The Patient, recensione: la claustrofobica ricerca del sè

The Patient: due anime in trappole per una storia magnetica con Steve Carell e Domhnall Gleeson su Disney Plus.

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a cura di Manuel Enrico

Reduci da una stagione televisiva in cui a dominare la scena sono state serie in cui i personaggi si muovono in ambienti apparentemente sconfinati, ritrovarsi segregati in un angusto seminterrato può sorprendere. Spesso dimentichiamo come lo scenario in cui si muovono i protagonisti di una storia sia esso stesso un elemento imprescindibile, affilato strumento narrativo con cui gli spettatori vengono guidati dagli sceneggiatori all’interno di trame in cui a essere centrali sono piccoli dettagli, come un dialogo particolarmente ispirato o una recitazione precisa al millimetro da parte di ispirati interpreti. The Patient, la nuova serie in arrivo su Disney+, è figlia di questa concezione, un racconto psicologico dai toni claustrofobici in cui due uomini spezzati sono al contempo narratori e vittime dei propri drammi, che non necessitano ariosi scenari in cui muoversi, poiché affondano le radici nell’anima tormentata di due figure coinvolte in un graffiante duetto dove rimpianti e disperazione vedono in quattro, soffocanti pareti il perfetto ambiente per deflagrare.

La forza di The Patient è concentrata proprio in questa apparente semplicità stilistica, ingannevole segnale di come, in realtà, questa spartana concretezza sia frutto di un ragionato approccio narrativo. I temi alla base della serie di Disney+ e la contestualizzazione emotiva richiedevano infatti un focus estremamente mirato, finalizzato alla lenta ma coinvolgente ritrattistica di due personalità divergenti, ma accumunate da ferite dell’anima che condizionano la loro esistenza. The Patient, per questa sua natura, non risulta facilmente inquadrabile, andando oltre la definizione di semplice thriller, che mal si addice a una serie che partendo da un elemento vicino a quelle atmosfere (un serial killer), rielabora la storia affrontandola da una diversa prospettiva.

The Patient: due anime in trappole per una storia magnetica

Laddove solitamente la presenza di un serial killer si manifesta anche visivamente ritraendo l’assassino in azione, The Patient rinuncia con arguzia a questa componente epidermica della consueta trattazione del genere per concentrarsi sul piano psicologico, evitando la meccanica del ritualismo del serial killer e le conseguente ricchezza di situazioni e location, preferendo puntare su un contesto più contenuto e intimo, rispecchiando le tensioni emotive dei due protagonisti. Può stupire che in un periodo in cui la serialità ci seduce con set sconfinati e iper-dettagliati come abbiamo ammirato in House of the Dragon o in 1899, The Patient ricordi quasi una piece teatrale minimalista, capace di racchiudere in un microcosmo fisico una ricchezza emotiva che, grazie a questa imposta claustrofobica compattezza, viene ulteriormente esaltata. Non stupisce che la mente dietro questo intenso thriller psicologico ci sia la mano di Joe Weisberg, che con The Americans aveva già mostrato di sapere una felice sintesi tra interiorità dei personaggi e mondo circostante, capacità che proprio con The Patient, creato con Joe Fields, assurge al ruolo di manuale di scrittura.

Alan Strauss (Steve Carell) è un terapista che, dopo una perdita straziante, sembra faticare nel dare supporto ai propri pazienti. Il suo momento di crisi coincide con l’arrivo di Gene (Domhnall Gleeson), giovane problematico che si rivela un paziente estremamente complesso per Alan, apparentemente incapace di far aprire Gene e arrivare al cuore dei problemi che avvelenano l’anima del ragazzo. A cambiare radicalmente la prospettiva di Alan è il risvegliarsi una mattina in un seminterrato, incatenato a un letto, scoprendo di esservi stato portato proprio da Gene, che dopo aver rivelato di chiamarsi in realtà Sam, scoperchia una verità che sgomenta Alan: è un serial killer. Alan non si rivela essere la nuova vittima di scia di morti, bensì un tentativo estremo di Sam di fermare questo suo lato, costringendo Alan a lottare tra la volontà di sopravvivenza e la vocazione a salvare la psiche, e forse l’anima, di Sam.

Il confine imposto allo spazio recitativo dei protagonisti di The Patient non tarda a rivelarsi come uno degli spunti più intriganti della serie. Abituati alla sicurezza promessa dall’ambiente terapeutico in cui gli analisti accolgono i loro pazienti, con The Patient assistiamo a un radicale cambio di percezione, nel momento in cui il terapista viene messo in una posizione di non sicurezza, garantita invece al paziente. Con il suo gesto, Sam crea una nuova condizione terapeutica, in cui Alan si ritrova a essere la parte ‘debole’. Lontano dal suo studio, il dottor Strauss smette di esser sicuro del proprio ruolo, un elemento di rottura che consente allo stesso Alan di avviare un processo interiore di analisi della propria vita che potrebbe rivelarsi la chiave per aiutare Sam.

