Vivere in realtà aumentata: un corto da paura

Vivere costantemente immersi nella realtà aumentata sarebbe davvero fantastico come ci mostrano alcuni spot futuristici? Il filmaker Keiichi Matsuda ha provato a immaginarlo nel cortometraggio Hyper-Reality, ma il risultato è alquanto disturbante.

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a cura di Alessandro Crea

L'avvento imminente della Realtà Aumentata promette meraviglie. Tutti noi abbiamo visto almeno una volta i video di qualche produttore impegnato nel settore, che ci mostrano i vantaggi di un mondo in cui è possibile accedere in ogni istante ad informazioni aggiuntive su persone, luoghi e oggetti, ma cosa accadrà realmente quando, tra 10 o 15 anni, queste tecnologie saranno davvero pervasive?

hyper reality

Ha provato a immaginarlo Keiichi Matsuda, filmaker e designer pluripremiato, nel suo disturbante cortometraggio Hyper-Reality, parte di un progetto più ampio, teso a indagare le implicazioni delle tecnologie emergenti sulla percezione umana e sulla costruzione dell’ambiente circostante, concentrandosi sulla sempre maggiore dissoluzione del confine tra mondo fisico e virtuale.

Il risultato, inutile dirlo, è molto differente rispetto ai mondi patinati che ci presentano i video promozionali, ma Matsuda non vuole semplicisticamente esprimere un giudizio negativo sulle nuove tecnologie, piuttosto, esasperandone la presenza nella nostra vita, vuole esplorarne tutte le possibili implicazioni, positive e negative.

Nei 6 minuti del cortometraggio assistiamo a un piccolo frammento della vita di Juliana Restrepo, che a Medellin, in Colombia, vive facendo la spesa per altre persone e raccogliendo punti come in un videogioco, punti che presumiamo si traducano poi in soldi, beni di consumo o altro direttamente connesso al suo livello di benessere materiale.

Il mondo che ci viene mostrato è apparentemente colorato e gradevole, con una grafica da pubblicità asiatica, ma in realtà è sottilmente inquietante. Bombardata da un eccesso di stimoli e informazioni, Juliana è ridotta a un automa che si aggira in scenari completamente artificiali e che, a domande esistenziali come chi sono o dove sto andando, riceve solo risposte pragmatiche e riduttive, con il motore di ricerca che le mostra la sua scheda dati personale o la sua posizione sulla mappa della città.

Keiichi Matsuda cover 2

Hyper-Reality però ci invita a riflettere soprattutto su un aspetto: il proliferare delle informazioni e la facilità con cui già ora vi accediamo, ci rende davvero più liberi o non fa che creare un'ulteriore barriera tra noi e gli altri, noi e l'ambiente circostante, noi e i nostri bisogni più intimi, confondendo i nostri sensi e la nostra capacità di giudizio?

Il mondo di informazioni in cui vive immersa Juliana, nonostante la sua natura suggerirebbe tutt'altro, è in realtà molto solido, greve e materiale e sembra non offrire alcuna via d'uscita. L'unico essere umano vero con cui entra in contatto fisico è infatti privo di identità e anche l'esperienza religiosa a cui prova ad avvicinarsi alla fine non è che un altro prodotto di consumo, che ha come unico risultato il passaggio a un livello superiore, ma solo all'interno della realtà/videogame in cui è intrappolata.