The I-Land, la recensione della nuova serie Netflix

Arriva The I-Land, una nuova nuova miniserie fantascientifica targata Netflix. Degli sconosciuti si risvegliano su un’isola misteriosa, senza memoria di chi siano.. la trama vale la visione?

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a cura di Manuel Enrico

Nel palinsesto delle serie TV Netflix, la scorsa settimana è arrivata una nuova miniserie fantascientifica, The I-Land. Produzione originale Netflix, la nuova proposta è stata accompagnata da quel moderato scetticismo che anticipa solitamente questa tipologia di offerta. Il colosso dello streaming è da sempre piagata da una incostanza nella qualità delle proprie offerte, passando da ottimi prodotti come Altered Carbon a delusioni cocenti come Another Life. Questo andamento altalenante costringe gli spettatori ad una continua scommessa con Big N, cercando di non farsi entusiasmare troppo da suadenti trailer che vengono puntualmente disattesi. Il trucco, quindi, è avvicinarsi ad ogni nuova aggiunta del catalogo Netflix, senza pretese e con la frenesia dello scommettitore, giocandosi qualche ora della propria vita sperando di portare a casa una vittoria fatta di divertimento

Sarà riuscito The I-Land a tramutarsi in scommessa vincente?

Questa recensione è divisa in una parte "senza spoiler" ed una con alcune rivelazioni sulla trama.. se non volete anticipazioni fermatevi prima di leggere il capitolo segnalato come "spoiler"

I misteri di The I-Land

Degli sconosciuti si risvegliano su un’isola misteriosa, senza memoria di chi siano. Vestiti tutti in modo uguale, lentamente compongono un gruppetto di umana varietà in cui emergono tratti caratteriali che danno il via a dinamiche interpersonali che animano questa lotta per la sopravvivenza.

Lo scopo dei sopravvissuti diventa la sopravvivenza, tra chi ad ogni costo vuole capire quale sia la propria storia dimenticata e chi invece intende prendere questa occasione come una nuova vita, adattandosi alle contingenze del momento. Chase (Natalie Martinez) è la donna forte del gruppo, decisa a capire cosa stia accadendo, scontrandosi anche con chi non sembra interessato a dare risposta ai tanti interrogativi.

 

Nei sette episodi da circa quaranta minuti l’uno, questi interrogativi iniziano a trovare presto delle risposte, inizialmente giocando con lo spettatore proiettandolo in una determinata ottica, salvo poi, in modo piuttosto prevedibile, portarlo di fronte ad una verità già ampiamente preannunciata dal trailer visibile in homepage di Netflix.

La verità è una finzione

The I-Land, nelle sue battute iniziali, sembra peccare di originalità, rifacendosi ad una situazione di partenza che non riesce a liberarsi dallo scomodo paragone con Lost, la serie cult di Abrahams. A ben vedere, l’archetipo dell’isola selvaggia come banco di prova della vera natura umana ha avuto anche altre forme cinematografiche, da The Island a Fuga da Absolom.

Il concetto stesso che degli uomini abbandonati su un’isola sperduta debbano sopravvivere porta a questioni anche più complesse, come l’interazione in situazioni disperate e l’emergere della vera natura dell’individuo, quando messo di fronte alla lotta per la sopravvivenza.

Spoiler Attenzione - se non volete anticipazioni fermatevi qui

Gli spunti narrativi iniziali di The I-Land sono decisamente interessanti. L’idea di mostrare, ben prima di metà serie, la verità sull’isola, un’immensa simulazione in realtà virtuale, utilizzata come carcere ‘mentale’ per assassini e criminali di varia natura è intrigante. Quanto può aver impattato la società sulla scelta di un uomo? Era destinato ad esser un criminale per natura, o, come direbbe Alan Moore, è bastata una giornata storta?

Portare questi individui in una situazione di tabula rasa mentale e sociale è l’occasione per valutare quanto l’indole sia parte delle scelte sbagliate e quanto sia colpa del mondo e delle sue pressioni. I protagonisti di The I-Land hanno l’occasione di compiere un percorso riabilitativo sui generis, sotto stimoli calcolati (a volte anche crudeli) per mostrare come in realtà la loro anima non sia del tutto perduta. Gioco che si estende allo spettatore, che pian piano scopre il passato tragico dei personaggi, ne scopre i delitti e le propensioni oscure, iniziando a simpatizzare con i protagonisti.

