Un sogno chiamato Giffoni, l'intervista allo scrittore Tito Faraci

Abbiamo voluto farci raccontare l'incontro tra Feltrinelli, COMICON e Giffoni Film Festival proprio da Tito Faraci e Walter "Wallie" Petroni.

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a cura di Giovanni Arestia

Un sogno chiamato Giffoni è uno degli ultimi graphic novel editi da Feltrinelli Comics in collaborazione con il COMICON di Napoli. Scritto da Tito Faraci e disegnato da Walter “Wallie” Petrone, l'opera rappresenta anche il primo esempio di collaborazione tra il primo festival del cinema per ragazzi del mondo, il Giffoni Film Festival per l'appunto, che quest'anno compie cinquant'anni, e una delle realtà più importanti del panorama fumettistico italiano.

Un sogno chiamato Giffoni: la trama

Il graphic novel Un sogno chiamato Giffoni racconta la storia di Edo, uno straordinario ragazzo come tanti, che ha due amici altrettanto normali e straordinari: Marta e Jaco. Con loro ha vissuto giornate bellissime, nella giuria del Giffoni Film Festival, insieme ad altri ragazzi provenienti da tutto il mondo. In quell’atmosfera internazionale e piena di stimoli la sua passione per il cinema è cresciuta al punto che ora Edo ha un sogno: vuole diventare regista!

Il suo film sarà una nuova versione di Romeo e Giulietta, con qualche “trascurabile” libertà nella trama e un cast di attori d’eccezione: i suoi amici. Qualcuno ha provato a spiegargli che quel sogno è destinato a rimanere tale, perché per regolamento un film come il suo non potrebbe entrare nella selezione ufficiale. Ma ormai il giovane cineasta si è lanciato in questa piccola, grande avventura che, come ogni avventura che si rispetti, riserverà non pochi colpi di scena.

Abbiamo voluto farci raccontare l'incontro tra Feltrinelli Comics, COMICON e Giffoni Film Festival proprio dai creatori del nuovo graphic novel, ovvero Tito Faraci e Walter "Wallie" Petrone. Ecco a voi, quindi, l'intervista integrale a Tito Faraci.

Chi è Tito Faraci?

Partiamo innanzitutto spiegando brevemente chi è Tito Faraci. Luca, questo il suo vero nome, è un fumettista, scrittore, musicista e paroliere italiano. Divenuto celebre nella metà degli anni novanta, è stato autore di varie store di Dylan Dog, Tex, Martin Mystère, Zagor, Lupo Albero, Diabolik, Topolino, Paperinik, Magico Vento e Nick Raider, ma anche di fumetti americani legati a personaggi come Spider-Man, Devil e Capitan America. Non a caso è stato anche uno dei primi narratori italiani a sceneggiare alcuni fumetti statunitensi legati, nello specifico, all'universo Marvel Comics.

Dal 2017, anno di fondazione dell'etichetta, è curatore per Feltrinelli Comics e negli anni si è dedicato anche alla scrittura di testi musicali come i testi dell'album Le cose cambiano di Giorgio Ciccarelli (ex Afterhours) e ha vinto numerosi premi come il Gran Guinigi come migliore sceneggiatore a Lucca Comics nel 2004 e il Premio Papersera nel 2012.

L'intervista a Tito Faraci

Ora è giunto il momento di scoprire qualche informazione in più su Un sogno chiamato Giffoni e sul futuro dello scrittore.

Buongiorno Tito, innanzitutto grazie per aver accettato di partecipare alla nostra intervista. Partiamo subito con la prima domanda che riguarda Un sogno chiamato Giffoni, il nuovo graphic novel in uscita questo mese scritto da te e disegnato da Walter “Wallie” Petrone. Come è facilmente intuibile, l’opera è dedicata al Giffoni Film Festival, il più importante evento dedicato al cinema per ragazzi, che quest’anno compie 50 anni. Ci vorresti raccontare come è nato questo progetto?

In realtà mi è stata fatta questa proposta direttamente dall'organizzazione di Giffoni e poi mediata dal COMICON Napoli che collabora da anni con la manifestazione. La cosa mi è sembrata fin da subito molto, molto interessante, però allo stesso tempo volevo fare qualcosa che non fosse ovvia. Mi è infatti capitato molte volte nell'ambiente disneyano di fare store dedicate agli eventi, e io so benissimo come la maniera sbagliata di farlo sia mettersi a fare la storia di quel determinato evento. Ovvero, in questo caso, avrei dovuto raccontare i cinquant'anni e fare una specie di piccola enciclopedia.

