The Serpent, la recensione della miniserie Netflix su Charles Sobhraj

Netflix prosegue la strada del crimine con la miniserie in otto episodi The Serpent che racconta la storia di Charles Sobhraj. Ecco la nostra recensione.

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a cura di Giovanni Arestia

Netflix prosegue la strada del crimine, intrapresa con altre serie come Narcos, El Chapo e simili, con la miniserie di otto episodi The Serpent la quale racconta la storia poco conosciuta di un serial killer degli anni '70 autori di numerosi omicidi di uomini e donne lungo ciò che alcuni chiamavano The Hippie Trail, nel sud-est asiatico. Il suo nome è Charles Sobhraj (attualmente è incarcerato in Nepal) e divenne famoso per le sue azioni caratterizzate da una pressoché illimitata crudeltà, ma che seguivano sempre una certa logica. Questi fattori sembrerebbero essere una chiave di volta per un genere che cerca nelle storie del passato i modi di comprendere i nostri tempi e noi stessi. Vediamo insieme come si mostra la nuova miniserie creata da Mammoth Screen con questa recensione, priva di spoiler.

The Serpent: la caccia del gatto e il topo nella vita reale

Charles Sobhraj (Tahar Rahim) era un vero sociopatico, tuttavia spiccava poiché questa sociopatia era davvero unica portandolo a non uccidere per diletto o per provare il brivido dell'omicidio, bensì unicamente per mantenere costante il suo stile di vita, cancellando le vite di coloro i quali riteneva essere al di sotto di lui. Con l'assistenza della sua ragazza Marie-Andrée Leclerc (Jenna Coleman) e del suo alleato Ajay Chowdhury (Amesh Edireweera), Sobhraj ha guadagnato la fiducia di persone di cui difficilmente il mondo avrebbe notato la mancanza: viaggiatori nel sud-est asiatico che potevano anche scomparire senza alcun preavviso. Li avrebbe spinti a credere di essere un alleato prima di rubare i loro averi e le loro identità, usando i passaporti in possesso dei viaggiatori per muoversi da un posto all'altro dell'Asia e perseguire i suoi piani commerciali ed economici. Sobhraj alla fine è stato condannato nel 2003 per aver ucciso una dozzina di persone, ma probabilmente ne erano morte molte di più.

Se Sobhraj è il topo, l'olandese Herman Knippenberg (Billy Howle) è il gatto che in The Serpent diviene la forza trainante principale necessaria per catturare il serial killer (con l'aiuto di sua moglie Angela, interpretata da Ellie Bamber, e Tim McInnerny nei panni di un uomo di nome Paul Siemons). Knippenberg era un diplomatico olandese coinvolto nelle indagini sulla scomparsa di due dei suoi connazionali, Henk Bintanja e Cornelia Hemker. I primi episodi di The Serpent definiscono il tono dell'intera stagione: da una parte abbiamo un criminale calcolatore e dall'altra parte il suo inseguitore in cerca di giustizia che è costretto a scalare montagne di burocrazia e diplomazia internazionale solo per fermarlo.

Un thriller che non è un thriller

Tuttavia, al contrario di ciò che potrebbe sembrare, non siamo dinnanzi a un giallo o a un thriller. La storia ha davvero poco mistero e si incentra soprattutto sulla comprensione psicologica del personaggio di Sobhraj che riesce a trascorrere molto tempo con l'amata Leclerc la quale, a sua volta, alterna momenti in cui teme la vena omicida del suo partner ad attimi in cui è talmente presa da lui che gli consente di mettere in mostra tutta la sua cattiveria anche in sua presenza. Tolto questo aspetto, allora cosa resta? Non molto purtroppo.

Uno dei problemi più evidenti è la struttura narrativa esasperante che non solo salta tra Knippenberg e Sobhraj con inaspettata incoerenza, ma rimbalza nel tempo in maniera così repentina da rendere complesso trovare un elemento drammatico o misterioso negli episodi. Il regista, Tom Shankland, e lo sceneggiatore, Richard Warlow, ci provano a dare slancio alla trama, ma questa si sposta all'interno di un arco temporale indefinito cercando di offrire quanti più retroscena possibili o per ricreare gli ultimi giorni di una delle sue vittime spezzando la storia generale e confondendo ancora più la visione. Ci sono stati momenti in cui abbiamo dovuto mettere in pausa alcuni episodi per cercare dei dettagli in più sulla follia omicida di Sobhraj, e non è quasi mai un buon segno quando bisogna informarsi esternamente per capire cosa uno spettacolo semplicemente non riesce a dare a livello pratico.

