Rurounoi Kenshin, recensione dei live action disponibili su Netflix

Netflix ha pubblicato i quattro film live-action di Rurounoi Kenshin, adattamenti pluripremiati dell'omonimo manga di Nobuhiro Watsuki.

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a cura di Alessandro Palladino

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Per noi occidentali ogni volta che viene nominato il termine “Live Action” per un progetto cinematografico legato a un famoso manga incute sempre un po' timore. Tutti noi ricordiamo, probabilmente con poco affetto, progetti come Dragon Ball Evolution o il recente Death Note di Netflix, se poi passiamo ai videogiochi difficilmente troveremo dei materiali degni di nota. In questo marasma di scarso successo, occasionalmente avvengono dei miracoli: progetti fedeli, capaci di capire l’anima del materiale originale e trasformarlo in un prodotto amato sia dai fan del cartaceo, sia da chi non lo ha mai neanche sentito nominare.

Questo è il caso della famosa serie di film omonimi del manga Rurounoi Kenshin, da noi conosciuto come “Kenshin – Il Samurai Vagabondo”, di Nobuhiro Watsuki; un cult dello scenario fumettistico orientale e uno dei successi incontrastati di Shueisha e del leggendario magazine Shonen Jump. Con milioni e milioni di copie in tutto il mondo, e ancora in pubblicazione con un nuovo arco narrativo sequel della storia originale, il Samurai Vagabondo ha un peso notevole sulle spalle quando si tratta di trasformarlo in un live-action. Per fortuna però, le sapienti mani del regista Keishi Otomo sono riuscite a dar vita a una leggendaria serie di film che non solo rappresentano un alto standard nei live action, ma sono diventati anche alcune delle pellicole più di successo nella storia del box office giapponese. E in occasione dell’uscite delle ultime due parti della saga cinematografica, Netflix ha pubblicato l’intera serie (o quasi) sulla sua piattaforma.

Rurounoi Kenshin, la storia di un samurai in una nuova epoca

Ad oggi troverete quindi ben quattro film, che da qui in avanti chiameremo nella loro collettività solo Rurounoi Kenshin per semplificare. I titoli esatti sono, e in ordine di sequenza cronologica: Rurounoi Kenshin, Rurounoi Kenshin 2: Kyoto Inferno, Rurounoi Kenshin 3: The Legend Ends e Rurounoi Kenshin: The Final. Il secondo e il terzo film sono un unico arco narrativo diviso in due parti, mentre l’ultimo è un adattamento dell’ultima saga del manga ma con una storia che diverge dal materiale originale in alcuni punti. Insieme a Rurounoi Kenshin: The Final è in realtà uscito anche Rurounoi Kenshin: The Beginning, un prequel di tutte le altre pellicole che racconta la storia di Kenshin quando era ancora Battosai l’assassino. Al momento, quest’ultimo film non è ancora disponibile su Netflix, ma le sue vicende chiave sono comunque spiegate nel corso degli eventi, in particolare durante la prima pellicola. Ciò vuol dire che, se doveste cimentarvi nell’impresa di vedere tutto ciò che Netflix ha messo a disposizione per Rurounoi Kenshin, ne uscirete con una storia più che completa.

Per quanto ognuno dei film, eccetto il secondo e il terzo, abbiano vicende non obbligatoriamente legate tra loro, la visione è comunque consigliata a coloro che hanno intenzione di vederli tutti nell’ordine preciso della loro uscita, poiché i tanti elementi in comune tra tutte le produzioni fanno sì che questa sia come un’unica grande pellicola da più di 8 ore. Partendo dal primo Rurounoi Kenshin, è infatti possibile individuare tutti gli elementi che compongono il cuore della trasposizione cinematografica del manga di Watsuki: una regia fortemente rispettosa della grande tradizione del cinema orientale legato alla storia e ai samurai, un impegno a mischiare al meglio gli elementi fantastici senza snaturare troppo il realismo di fondo e tanta, tantissima attenzione a far sì che gli attori siano il più possibile fedeli alla caratterizzazione dei personaggi originali.