La redenzione, tematica già presente in Lost, in The I-Land non è solo un concetto metafisico, ma viene intrecciato con il contorno umano dei protagonisti, dentro e fuori la simulazione. Contrariamente al serial di Abrahams, The I-Land rende la ricerca di una seconda occasione una sorte di merce di scambio, la priva del suo carattere interiore e si avvicina ad una connotazione più cinica. Non è un caso se i criminali meno deprecabili  o più comprensibili siano quelli che maggiormente faticano ad adattarsi a questa realtà, mentre i più feroci sono quelli che si sentono quasi subito a proprio agio.

In quest’ottica, viene meno il concetto del personaggio positivo. In The I-land manca l’eroe, sono tutti colpevoli, in diversa misura, ed anche la protagonista, ad un esame più attento, non ha difficoltà a mostrare un carattere piuttosto violento.

La potenzialità di The I-Land è racchiusa nel voler analizzare un concetto da sempre controverso come la riabilitazione del criminale, presentando diversi punti di vista e immaginando le possibilità offerte dalla tecnologica. L’imprinting della miniserie sembra quello di un lungo episodio di Black Mirror, ma ben presto si delinea una propria natura che discosta la proposta di Netflix da altre offerte.

Nonostante delle premesse tutt’altro che banali, The I-Land, però, non riesce ad essere un prodotto totalmente riuscito. Anche, come dicevo all’inizio, avvicinandosi senza eccessive pretese, è difficile non notare delle crepe nel tessuto narrativo che rendono The I-Land una proposta Netflix che non riesce ad andare oltre ad una ristretta sufficienza.

A favore di The I-Land c’è una gestione dei colpi di scena e del ritmo narrativo ben strutturati, che hanno il merito di spingere lo spettatore a calarsi in un binge watching forsennato, grazie ad una rivelazione dei diversi elementi narrativi personali dei protagonisti ben scandita, mai forzata ma sempre utilizzata al momento giusto.

Ma per essere una serie perfetta si deve esser privi di difetti, e The I-Land, suo malgrado, manca questo obiettivo. Sfruttando la presenza del virtuale come un deus ex machina, alcune delle situazioni più assurde e forzate vengono salvate grazie alla dicotomia reale-irreale, inserendo il contesto del percorso interiore fatto di passi e prove. Se come idea di base può anche esser interessante, l’abuso e la forzatura in funzione di una storia che mostra qualche debolezza diventa il punto debole dell’intreccio della miniserie.

In diverse occasioni emergono delle scelte irrazionali dei personaggi, o si creano situazioni totalmente fuori contesto solamente per creare uno sviluppo della trama funzionale al resto degli episodi. Una scelta che si sarebbe potuta evitare ottimizzando meglio gli episodi, magari riducendo il gruppetto di sopravvissuti, dando così maggior tempo alla caratterizzazione delle anime in gioco ed evitando di lasciare allo spettatore la sensazione di avere conosciuto dei volti che avrebbero potuto offrire di più, ma che sono stati usati come semplici meccanismi in favore della storia.

Questo aspetto, unito a dei dialoghi fragili e troppo stereotipati (anche in originale), ha lasciato emergere i protagonisti come delle caricature di un ‘umanità che non esiste. Nella fantascienza, lo spettatore o il lettore sanno che dovranno concedere ai narratori una certa libertà, andando ad ampliare la propria sospensione dell’incredulità. Con The I-Land, nonostante alcune trovate ben orchestrate, questa sospensione viene spinta troppo oltre, rischiando di rompere quel fragile equilibrio che avvince lo spettatore.

Conclusioni

A salvare The I-Land è, in parte, la presenza di prodotti di qualità nettamente inferiore nel catalogo di Netflix. Anche evidenziando i difetti di The I-Land, la miniserie rimane comunque una visione interessante e tutto sommato avvincente, capace di offrire un intrattenimento onesto, con la consapevolezza di non potere ambire ad essere una serie che sarà ricordata nel tempo come un cult. Da premiare, il coraggio di avere voluto mostrare anche certe situazioni personali dei criminali molto borderline, crude all’occorrenza, ma cercando di renderle le storie delle origini di questo scampolo di umanità.