True Detective 3. Una terza stagione più drama che thriller

Termina anche True Detective 3, terza stagione dello show antologico di HBO scritto da Nic Pizzolatto: ecco qualche considerazione a caldo.

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a cura di Yuri Polverino

Con una dialettica riflessiva e introspettiva, True Detective 3 saluta gli spettatori con un season finale che potrebbe aver deluso molti, ma che in realtà palesa ancora una volta l'essenza del suo autore. Quel Nic Pizzolatto che incantò il mondo con la prima stagione dello show antologico, della quale -forse- ancora oggi sente l'insormontabile peso.

Non è un caso, quindi, che True Detective adotti un linguaggio quasi anacronistico nell'epoca del binge watching: qui i tempi sono dilatati, settimanali; non rincorrono la ricerca della verità, al contrario cullano la spettatore verso la metabolizzazione di concetti tanto cari all'autore: tempo, memoria, amore. Vi ricorda qualcosa? Nulla di strano, questa terza stagione del brand HBO ricalca in  modo evidente quanto visto nella prima storia di Hart e Cohle, facendoci quasi credere che i legami fra questi due tessuti narrativi siano più di semplici connessioni abbastanza casuali.

Pizzolatto illude tutti con maestria nel corso degli otto episodi, convincendoci che la meta è più importante del viaggio e disseminando le puntate di indizi che potrebbero svelare chi è la mente malata dietro alla scomparsa di Julie, quale organizzazione tiene sotto scacco la famiglia Hoyt e perché Amelia è così inquietante e a tratti terrificante. Arrivati alla fine, però, quello che ci rimane in mano è un pungo di mosche, una sorta di "vorrei ma non posso" generale che oltre a risultare emotivamente disturbante, fa anche un po' arrabbiare.

A mente fredda, però, possiamo soltanto dire che True Detective alla fine torna a giocare nel campionato che gli compete: non è un thrriler, ma un drama fatto e finito che si concentra sui personaggi, sulle loro vite dannate e su quanto possa essere difficile cercare una felicità che forse non arriverà mai. Le tre linee temporali, il caso Purcell e tutta la componente poliziesca alla fine non è che un mero vettore per raccontare invece il dramma di Purple Hays, giovane investigatore massacrato da una vita complicata, da un matrimonio malato e da una carriera professionale monopolizzata da un'enigma che alla fine si rivelerà più banale di quanto immaginassimo.

Niente società segrete, rituali o chissà cos'altro: Julie alla fine si ritaglia il suo angolo di Eden, e accoglie il povero Hays devastato dalla malattia che, ironia della sorte, gli impedirà di realizzare e constatare che un lieto fine esiste. Non per lui, però, che sulle battute finali piomba ancora una volta nell'abisso della malattia che molto probabilmente lo cullerà fino alla morte.

Di questa terza stagione ci ricorderemo sicuramente le grandi performance dei tre protagonisti, più la delicatezza di Pizzolatto di ingannare ma al contempo raccontare una storia forse non indimenticabile, ma a modo suo memorabile.  La dimensione di True Detective è questa, e se un vero plot twist finale avrebbe potuto dare un sapore diverso allo show, la conclusione alla quale abbiamo assistito rimane fedele al cuore dell'autore. Forse è troppo presto per parlare di una quarta stagione, e molto dipenderà dai numeri di questa terza: salutando Hays, Roland, Amelia e Julie però ci riteniamo soddisfatti, e liberi di poter ragionare  e riflettere su alcuni dei temi che, volente o nolente, influenzano, hanno influenzato e influenzeranno la vita di ognuno di noi.

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