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Quest’ultimo punto in particolare è la punta di diamante di tutto Rurounoi Kenshin, specie se si guarda alla performance di Kenshin stesso da parte di Takeru Sato: figura storica della TV giapponese, veterano dei tokusatsu (letteralmente “effetti speciali” e inteso come genere che riguarda serie tv giapponesi dallo stampo fantastico come Godzilla o i Power Ranger) e chiamato in diversi progetti live action per manga famosi come Bakuman e BECK. La sua abilità nella coreografia e nelle scene d’azione è evidente in tutte e quattro le pellicole, riuscendo a dare la spettacolarizzazione corretta per un qualsiasi shonen. Più di tutto però, è la drammaticità che dona a Kenshin Himura a essere degna di lode, rendendo giustizia alla dualità tra vagabondo apparentemente innocente e assassino che ha deciso di cambiare vita.

Il moto del cambiamento

L’intero manga di Rurounoi Kenshin si basa per lo più sul conflitto interiore di Kenshin, il quale ha due aspetti che si riflettono a vicenda. Il primo riguarda il cambiamento storico del Giappone, con la caduta dello shogunato, la fine dei samurai e l’avvento dell’industrializzazione. Kenshin è stato un formidabile assassino, conosciuto come Battosai Himura, al soldo di chi ha voluto far nascere la nuova era, salvo poi ritirarsi una volta raggiunto il suo scopo e aver vissuto alcuni eventi traumatici. Proprio perché i tempi sono cambiati e la pace è tornata in Giappone, Kenshin è diventato un vagabondo e ha lasciato che la sua vecchia vita rimanesse nel passato.

Lo scotto della rapida sferzata geopolitica del sol levante è una colonna tematica per tutte le pellicole, dove buoni e cattivi hanno tutti alcuni motivi per essere più o meno feriti da quello che è stato il cambiamento. In particolar modo, è il cambiamento dei valori dopo il ferreo onore dei samurai a far sì che non ci sia più una strada da seguire, lasciando che sia il moto del tempo e i suoi protagonisti a decidere come si evolverà il paese da lì in avanti. Tale percorso viene esplorato in tutti i film di Rurounoi Kenshin, arrivando a risolversi proprio grazie alle decisioni dello spadaccino e dei suoi alleati.

Allo stesso tempo, è emblematico il voto personale di Kenshin, il quale ha deciso di non voler mai più uccidere e di portare una spada invertita per evitare di farlo. Avendo la parte tagliente non sulla lama ma sulla parte piatta, la katana di Kenshin può solo ferire ma mai privare della vita. Naturalmente parte della ragione è che fin dal primo film viene detto che portare una katana tagliente è illegale per via del nuovo governo, ma è un dettaglio che viene presto scordato fin dalla seconda pellicola dove quasi chiunque ha una o più spade al seguito. Però, essendosi autoimposto questo dictat, Kenshin è in una costante posizione di svantaggio che serve proprio a dimostrare come non sia la ferocia a fare il samurai, piuttosto è la sua voglia di “preservare la vita” a essere un fattore determinante anche in un mondo intento a scordarsi di lui.

Vendetta contro Redenzione

Come intuibile, e come spesso accade nei film d’autore giapponesi, non è uno scontro tra forze, bensì tra le diverse filosofie che le persone stringono quando tutto intorno a loro si rovescia all’opposto di quello che conoscevano. Il primo Rurounoi Kenshin serve allo spettatore per capire quale sia il pensiero di Kenshin e cosa sia disposto a fare per proteggere coloro che vivono insieme a lui, riflettendo su quanto la sua natura di assassino possa essere convertita in un moto volto a preservare le vite altrui con uno scopo nobile, invece che al soldo dei suoi signori.

Tuttavia è solo nel secondo e nel terzo film che c’è l’apice massimo dell’espressione di Rurounoi Kenshin, grazie alla contrapposizione con il terribile Shishio: un altro assassino che ha preso il ruolo di Battosai dopo il suo abbandono, godendo dei massacri che eseguiva con violenza fino a quando il governo non ha deciso di insabbiare gli atti che aveva compiuto pugnalandolo alle spalle e bruciando il suo corpo nel tentativo di farlo sparire.