So che quella maniera lì non è quella giusta di fare questo genere di progetti, diventa noioso ed è quello che in questi casi non si deve fare. Si deve, invece, cercare di capire quale è lo spirito di questa iniziativa e di questo festival così importante e cercare di trasmetterlo e di celebrarlo. Per farlo si deve cercare una storia che incarni e raffiguri questo spirito che ha attraversato il Giffoni in tutti questi anni.

Innanzitutto, visto che è un festival del cinema dedicato ai ragazzi, ho voluto correre un piccolo rischio calcolato che di fatto è stata una vittoria prevista, cioè farmi affiancare da un disegnatore molto giovane come Walter "Wallie" Petrone. Il "rischio" era quello di un autore che non aveva mai lavorato con uno sceneggiatore ed è abituato a fare le cose da solo, un autore unico sia dei propri testi che dei propri disegni, insomma. Per lui è quindi stata una prima volta e per me invece l'ennesima volta, con una distanza d'età enorme perché lui addirittura è un amico di mia figlia. A lui, però, ha affascinato subito la mia proposta rimanendo, prima, un po' stupito per questa esperienza lavorativa. Quindi, in pratica, volevo con me una persona che fosse in qualche modo vicino, appunto, allo spirito stesso del Giffoni.

In secondo luogo, e questo è stato importantissimo, ho fatto una lunghissima chiacchierata con Claudio Gubitosi, inventore del festival. È stata una chiacchierata nella quale gli ho lasciato fare un lungo monologo dove lo ho ascoltato per più di mezz'ora, forse anche un'ora, non ricordo. Lui mi raccontava la sua vita, tutto quello che aveva fatto, i suoi sogni realizzati, le sue sfide e io ho cercato di cogliere lo spirito, anche quello che aveva da ragazzo quando si è messo a fare una cosa che sembrava impossibile e invece ce l'ha fatta. Finito questo monologo che io ho davvero ascoltato con interesse interrompendolo pochissimo, facendogli pochissime domande, ma ascoltandolo molto, ho cercato di capire quale poteva essere la storia che rappresentasse questo spirito e, parlandone anche con Wallie, è saltata fuori l'idea di mettere in scena un gruppo di ragazzi.

Questi provano a fare un film sapendo che non poteva partecipare al concorso Giffoni perché non ha le qualità adatte, ma ci provano lo stesso pesando che potrebbero farcela in qualche maniera. Lo fanno lo stesso e quindi racconta lo spirito di una sfida che sembra impossibile, ma che si porta avanti lo stesso e che, non voglio rivelare il finale che ha una sorpresa, in qualche modo si riesce anche a portare a termine.

Tra l'altro, poi, i protagonisti, oltre ad essere già dei piccoli cineasti, hanno anche nel loro passato una partecipazione al Giffoni come giurati e quindi ogni tanto ricordano i momenti del festival ed è anche un modo per ricordare quale è la storia del Giffoni e con che spirito ci vanno i ragazzi. Quindi apparentemente ho preso la cosa di lato, ma secondo me e mi piace pensarlo, l'ho presa di lato per vederla meglio, per centrarla meglio. Infatti lo spirito del Giffoni è presente in ogni vignetta.

Infatti la seconda domanda riguarda proprio questo. La trama di Un sogno chiamato Giffoni è alquanto originale e familiare a molti ragazzi con delle passioni un po’ complesse da realizzare. Edo, infatti, è un giovane ragazzo che vuole diventare un regista, ma il suo sogno rischia di infrangersi quando decide di proporre alla giuria del Giffoni Film Festival un film che non rispetta il regolamento. La storia prenderà delle pieghe inaspettate, un po’ come la vita di tutti noi, ma cosa ti sentiresti di consigliare ai tanti ragazzi come Edo?

Allora, io ho una figlia che nella vita ha voluto fare il tecnico del suono, il fonico e il produttore discografico e sono delle cose che, purtroppo, non vedono la presenza di molte ragazze. Invece lo sta facendo e anche ad un livello abbastanza alto. Tantissimi aspiranti fumettisti, perché effettivamente è davvero un lavoro che in pochi riescono a fare a livello professionale, ma anche nel campo della musica, del cinema, della letteratura, nei campi creativi in generale spesso, per ottenere qualcosa, finiscono a fare altri lavori ed è un po' come se ti pagassero per fare qualcosa che tu non vorresti fare. Questo dà un po' l'idea di come sia difficile arrivarci. Allo stesso tempo devo quindi dare due consigli che in pratica sono un po' conflittuali, ma devo darli lo stesso. 

Il primo consiglio è anche una constatazione, cioè che questi mestieri e questo tipo di attività qualcuno deve pur farli e devono farli sempre i giovani, altrimenti non c'è nessun progresso in questi mondi di creatività. Non possono continuarlo, e lo dico anche contro il mio interesse, sempre le stesse persone. È necessario, anche quando il mercato sembra pieno, riconoscere il fatto che c'è bisogno di giovani e quindi qualcuno deve pur riuscirci perché c'è questa necessità. Quindi dire che è impossibile è sbagliato perché invece è necessario che ci siano dei nuovi autori. Questa è la parte positiva. 