Il concept della serie non deve ingannare: non ci sono scene cruente di uccisioni. Pur trattando il tema dell’omicidio, The Patient non scende nella visualizzazione della violenza, trattandola come una conseguenza quasi marginale di una situazione psicologica ed emotiva. Le poche scene in cui assistiamo a sfoghi di violenza sono quasi sempre riconducibili a una frustrazione liberatoria da parte di Alan, sia essa immaginaria o di disperata ricerca di una via di fuga, contribuendo a mantenere il tutto su un livello fortemente cerebrale.

Con intelligenza, Wiesberg non punta a una spettacolarizzazione del serial killer, ma lo spoglia della sua tradizionale connotazione sanguinaria, puntando a creare un ritratto emotivo e psicologico di un uomo che concepisce il male che infligge, ma cerca al contempo di liberarsene, convinto che solo affrontando un percorso terapeutico possa porre fine alla sua pulsione. Allo stesso modo, Alan si ritrova ad affrontare una situazione di forte stress in concomitanza con un momento particolarmente gravoso sul piano personale. La recente perdita della moglie e la frattura creatasi con il figlio Ezra, motivata da scelte di carattere religioso, vengono utilizzati come leve emotive su cui muovere l’intera vicenda, tramite un attento utilizzo dei flashback con cui rivelare allo spettatore le ferite emotive di Alan.

Sia Alan che Sam sono prigionieri di un’emotività ferita e acida, che hanno gestito in modo diverso, ma che per entrambi rappresenta una presenza limitante. Se da un lato Sam mostra di essere schiavo non solo della sua pulsione omicida ma anche da una serie di condizionamenti emotivi che hanno condotto alla creazione di una personalità incapace di trovare un proprio equilibrio, per quanto disperatamente cercato, dall’altro Alan si ritrova a doversi dividere tra l’approccio professionale, quindi pacato e aperto nei confronti di Sam, a quello di vittima in cerca di una via di fuga, condizione straniante che viene ottimamente gestita all’interno dei dieci episodi. Questa complessità trova nella contenuta costruzione visiva della serie una caratterizzazione impeccabile, misurata tanto nei dialoghi quanto nei movimenti di camera, in cui si enfatizza con acutezza la traversia emotiva di entrambi i personaggi, grazie alla sontuosa interpretazione di due attori in stato di grazia.

Due ottimi interpreti per un thriller psicologico di alta caratura

Steve Carrell è oramai pienamente a suo agio con ruoli che lo spingono a trovare radici emotivi forti nei suoi personaggi. Per un attore inizialmente associato alla comicità, dopo l’esperienza transitoria con la versione americana di The Office, in cui la comicità lasciava spazio a una spiazzante ritrattistica umana, Carrell ha intrapreso un percorso attoriale che lo ha portato a confrontarsi con sfumature di umanità affascinanti e urticanti. Basterebbe citare il suo Mitch Kessler in The Morning Show, ma con Alan Strauss Carrell aggiunge un volto al suo carniere di ruoli particolarmente riuscito, un uomo travagliato che viene interpretato con una pacatezza, verbale e fisica, che nasconde un’intensa sofferenza, manifestata con piccoli segnali che rendono la sua interpretazione in The Patient encomiabile.

La disturbante personalità di Sam viene resa magnificamente da Domnhall Gleeson, messo duramente alla prova da un ruolo in cui non esiste un solo attimo di pace. Sam vive costantemente sul filo del rasoio, non solamente per via della sua pulsione, ma per l’incapacità di accettare sé stesso e di comprendersi, un odio viscerale che trova sfogo in una serie di minuscoli indizi gestuali, creando una straziante percezione nello spettatore della disperazione con cui il giovane vede in Alan una via di uscita da un’esistenza odiata.

In The Patient non viene sprecata nemmeno un’inquadratura, ogni scena partecipa alla vicenda con una forza impagabile, che si tratti di fomentare una speranza disperata in Alan o nel prendersi il giusto tempo per evidenziare i traumi di Sam. Una natura stilistica che si fonda su una scrittura ragionata e ponderata, coraggiosa nel prendersi tempi dilatati all’occorrenza pur di preservare la natura della trama, non forzando l’evolversi degli eventi ma lasciando che si sviluppino in base alla condizione emotiva dei personaggi. Decisione che grazie alle magnifiche interpretazioni di Gleeson e Carrell trasforma The Patient in un thriller umano, spiazzante in alcuni passaggi, ma mai banale, con un’attenta gestione della transizione tra episodi che ricorda come il cliffhanger non sia una trappola per gli spettatori, ma una predisposizione narrativa che punta a mantenere sempre la giusta tensione emotiva.

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