Purtroppo per la nazione, Shishio è riuscito a sopravvivere e mossa da un’ira incontrollabile come un incendio ha dato il via a un’operazione di conquista del paese. Lo scontro tra i due è in realtà la metafora dei due modi diversi di vedere il futuro, tra denuncia contro il progresso a ogni costo e un avvenire costruito sui valori giusti del passato. Anche qui, la performance di Shishio era essenziale per la riuscita del film e per fortuna a vestirne i panni, o meglio le bende, c’è Tatsuya Fujiwara: attore molto famoso sia nel teatro che nel cinema, passato alla storia per diversi adattamenti di anime e manga con la punta di diamante rappresentata nel ruolo di Shuya Nanahara in Battle Royale.

Con il favore di un manga che si presta molto alla ricostruzione storica, anche perché tutto sommato alcuni dei personaggi utilizzati sono esistiti veramente, i film di Rurounoi Kenshin ricadono perfettamente nell’eccellenza orientale delle opere storiche, come del resto accade per altri paesi come la Corea del Sud e la Cina. Per il Giappone la tradizione feudale e il passaggio alle epoche successive è un ricco pozzo di ispirazioni e incroci culturali, tant’è che Rurounoi Kenshin sfrutta gli elementi occidentali delle armi automatiche e dell’architettura per creare quel contrasto eccezionale tra i costumi dei nostri samurai (quindi molto tradizionali), il dojo in cui vivono e il resto del mondo ormai più vicino a un’industria che alla campagna giapponese fatta di bambù e fiumi. Un punto di lode va perciò al lavoro dei costumisti, i quali non solo hanno tenuto fede al character design del manga ma hanno cercato di rendere ogni elemento fantastico più plausibile e vicino a quella che allo spettatore può sembrare una realtà coerente.

Il pregio della lama invertita

C’è però un “ma” da inserire in questa spinta storica: Rurounoi Kenshin è pur sempre nato come un fumetto shonen e perciò ogni scontro contiene la sua dose di mosse speciali e coreografie al limite della fisica. La genialità dei film di Otomo, regista che ha comunque lavorato con il fantastico ma con un folto curriculum di lavori più ancorati allo scenario reale, è quello di aver bilanciato bene le dosi tra cose impossibili e scontri di lama tipici dei samurai di un tempo.

Parte della ragione per cui non noterete molto l’animo shonen di Rurounoi Kenshin, almeno nei momenti in cui non è il protagonista della scena, è anche la grande attenzione agli ambienti delle vicende e al modo in cui si esaltano i luoghi oggetto del cambiamento urbano, dove gli ambienti chiusi sono l’asticella più evidente della modernità occidentale mentre all’aperto troverete templi in abbondanza e piccole botteghe di legno lungo piccole strade sterrate. In Rurounoi Kenshin: The Final, in particolar modo, avrete modo di osservare ancora di più questa chicca, e potreste notarla ancora di più se siete abbastanza freschi della visione del primissimo film, il quale ha un tono e un’ambientazione storica poco distante ma tremendamente significativa in termini di scenografia.

Può sembrare strano, per un film d’azione, dire che tutti questi piccoli elementi accuratamente espressi al loro massimo potenziale sono in realtà il vero punto forte di tutta l’operazione filmica di Rurounoi Kenshin. Gli scontri sono certamente belli, così come c’è tanta drammaticità nella performance stellare degli attori, ma è nel rispetto dei dettagli e del contesto in cui sono ambientati gli archi narrativi del manga che il lavoro di Otomo (e di tutta la macchina produttiva) assume una valenza speciale in cui è evidente l’amore per la storicità quanto per il manga di Nobuhiro Watsuki, forse più per le sue tematiche di fondo che per l’azione spettacolare da mettere sotto i riflettori. Potendo chiudere un occhio su quelle scene esagerate tipiche del genere di riferimento, Rurounoi Kenshin è a tutti gli effetti una delle migliori serie di film per chiunque sia alla ricerca di un film sui samurai realmente atipico, dove ciò che più importa è la filosofia della spada e i legami che si bilanciano sul filo di un rasoio senza lama.