La parte invece apparentemente conflittuale, ma che devo dire, è che bisogna essere tenaci , ma non testardi. È chiaro che poi c'è il rischio di soffrire, di farsi male, di andare avanti quando si capisce che non si riesce. Non bisogna prenderlo come un fallimento personale il fatto di non riuscire ad entrare in questi campi, perché a volte ci si mette la sfortuna e altre volte la mancanza di quel determinato talento, ma magari si hanno altri talenti. Sicuramente ognuno di noi ha dei talenti particolari. Quindi da una parte bisogna avere il coraggio e la tenacia di provarci, dall'altra riuscire a riconoscere serenamente che quella strada non è quella giusta e bisogna seguirne delle altre. 

Passando più al concetto materiale di “fumetto”, tra Un sogno chiamato Giffoni e Fumetti nei musei, facendo due esempi, stiamo osservando come essi stiano cominciando ad accompagnare e a raccontare sempre più grandi eventi. Secondo te, questa sorta di evoluzione, da cosa è data e quali potenzialità potrebbe avere in generale il fumetto?

Ci sono due cambiamenti in atto in parallelo e ovviamente uno non poteva che essere questo. Da una parte abbiamo la percezione del fumetto come forma d'arte e il linguaggio del fumetto come un modo di raccontare ogni genere di storia inventata o anche reale. Quindi il fumetto ha la capacità di raccontare e raffigurare, cioè di rievocare un evento mettendoci dentro anche i sentimenti. Non solo quindi si può raffigurare un paesaggio, un avvenimento o una cosa che si è vissuta, ma anche dargli un colore...letteralmente! Quindi dargli un'interpretazione, ed è una cosa fortissima. 

Allora da una parte c'è il riconoscimento della forza di questa forma d'arte e della forza che ha il linguaggio di questa forma d'arte, dall'altra, ne sono testimone anch'io, c'è la nuova posizione che stanno avendo i fumettisti e gli autori di fumetti all'interno della cultura. Sono diventati, come è giusto che fosse, così come lo sono i registi cinematografici o teatrali, gli attori, gli scrittori di narrativa, i poeti, i musicisti e via dicendo, i testimoni del nostro tempo.

C'è sempre di più, infatti, l'occasione come è capitato anche a me, di essere intervistato su un argomento che non c'entra niente con il fumetto, ma semplicemente perché ho preso una posizione magari anche su Twitter e come esponente del mondo culturale mi si chiede di dare un mio parere. L'altro giorno a Linea Notte, un programma di Rai Tre, ho partecipato ad un dibattito politico dicendo tranquillamente la mia vedendola dal mio angolo. Un tempo questa cosa sarebbe sembrata strana perché "cosa ci fa un fumettista come partecipante ad un dibattito politico?" e invece adesso nessuno si è stupito. 

Quindi, in parallelo, è successa questa cosa, prendiamone atto come una cosa estremamente positiva e che, anzi, è arrivata fin troppo tardi. Finalmente il fumetto, come il cinema, la musica, la letteratura e altre forme d'arte, chi le fa è considerato anche una testimonianza del proprio tempo e gli autori dei fumetti sono proprio i testimoni di questo tempo. 

Ricollegandomi a quest’ultima domanda, la tua ultima opera da solista è Spigole che racconta i dietro le quinte della vita del fumettista con i relativi pro e contro. Innanzitutto come è stato diventare per la prima volta una sorta di protagonista del racconto?

A me serviva un protagonista della storia che appartenesse al mondo della creatività e che fosse un inventore di storie. Avrei potuto benissimo seguire, essendo un romanzo, la strada intrapresa da altre opere simili. Ne cito uno, ovvero Stephen King che mette come protagonista di un romanzo, un autore di un romanzo che però non è lui. Gli assomiglia magari un po', ma non è lui il protagonista di Shining, di Mucchio d'ossa o di altri romanzi in cui ci sono degli scrittori di romanzi come protagonisti. Diciamo che, però, sono personaggi in cui l'autore riesce ad immedesimarsi e ad interpretarlo meglio. 

Io avevo bisogno che il protagonista del mio romanzo fosse un creativo, ma ad un certo punto si stufa di esserlo e decide di smettere. Avrei davvero potuto scegliere un autore di narrativa, un pubblicitario, un poeta o un regista cinematografico, invece mi sono detto: "perché no, userò una persona che fa il ruolo che faccio anch'io". Quindi mi ci riconosco un pochino, ma fino a un certo punto. Chi mi conosce molto bene e chi meno, riconosce molte mie cose nel protagonista di Spigole, dall'altra però tutti i miei amici più vicini, dicono: "eh ma lui questa cosa non la farebbe mai" o "ma tu sei diverso!". All'inizio con stupore, ma poi si rendono conto che è effettivamente così.