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Osserviamo sempre più spesso una tendenza moderna da parte degli scrittori televisivi nel costruire una trama che abbia una sorta di giocosità cronologica, come se ciò rendesse progetti del calibro di The Serpent più interessanti e coinvolgenti. Purtroppo in questo caso nulla drena la tensione più della mancanza di pura coesione narrativa. Questo porta a un altro problema prettamente di caratterizzazione dei personaggi perché la serie non riesce a far comprendere allo spettatore se Sobhraj fosse più un genio o un opportunista, senza mai mostrare il carisma che quest'uomo deve aver avuto per farsi strada attraverso la complicata vita.

Ambientazioni stupende, ma personaggi poco definiti

Verso la fine della stagione, osserviamo un breve stralcio della vita passata di Sobhraj in Francia e questo è necessario per spiegare un po' meglio i motivi che hanno portato il protagonista a iniziare la sua turbolenta e pericolosa vita. In questo caso è particolarmente frustrante che a Rahim sia stato finalmente permesso di mettere in mostra tutto il suo talento solo negli ultimi due episodi. La performance del protagonista, infatti, è sempre estremamente controllata e impassibile tanto da sembrare quasi robotica. Non si sente mai il potere comunicativo di Sobhraj, il suo fascino invincibile o il suo sesto senso per evitare la cattura. Quindi non si riesce a capire davvero cosa veda in lui Marie-Andrée, conosciuta come Monique, interpretata da una buona Jenna Coleman, o per quale motivo accetti di sottomettersi ai suoi piani velenosi.

Anche lo stesso Billy Howle, che spesso viene messo al centro della scena con lo scopo di non glorificare un assassino narcisista, fallisce nel rivelare il carisma e l'acume psicologico che ha impiegato il personaggio di Knippenberg per unire i tasselli delle numerose vittime ingenue e idealiste, speranzose di aver trovare un sano e affidabile lavoro in una zona della Terra alquanto pericolosa e povera. Le continue interruzioni narrative non hanno certamente aiutato poiché alla fine osserviamo solo una progressione orizzontale del personaggio senza alcun particolare guizzo caratterizzante.

Le scene di vita hippie spensierata e sballata a Kanit House, il condominio di Bangkok dove vivono Charles e Marie-Andrée in cui oziano, nuotano e festeggiano senza fine con una colonna sonora lunatica di Serge Gainsbourg formano un bel contrasto visivo con Knippenberg e la moglie Angela, un'abile linguista, e le loro indagini mirate e oculate. Anche le scene di viaggio via terra sono suggestive grazie alla rievocazione di un'epoca passata, quando Afghanistan, Kashmir, Iran e Pakistan erano punti di sosta esotici nel nebuloso viaggio verso l'illuminazione orientale. The Serpent, infatti, è una serie tecnicamente impeccabile e questo potrebbe essere sufficiente per coloro i quali preferiscono rimanere estasiati dalle immagini, piuttosto che dalla storia.

Conclusioni

In conclusione le domande che ci si pone all'inizio di The Serpent rimangono anche dopo otto episodi e ciò potrebbe andare bene se la presenza di questi punti interrogativi fossero bilanciati da una presenza costante di una tensione in stile Narcos o simili, ma purtroppo non è così. Charles Sobhraj era un mostro, un uomo che prendeva ciò che voleva da persone che considerava delle semplici pedine usa e getta della sua scacchiera. Questo aspetto basilare, però, si deduce tramite delle semplici ricerche esterne perché la miniserie non lo esplora in maniera convincente.

The Serpent combatte costantemente contro il suo stesso potenziale, prendendo la strada di dubbie decisioni strutturali e una comprensione superficiale del suo soggetto. Ciò che si nota dalla realizzazione di questi otto episodi è la mancanza di organizzazione dietro la volontà di raccontare la drammatica storia e tutto ciò è amplificato da un incessante taglio cronologico che confonde non solo la caratterizzazione dei personaggi, ma anche la loro funzione all'interno dello spettacolo.