile a quella di chiunque altro, ma portando sulle proprie spalle anche il macigno di uno stigma quasi impossibile da togliersi.

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