Ho scelto quindi un personaggio che facendo la vita simile alla mia, riesce a raffigurare una realtà credibile e ironica, ma con delle solide basi che è la mia vita. Come un iceberg di cui vedi la punta, ma che sotto ha una grossa massa d'acqua ghiacciata invisibile. Nello stesso tempo, però, rivendico anche il fatto che lui non è me e io non sono lui. Lui è molto stanco del suo lavoro, io a volte sono stanco, ma non del mio lavoro. 

Restiamo un attimo sul tema del settore fumettistico ed editoriale in generale. Tra fiere ed eventi annullati, posticipati o mutati e pericolo Coronavirus ancora vivo, come state cercando di fronteggiare il problema?

Allora ci sono due settori di fumetto di cui io mi occupo. Cominciamo da quello che è più mio da più anni, cioè quello di autore di fumetti popolari, di quei fumetti che arrivano anche in edicola. Questo settore non ha sofferto moltissimo, in rapporto ad altri settori, in questo terribile momento e in questi terribili mesi. Molte edicole, infatti, erano aperte e i fumetti erano venduti anche nei supermercati, costava poco e quindi ci sono addirittura stati dei fumetti popolari che in quel periodo hanno venduto di più. Non voglio fare festa, perché non è giusto, è stata una tragedia gigantesca, ma in questo periodo delicato un settore è riuscito a mantenere una grande vitalità.

L'altro settore di cui mi occupo, sia come autore che soprattutto come curatore della collana Feltrinelli Comics è quello dei fumetti che vanno in libreria, conosciuti meglio come graphic novel. Quello, ovviamente, ha vissuto le controversie delle librerie chiuse e sopratutto dei festival di settore annullati. Molti, infatti, vanno proprio a riempire i sacchetti di fumetti comprandoli nei festival, come per esempio Lucca. 

Quindi che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo... insomma, in un certo senso prima o poi doveva succedere. Avrei preferito un miliardo di volte che non succedesse in concomitanza con la tragedia sanitaria, ma era impensabile che un settore intero potesse reggere unicamente su una vendita quasi diretta, con l'autore che firma e ti dà in mano il libro. Così come capita con la narrativa in prosa, alla fine un autore fa un giro di date di presentazione che magari sono cinque o sei e basta e poi il libro viene venduto nelle librerie e vive da solo con la propria forza. Questo deve capitare anche nel mercato dei graphic novel. 

Mi dispiace che questa cosa sia capitata così velocemente, ma bisogna capire che i fumetti si devono vendere anche se l'autore non è presente facendo il disegno e l'autografo. Vanno comprati come se si comprasse un qualsiasi libro. Pensavo, speravo e volevo che questa trasformazione avvenisse lentamente, ma quello che è successo tragicamente costringerà il mercato ad avere un'accelerata un po' più brusca in questa direzione.

Io sono ottimista perché nel momento in cui un qualcosa riscuote interesse, spinge il pubblico ad andare in libreria a comprare libri in generale e magari lo porta ad interessarsi ai fumetti. Quindi oltre a comprare un romanzo in prosa, un saggio e via dicendo, compra anche un fumetto. Forse con un nuovo pubblico, non così specializzato, ma interessato riusciremo a compensare questa oggettiva, grossa e drammatica perdita.

Ora che Spigole e Un sogno chiamato Giffoni sono conclusi e personaggi che hai curato tantissimo come Diabolik e Paperinik stanno tornando in auge, pensi di tornare a scrivere per qualche “vecchia” gloria? Hai qualche nuovo progetto che vorresti rivelarci in anteprima?

 Ti rispondo subito: voglio ritornare per almeno sei mesi a fare la mia routine. Non è una vera e propria routine, perché è meravigliosamente varia, ma voglio dedicarmi ai personaggi che ho sempre trattato con grande passione. Quindi in questo momento sto scrivendo una bella storia di Diabolik e poi scriverò una bella storia Disney. In poche parole: Diabolik, Topolino e poi un'altra bella storia per la Sergio Bonelli Editore. Oltre a fare il curatore della Feltrinelli Comics con grandissima gioia, come autore, dopo aver fatto una serie di cose eccezionali, voglio tornare a fare le mie eccezionali cose normali.  

La nostra intervista si chiude qui, con la consapevolezza che Tito Faraci tornerà con nuove storie dei personaggi più importanti che lo hanno reso celebre nel mondo fumettistico italiano ed internazionale.

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