Warrior Nun Stagione 2, recensione: il ritorno della Suora Guerriera di Netflix

Arriva su Netflix Warrior Nun Stagione 2, la serie in cui suore ninja e demoni dell'altro mondo si affrontano senza esclusione di colpi.

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a cura di Manuel Enrico

Quando Netflix aveva arricchito il proprio palinsesto con Warrior Nun, la speranza di chi negli anni 90 bazzicava il mondo fumettistico era di vedere su piccolo schermo uno dei comics più irriverenti di quel funambolico periodo. Creato da Ben Dunn, Warrior Nun Areala era figlio di una concezione iperdinamica del medium fumetto, in cui l’esagerazione, narrativa e stilistica, era all’ordine del giorno. O non si spiegherebbe come a Dunn sia venuto in mente di creare una trama in cui un ordine di suore ninja porta la paca eterna nel mondo a suon di mazzate, bossoli e qualche preghiera, giusto per ricordarci che sono in missione per conto di Dio. La prima stagione del Warrior Nun di Netflix non si era fatta problemi nel registare un distacco netto dall’originale cartaceo, natura che ritroviamo anche in Warrior Nun Stagione 2.

Netflix ha dimostrato di avere un certo feeling con i fumetti, basti pensare a un film come The Old Guard o contesti più liberi come Umbrella Academy. Il passaggio dalla carta al medium televisivo, ovviamente, comporta un adeguamento a differenti dinamiche narrative, come ha dimostrato il Marvel Cinematic Universe, ma nella precedente esperienza del canale con questa tipologia di contenuti si è sempre cercato di mantenere una certa affinità al materiale originario. Adattare ma non stravolgere, un principio che con Warrior Nun non pare aver trovato piena realizzazione.

Warrior Nun Stagione 2 non rende onore all'opera di Ben Dunn

Pur non essendo un comic che ha lasciato un segno indelebile, Warrior Nun Areala mostrava tutti i paradigmi tipici di un fumetto degli anni ’90, rivolgendosi a lettori che fossero avvezzi a una certa vis narrativa. Nel passare dalla carta al piccolo schermo, l’eroina di Dunn ha dovuto subire un cambio di prospettiva sin troppo radicale, che pur essendo comprensibile al fine di agganciare una platea più ampia, viene trattato con una mancanza di lucidità che perde il fascino dell’opera originaria, condannando questa serie di Netflix a esser una serie teen con qualche vago elemento sovrannaturale.

La giovane Ava (Alba Baptiste) durante una vacanza in Spagna rimane vittima di un incidente, che la lascia orfana e paralizzata. La ragazza viene accolta in un orfanotrofio locale, dove passa la sua infanzia e la sua adolescenza, sotto l’occhio vigile di una superiora acida e perfida, sino ad un evento sorprendente: la sua morte. Ava, dopo una vita di rinunce e sofferenza, muore, ed è proprio in questa circostanza che la conosciamo, durante la sua veglia funebre. Cerimonia che viene interrotta dall’ingresso di alcune suore, che nulla hanno di pacifico, considerato che sono in fuga da un manipolo di demoni che stanno cercando di uccidere la loro leader, Sorella Shannon, nota come Warrior Nun. Sorella Shannon è la portatrice di un raro manufatto, innestatole nel corpo, che la rende una combattente soprannaturale, ma alla sua morte le sue consorelle devono salvare questo prezioso artefatto, e scelgono come contenitore il cadavere della povera Ava. Peccato che nessuno immaginasse che questo misterioso oggetto divino riporti in vita la ragazza, conferendole gli stessi poteri posseduti in precedenza da Sorella Shannon.

Inevitabilmente, le sorelle guerriere vogliono che Ava si unisca a loro, ma la rediviva ragazza, finalmente in grado di potersi godere uno scampolo di vita da adolescente normale, ha tutt’altri programmi. E poco le importa di lottare contro demoni, scongiurare complotti e salvare il mondo!

Dopo una rocambolesca sequela di eventi, Ava diventa l’ultima speranza dell’Ordine, soprattutto quando emerge la vera storia dell’Aureola, l’artefatto che dona i poteri alla Suora Guerriera. Il finale della prima stagione lasciava gli spettatori con un Ordine sconfitto e costretto alla macchia, mentre il demone Adriel, vecchia conoscenza dell’Ordine, arriva nel nostro mondo, creando un culto attorno alla sua persona che potrebbe minare la solidità stessa della Chiesa. Un pericolo che è al centro della seconda stagione di Warrior Nun, al punto che si può vedere in questo contrastato tra la fede istituzionale rappresentata dal papato o e il nuovo culto di Adriel l’essenza di questa seconda stagione della serie.

Eredità della prima stagione è una scrittura sin troppo sincopata, che tende a creare situazioni sin troppo stereotipate cercando di nascondere questa prevedibilità dietro un ritmo rapido. Gli eventi si susseguono rapidi, con una tendenza a inserire colpi di scena che risultano fiacchi e poco funzionali alla definizione di una storia che avrebbe meritato maggior cura. La figura di Ava, rispetto alla precedente stagione, perde di smalto, risulta quasi marginale rispetto ad altri volti che hanno giovato di maggior definizione, condannando la protagonista a risultare poco convincente.

Poca lucidità nel legare personaggi e storia

Complice una mancanza di equilibrio tra la trama orizzontale e la gestione delle dinamiche tra i diversi personaggi, quanto di promettente visto nella prima stagione di Warrior Nun manca di trovare concretezza nel secondo arco narrativo, che pur mostrando la volontà di far emergere una storia contemporanea, seppur giocando su temi dal gusto cospiratorio cari a una certa narrativa, non trova un punto di contatto tra trama orizzontale e caratterizzazione dei personaggi. Ava e le sue consorelle sono spesso ricondotte entro dei confini rigidi, quasi la loro funzione sia di esser asservite alle esigenze dei narratori, anziché fungere da motore della storia stessa, privando del pathos necessario anche il finale.

A visione ultimata, si può vedere nel finale della seconda stagione di Warrior Nun una ben magra conclusione per questa produzione Netflix. Pur apprezzando la scelta di liberarsi dallo scomodo paragone con l’originale cartaceo introducendo una nuova protagonista,  come ribadito anche dal titolo della serie, non si può nascondere che la sensazione sia quella di trovarsi in presenza di una sorta di Buffy l’Ammazzavampiri in salsa ecclesiastica, a causa di una fin troppo marcata deriva teen che impedisce di dare risalto a temi che avrebbero meritato maggior spazio, ma che in un contesto come quello di Warrior Nun risultano essere abbozzati solo per dare sostegno a una trama poco originale.